Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34275 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34275 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28018/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE GEIE NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
FONDO DI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in PRATO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE
GESTIONE
CREDITI
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2799/2022 depositata il 30/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo ha convenuto in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE ed il NOME COGNOME affinchè fosse dichiarata ex art. 2901 c.c. l’inefficacia nei confronti del predetto Fondo di Garanzia dello ‘atto di conferimento in Gruppo Europeo di interesse economico’ per Notaio NOME COGNOME del 23.11.2016, Rep. n.19583, Racc. n.12453, con cui la RAGIONE_SOCIALE -verso la quale il Fondo vantava il credito di € 654.257,56, oltre interessi, per averlo acquistato dalla Banca Romagna Cooperativa il Liquidazione Coatta Amministrativa, a seguito di cessione di crediti pro soluto in blocco con atto ai rogiti Notaio Dott. NOME COGNOME Rep.152965, Racc. 29.379, ed aveva attivato una procedura monitoria per riscuoterlo – aveva conferito nel NOME NOME COGNOME il diritto di piena proprietà, sul compendio immobiliare ad uso albergo sito nel Comune di Cesenatico (FC), INDIRIZZO
Con sentenza n.9875/2019, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda ex art. 2901 c.c.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2799/2022, depositata il 30.8.2022, ha confermato la sentenza di primo grado. Il giudice d’Appello ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, evidenziando l’irrilevanza che il credito vantato dal Fondo nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE fosse da quest’ultima contestato giudizialmente ed osservando che il pregiudizio alle ragioni creditorie non era escluso dall’iscrizione di un’ipoteca sui beni dei fideiussori COGNOME e COGNOME, potendo l’ eventus damni essere integrato da qualsiasi atto che determini l’aggravamento della condizione patrimoniale del debitore. In ordine al requisito della partecipatio fraudis , il giudice d’appello ha osservato che, alla luce del rapporto di parentela
intercorrente tra il socio accomandatario della società conferente NOME RAGIONE_SOCIALE– figlia -e il legale rappresentante della società conferitaria COGNOME NOME -madre e garante -era del tutto inverosimile che le medesime non si fossero rappresentate che la concessa esecutività del decreto ingiuntivo avrebbe sottoposto la RAGIONE_SOCIALE al rischio di perdere l’unico immobile di sua proprietà.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE ed il NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
Il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo ha resistito in giudizio con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 comma 2° n. 4 c.p.c., 118 disp. Att. c.p.c., 111 comma 6° Cost.
Lamentano le ricorrenti che la Corte d’Appello, nel ritenere raggiunta la prova dei requisiti per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, aveva omesso di valutare le prove documentali offerte, senza un’adeguata motivazione in sentenza, palesandosi questa ‘apparente’ per avere il giudice di appello, di fatto, svolto una motivazione ‘per relationem’ rispetto all’impugnata sentenza di primo grado e, comunque, per non avere dato contezza del percorso logico-giuridico perseguito a supporto della propria statuizione.
In particolare, in ordine alla doglianza dell’appellante con cui era stata dedotta l’insussistenza del credito vantato nei suoi confronti dal Fondo di Garanzia (aveva evidenziato la pendenza sul punto del procedimento di appello innanzi alla Corte d’Appello di Bologna), il giudice di secondo grado si era limitato a richiamare l’orientamento
di questa Corte secondo cui è esperibile l’azione ex art. 2901 c.c. anche per i crediti litigiosi.
Quanto all’eventus damni, la Corte d’Appello aveva parimenti disatteso, con una motivazione ‘apparente’ la prospettazione degli appellanti, che avevano sostenuto non configurarsi la concreta possibilità che il patrimonio del debitore fosse insufficiente, potendo il creditore aggredire i beni ipotecati di proprietà dei garanti COGNOME e COGNOME, il patrimonio mobiliare della RAGIONE_SOCIALE, compresi gli utili conseguenti alla sua partecipazione in CEIE nonché il credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME NOME.
Il giudice d’Appello aveva, inoltre, svolto un esame parziale e contraddittorio dei documenti offerti dalle appellanti, che dimostravano che la Banca si era rifiutata di acquisire a garanzia, mediante apposita costituzione di ipoteca, l’immobile ad uso albergo oggetto della azione di revocatoria ordinaria.
Quanto al requisito della ‘scientia fraudis’ del debitore, il giudice d’appello lo aveva ritenuto in re ipsa, non considerando che era stato documentalmente provato il disinteresse della banca per l”hotel di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE Con riferimento alla ‘participatio fraudis’ del terzo, la Corte d’Appello aveva illegittimamente valorizzato il rapporto di parentela tra il legale rappresentante dell’ RAGIONE_SOCIALE e quello della NOME COGNOME non considerando che si trattava di soggetti giuridici autonomi rispetto ai loro soci.
Il giudice di secondo grado aveva svolto tali valutazioni con una motivazione carente sotto il profilo del criterio logico-giuridico perseguito in rapporto al quadro probatorio offerto.
Il motivo presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
Va, in primo luogo, osservato che a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. -secondo l’interpretazione data a questa norma dalle Sezioni Unite nella
sentenza n. 8053/2014 -il sindacato di legittimità sulla motivazione è al ‘minimo costituzionale’, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Effettuata questa doverosa premessa, ritiene il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata risponda in effetti ampiamente al requisito del ‘minimo costituzionale’, avendo la Corte d’Appello risposto puntualmente, e con argomentazioni giuridiche pienamente condivisibili, alle censure svolte dalle odierni ricorrenti nell’atto di appello.
In primo luogo, correttamente, il giudice di secondo grado ha osservato, con riferimento al requisito dell’esistenza del credito, che quello eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore. Sul punto, l’orientamento di questa Corte, a partire dalle Sezioni Unite n. 9440/2004, è assolutamente consolidato (vedi Cass. n. 16772/09; Cass. n. 11573/2013; Cass. n. 2673/2016; Cass. n. 3369/2019) e dunque la Corte d’Appello, di fronte alle contestazioni degli
appellanti in ordine all’esistenza del credito, non era tenuta ad aggiungere altro.
In ordine al requisito dell’ eventus damni , va, in primo luogo, osservato che la Corte d’Appello ha puntualmente risposto alle censure con cui gli appellanti hanno dedotto l’insussistenza di un concreto pericolo di un’insufficienza patrimoniale del debitore. L’allegazione degli appellanti, secondo cui vi erano i beni dei due garanti COGNOME e COGNOME ipotecati a garanzia del credito della Banca, è stata confutata dal giudice di secondo grado osservando che tali beni erano stati aggiudicati, in virtù di un’iscrizione di primo grado non riferita a RAGIONE_SOCIALE, ad un importo che non copriva neppure in linea capitale il credito per la tutela del quale l’appellata aveva agito in revocatoria. Le censure svolte sul punto, circa il parziale ed erroneo esame della documentazione in atti, sono inammissibili, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito. Né le ricorrenti possono dolersi che il giudice d’appello non ha considerato, ai fini di valutare la consistenza patrimoniale del debitore, le partecipazioni societarie della RAGIONE_SOCIALE o la titolarità di un credito verso terzi, avendo la sentenza impugnata correttamente affermato che l’ eventus damni ‘ può essere integrato da qualsiasi atto che determini l’aggravamento della condizione patrimoniale del debitore, tale da rendere impossibile o anche solo più difficile la soddisfazione delle ragioni creditorie’.
Con tale affermazione, il giudice d’appello ha fatto buon uso del principio più volte enunciato da questa Corte (vedi, recentemente, Cass. n. 20232/2023; conf. Cass. n. 7767/07; 1902/2015) secondo cui, in tema di azione revocatoria, il requisito oggettivo dell'” eventus damni ” ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando determini una variazione soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o
difficoltà nel soddisfacimento del credito (nella fattispecie esaminata nella pronuncia n. 20232/2023 è stato ritenuto configurabile l’ eventus damni proprio in un caso di sostituzione di beni immobili con partecipazioni societarie, essendo queste soggette a maggiori mutamenti di valore).
In ordine alla ‘ scientia damni ‘ del debitore, la prospettazione delle ricorrenti, secondo cui sarebbe stato documentalmente provato il disinteresse della banca per l”hotel di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, è stata, ancora una volta disattesa dalla Corte d’Appello, che ha escluso tale ricostruzione alla luce dell’esame delle email intercorse tra le parti. Anche tale valutazione di fatto non è sindacabile in sede di legittimità, con la conseguenza che le censure, sul punto, sono inammissibili.
Infine, con riferimento alla ‘ participatio fraudis ‘, la Corte territoriale, nel ritenere sussistente tale requisito, ha fatto buon uso del principio enunciato da questa Corte secondo cui la prova della ” participatio fraudis ” del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (vedi Cass. n. 1286/2019; vedi anche Cass. n. 5359/2009); tale valutazione è incensurabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivata (vedi Cass. n. 5618/2016, n. 5618; Cass., n. 17327/2011; Cass. n. 13330/2004).
Ne consegue che le censure delle ricorrenti, sul punto, sono inammissibili.
E’, infine, giuridicamente erroneo il rilievo di parte ricorrente secondo cui il rapporto di parentela tra il legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE e quello della NOME COGNOME non potrebbe
essere valorizzato, costituendo tali società soggetti giuridici autonomi rispetto ai loro soci.
Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 8735/2009; conf. Cass. n. 2748/05; Cass. n. 5106/2012) ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di azione revocatoria ordinaria, qualora l’alienante sia una società, il requisito della “scientia damni” va accertato avendo riguardo all’atteggiamento psichico della (o delle) persone fisiche che la rappresentano, ai sensi del criterio stabilito dall’art. 1391 cod. civ., applicabile all’attività delle persone giuridiche.
In conclusione, la sentenza impugnata, con una motivazione che non è affatto ‘apparente’, né argomentata meramente ‘per relationem’ alla sentenza di primo grado, essendo state esaminate, con dovizia di particolari, tutte le censure delle appellanti, è assolutamente immune da censure.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. comma 2° n. 4 c.p.c., 118 disp. att. (con riferimento all’art. 345 ult. comma c.p.c.) 111 comma 6° Cost.
Le ricorrenti lamentano la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 2 c.p.c. del giudizio di primo grado, reiterati nelle conclusioni di primo grado e in appello. Le ricorrenti si lamentano che la Corte d’Appello non si è pronunciata sul punto.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è principio consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 13485/2014) quello secondo cui in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni.
Nel caso di specie, è evidente che la Corte di merito ha condiviso la valutazione di inammissibilità delle istanze istruttorie già effettuata dal giudice di primo grado, così escludendone implicitamente la rilevanza e la decisività.
Tale apprezzamento, che è riservato al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità se non per difetto di motivazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360 comma 1° n. 5, come interpretato dalla sentenza delle sezioni Unite di questa Corte n. 80053/2014 (vizio neppure dedotto).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10.700, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 15.10.2024