Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10880/2021 R.G. proposto da: DISABATO NOME, DISABATO NOME, DISABATO NOME, DISABATO NOME, DISABATO NOME, DISABATO NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
DISABATO NOME, DISABATO NOME, DISABATO NOME, domiciliati telematicamente , dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
DISABATO MADDALENA
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 22/2021 depositata il 27/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti atti introduttivi, successivamente riuniti, la sig. NOME COGNOME, da una parte, e la sig. NOME nonché i sigg. NOME e NOME COGNOME ( quest’ultimo COGNOME nel DATA_NASCITA ), dall’altra, quali eredi del defunto sig. NOME COGNOME e anche in proprio il NOME COGNOME, premesso di essere creditori nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in forza di lodi arbitrali, convenivano quest’ultima unitamente ai soci sigg. NOME, NOME, NOME ( COGNOME nel DATA_NASCITA ), NOME e NOME COGNOME, al fine di sentir pronunziare l’inefficacia nei loro confronti ex art. 2901 cod. civ. dell’atto con cui la detta società aveva nel 2000 trasferito ai propri partecipanti, a titolo di liquidazione della quota sociale dovuta a séguito di recesso, beni e rami aziendali, evidenziando sia la correlata diminuzione della garanzia patrimoniale societaria, sia l’evincibile consapevolezza derivante dalla notificazione degli atti dei procedimenti arbitrali e dei lodi;
il processo veniva interrotto per decesso del NOME COGNOME, e veniva successivamente riassunto nei confronti degli eredi di quest’ultimo ;
l’adito Tribunale di Matera accoglieva le domande, con pronuncia solo parzialmente riformata dalla Corte d ‘A ppello di Potenza in accoglimento del l’appello incidentale proposto da i sigg. NOME COGNOME COGNOME nel DATA_NASCITA, NOME e NOME COGNOME, in punto di spese del primo grado di giudizio;
in particolare, la Corte territoriale:
-dichiarava inammissibile l’appello proposto dagli eredi di NOME COGNOME, ovvero NOME COGNOME, COGNOME nel DATA_NASCITA, NOME e NOME COGNOME, ritenendo utile alla decorrenza del termine cosiddetto breve, di cui all’art. 325, cod. proc. civ., la notifica della decisione di primo grado, in uno al precetto, agli appellati in parola personalmente, e pertanto valida la loro dichiarazione di contumacia dopo la riassunzione: specificava il Collegio che all’esito dell’interruzione processuale, vi erano state due riassunzioni, quella di NOME COGNOME, che aveva fatto seguire regolare notifica del ricorso e del relativo decreto giudiziale di prosecuzione del giudizio, e quella, distinta e successiva, degli eredi di NOME COGNOME, non seguita da analoghe e rituali notifiche, senza però che ciò potesse incidere sulla ricordata idoneità della notifica personale della sentenza di primo grado a far decorrere il discusso termine breve, poiché alla prosecuzione processuale in parola, trattandosi di giudizi riuniti, era stata sufficiente anche solo la prima riassunzione, tenuto altresì conto del fatto che gli allora convenuti nulla avevano eccepito nella prima udienza successiva;
-quanto al resto, riteneva la domanda di revocatoria fondata sia perché all’utile esperimento della stessa era sufficiente una ragione -anche litigiosa- di credito sia perché la ‘ datio in solutum ‘ , in cui era venuta a tradursi l’assegnazione dei beni aziendali a titolo di quota sociale dovuta, il cui obbligo di liquidazione era COGNOME ( come osservato già dal Tribunale ) dal recesso successivo all’insorgenza delle ragioni di credito, era mezzo anomalo di estinzione dell’obbligazione ; sia perché l’elemento
soggettivo si evinceva dal rapporto sociale e dal rapporto di parentela intercorrente tra i soggetti coinvolti;
avverso la suindicata sentenza della corte di merito propongono ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, i sigg. NOME COGNOME COGNOME nel DATA_NASCITA, NOME, NOME, NOME, in proprio e quali ex soci della RAGIONE_SOCIALE; nonché i sigg. NOME e NOME COGNOME, quali eredi del defunto NOME COGNOME;
resistono con controricorso i sigg. NOME, NOME e NOME COGNOME;
La sig. NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva;
MOTIVI DELLA DECISIONE
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:
-nel 2010, NOME, NOME e NOME COGNOME, quest’ultimo classe DATA_NASCITA, avevano accettato «in acconto e salve opportune verifiche» l’offerta reale formalizzata per ognuno di essi dai ricorrenti dopo che altra somma era stata ricavata da NOME COGNOME stesso all’esito di un procedimento di espropriazione forzata, e che iniziativa sostanzialmente identica vi era stata di concerto con la RAGIONE_SOCIALE e i soci assegnatari convenuti in revocatoria al fine di adempiere a favore di NOME COGNOME, con versamenti e quietanza;
-all’udienza del 2014 fissata per sollecitare il contraddittorio sulla prospettata cessazione della materia del contendere per soddisfazione dei crediti sottesi all’azione pauliana, gli eredi di NOME COGNOME, pur dando atto dell’estinzione del credito, si erano opposti perché pendeva la controversia che li vedeva contrapposti all’RAGIONE_SOCIALE, la cui definizione avrebbe potuto rendere cogente l’obbligazione posta a loro
carico dal lodo, originante i crediti, di estinguere il debito previdenziale del defunto genitore e loro dante causa, salva rivalsa nei confronti della società;
-il Tribunale di Matera aveva definito la controversia previdenziale con decisione passata in cosa giudicata n. 458 del 2018, prodotta in questa sede ai sensi dell’art. 372, cod. proc. civ., poiché attestante la sopravvenuta carenza d’interesse rispetto alla domanda di revocatoria per mancanza della sua condizione, sempre necessaria, afferente all’esistenza del credito;
-non vi era stata pronuncia sulle conclusioni rassegnate esplicitamente su tale punto, peraltro sempre rilevabile anche d’ufficio;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe omesso di motivare sull’esenzione dalla revocatoria inerente al pagamento di debiti scaduti, posto che le assegnazioni erano state fatte per adempiere il debito da liquidazione della quota sociale a séguito di recesso, ed erano l’unico strumento economico solutorio di cui la società disponeva, essendosi risolto, al contempo, in un vantaggio per l’ente, tanto più che gli assegnatari si erano impegnati ad assicurare l’esatto adempimento delle obbligazioni derivanti dalle esposizioni debitorie bancarie della compagine;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 103, 291, 303, 325, 132, n. 4, 118, disp. att., cod. proc. civ., 111, Cost., poiché in ragione della riassunzione processuale di cui in parte narrativa, non coltivata dagli eredi di NOME COGNOME, attesa la mancata separazione processuale dei processi riuniti, la contumacia degli eredi di NOME COGNOME era stata invalidamente dichiarata, sicché la notifica della sentenza del Tribunale, avvenuta personalmente agli eredi, non avrebbe potuto
ritenersi valida ai fini della decorrenza del termine cosiddetto breve per la proposizione dell’appello;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1295, cod. civ., 97, cod. proc. civ., 4, 5, d.m. n. 55 del 2014, poiché la Corte di appello avrebbe errato sia liquidando un maggior importo a titolo di spese legali di primo grado in favore della difesa di NOME, NOME e NOME COGNOME, quest’ultimo classe DATA_NASCITA, trattandosi invece di più parti assistite dal medesimo avvocato, sia liquidando la medesime spese in rapporto una valore della controversia tra 520 mila euro e 1 milione di euro, senza considerare che avrebbe dovuto parametrarsi al valore del credito che, essendo inesistente, come dedotto con la prima censura, avrebbe a sua volta dovuto determinare lo scaglione applicabile in quello fino a 1.100,00 euro;
il terzo motivo, da esaminare prioritariamente per ragioni logiche, è inammissibile;
i ricorrenti, come visto, hanno dedotto che la dichiarazione di contumacia degli eredi di NOME COGNOME è stata invalida per la mancata notifica dell’atto di riassunzione da parte degli eredi di NOME COGNOME, dal che l’invalidità della notifica della sentenza di primo grado effettuata personalmente agli stessi;
la Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso d ‘ interruzione del processo in cui siano state riunite più cause, l’atto di riassunzione posto in essere da una sola delle parti ha l’effetto di impedire l’estinzione del giudizio anche con riguardo alle altre, qualora le stesse – destinatarie della notifica dell’atto di riassunzione – si siano costituite in giudizio e abbiano riproposto tutte le domande, principali e riconvenzionali, già appartenenti alle cause riunite, senza che sia necessario che ciascuna di esse proceda formalmente a un ‘ autonoma riassunzione (Cass., 26/05/2014, n. 11686);
questa giurisprudenza, con cui la censura non si misura specificatamente, ha dunque affermato che, nel caso di processi riuniti, l’atto di riassunzione di una sola parte è idoneo alla prosecuzione processuale qualora i soggetti destinatari si siano poi costituiti in giudizio contraddicendo;
ora, nella fattispecie, risulta dalla sentenza (pag. 7) ed è pacifico che i destinatari, eredi NOME COGNOME, dopo la riassunzione ad opera di NOME COGNOME, hanno contraddetto senza eccepire nulla sul punto;
se ciò è vero, non avrebbero dovuto essere dichiarati contumaci, e per questa ragione, ferma la ritualità della prosecuzione processuale, la sentenza di prime cure avrebbe dovuto essere notificata al relativo difensore e procuratore domiciliatario;
il motivo, però, è formulato diversamente, sostenendosi che i destinatari non avrebbero dovuto essere dichiarati contumaci perché avrebbe dovuto essere disposta nuova notificazione integrativa che, se inevasa, avrebbe dovuto condurre all’estinzione del giudizio;
la censura, pertanto, per come articolata, non può essere accolta, sia perché, come detto, non si misura con la giurisprudenza richiamata sia pure contraddittoriamente dalla Corte territoriale, sia perché, al contempo, chiede di affermarsi l’invalidità della notificazione personale della sentenza allora appellata per una ragione differente da quella coerente con la nomofilachia in discussione;
in altri termini, nella prospettiva della critica fatta propria dal motivo la contumacia non avrebbe potuto essere dichiara per mancata instaurazione del contraddittorio, e non perché, come invece a mente della giurisprudenza di legittimità, il contraddittorio non era in realtà venuto meno;
il giudizio di legittimità, essendo a critica vincolata, non permette una simile riformulazione dei motivi quali articolati;
il primo motivo è inammissibile;
va premesso che la sentenza del Tribunale di Matera del 2018 non è dato capire perché non sia stata prodotta nel giudizio di appello quale documento sopravvenuto, sicché la sua produzione solo in questa sede è preclusa;
è stato affermato che il principio secondo il quale, dopo la notifica del ricorso per cassazione, è consentita, a norma dell’art. 372 cod. proc. civ., la produzione di un documento dal quale risulti la sopraggiunta carenza d’interesse all’impugnazione non può trovare applicazione quando l’atto poteva e doveva essere prodotto nella fase di merito, perché anteriore alla conclusione della stessa (v., in termini, Cass., 07/12/2017, n. 29439: nella specie, si trattava dell’avvenuta transazione della lite);
nel caso si tratterebbe di un documento da cui sarebbe dato evincere l’inammissibilità della domanda, piuttosto che del ricorso per cassazione, sopravvenuta alla stessa ma anteriore al ricorso per cassazione e alla stessa definizione della fase di merito, ed è dunque chiaro che esula dalla portata dell’art. 372, cod. proc. civ.;
del resto, sulla portata della sentenza del Tribunale e delle correlate offerte formali e versamenti, vi è contestazione dei controricorrenti (pag. 7 del loro atto), così come vi fu, sul preteso adempimento satisfattivo, in sede di merito, secondo quanto allegato nel medesimo ricorso (pag. 12), sicché sugli effetti della sentenza del Tribunale in parola avrebbe dovuto contraddirsi e procedersi ad accertamenti in sede di merito, ulteriori rispetto a quelli che la Corte territoriale fece escludendo di poter fissare la precisazione delle conclusioni nella prospettiva della dichiarazione di cessazione della materia del contendere, come dato atto in sede di gravame di legittimità (pagg. 12-13);
a ciò si aggiunge che non solo non si riporta il tenore della compiuta statuizione della sentenza del Tribunale di Matera sul punto, ma neppure quello dell’offerta formale a fronte della quale, al contempo, si riferisce di un’accettazione ‘in acconto e salve opportune verifiche’ (pag. 11 precedente), né si specifica quando sarebbero stati prodotti tali ulteriori documenti, al pari dei versamenti, e dove sarebbero reperibili agli atti del giudizio di legittimità per le eventuali verifiche, con conseguente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ‘ratione temporis’ applicabile (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);
quanto sopra, in ordine alla mancata produzione nelle fasi di merito della sentenza più volte ricordata del Tribunale di Matera, spiega perché non può ritenersi in alcun modo neppure ipotizzabile l’omessa pronuncia;
il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
non è in alcun modo spiegato come e quando sarebbe stato dimostrato, ovvero da quale elemento istruttorio avrebbe dovuto evincersi, che la ‘datio in solutum’ in discussione, per il pagamento di un debito sorto peraltro dopo i crediti sottesi all’azione pauliana, sarebbe stato l’unico mezzo solutorio del debito stesso, a titolo liquidazione della quota sociale, residuando solo mere affermazioni come tali apodittiche;
neppure risultano riportati gli atti di assegnazione da cui sarebbe stata evincibile l’affermata obbligazione di garanzia a fronte dell’esposizione bancaria della società, peraltro di per sé non impeditiva della diminuzione della garanzia patrimoniale in parola, con ulteriore violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.;
in questo quadro, non risulta alcuna radicale carenza motivazionale atteso che, come riferito nello stesso ricorso in scrutinio, la Corte territoriale argomenta nel senso dell’anomalia
del suddetto modo di estinzione dell’obbligazione, diverso dal pagamento;
il quarto motivo è inammissibile;
il primo profilo di censura si limita ad affermare che il compenso per la difesa di più parti avrebbe dovuto essere unico, secondo i criteri stabiliti dall’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, senza misurarsi con l’esplicita ragione decisoria per cui quel compenso doveva essere incrementato, a mente di quegli stessi criteri, per la connotazione plurisoggettiva in parola;
nulla può spostare il laconico confronto, definito nel ricorso «incommentabile» (pag. 25), con la liquidazione delle spese del giudizio di appello;
quanto al preteso valore dello scaglione da rapportare all’inesistenza del credito per come assunta ma come visto non dimostrata per tempo, è chiaro che tale profilo della censura, per come formulata, si risolve in una petizione di principio, come confermato dalla stessa indicazione di valore oltre 520 mila euro, fatta nel ricorso ai fini dell’obbligazione tributaria di pagamento del contributo unificato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza; non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore della NOME COGNOME, non avendo la medesima svolto attività difensiva;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti in solido, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11/04/2024.