Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20538 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1972/2023 R.G. proposto da :
FALLIMENTO SDF NOME TRA I SIG.RI NOME COGNOME NOME E NOME COGNOME DEI SINGOLI SOCI, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in NPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende ;
-ricorrente-
contro NOME COGNOME, NOME COGNOME;
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2618/2022 depositata il 10/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2017, il Fallimento della società di fatto ‘NOME COGNOME‘, tra i Sig.ri NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME nonché dei singoli soci in proprio (per brevità, ‘il Fallimento’), conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli Nord, i Sig.ri COGNOME NOME e COGNOME NOME, per far dichiarare la inefficacia relativa, ex art. 2901 c.c., della donazione del 18 maggio 2012 e della successiva donazione del 22 dicembre 2015, con cui NOME COGNOME aveva trasferito beni in favore di NOME Marano.
A fondamento della sua pretesa, parte attrice deduceva che: a) il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9/2007, dichiarava il fallimento della società di fatto con funzioni di holding di un gruppo di società riconducibili ai soci NOME, NOME e NOME COGNOME, dei quali dichiarava anche il fallimento personale; b) la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio dei falliti, cui contestava anche reati commessi in relazione al dissesto della società di fatto, poi fallita; c) in tale giudizio il Fallimento figurava come parte lesa; d) il G.U.P. del Tribunale di Napoli pronunciava sentenza di patteggiamento del 15/07/2011, con la condizione che fosse assicurato un reintegro patrimoniale di almeno Euro 3 milioni, da suddividere in parti uguali fra le masse, sociale e personali; e) con scrittura dell’11/02/2011, NOME COGNOME si impegnava al parziale pagamento di tale somma, nei limiti dell’importo che sarebbe stato ricavato dalla liquidazione dell’immobile di sua proprietà sito in Melito di Napoli, alla INDIRIZZO
Kennedy n. 61, a condizione che la vendita avesse avuto luogo per un importo netto non inferiore ad Euro 300.000; f) NOME COGNOME con atto, per notar dott. COGNOME NOME, del 18/05/2012 donava al germano COGNOME NOME il diritto di nuda proprietà sul summenzionato immobile sito in Melito di Napoli; g) in seguito al decesso del Sig. NOME COGNOME in data 20/05/2012, a distanza di due giorni dalla intervenuta donazione in favore di COGNOME NOME, si consolidava in capo a quest’ultimo la piena proprietà del cespite in oggetto; h) NOME COGNOME con atto, per notar dott. COGNOME COGNOME, del 22/12/2015 donava a NOME COGNOME, figlio di NOME, l’immobile sito in Melito di Napoli; i) tali vicende arrecavano al fallimento un danno pari, almeno, ad Euro 300.000, da ascriversi alla responsabilità (contrattuale o, in subordine, extracontrattuale) di NOME COGNOME – che dolosamente si era posto nella condizione di non poter adempiere l’obbligo assunto con la scrittura dell’11/02/2011 – e del fratello NOME COGNOME il quale aveva concorso con il primo cum animo nocendi, o comunque con la consapevolezza di ledere le ragioni del Fallimento; l) il Fallimento intendeva così cautelare il predetto credito risarcitorio ex art. 1218 c.c. ovvero, in subordine, ex art. 2043 c.c. – non avendo peraltro il Sig. NOME COGNOME altri beni.
Con sentenza n. 3058/2019, il Tribunale di Napoli Nord, dichiarava l’inammissibilità della domanda, poiché il Fallimento non aveva inizialmente citato tutti i litisconsorti necessari, sostenendo che tale mancanza non poteva essere sanata attraverso l’ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., in base all’assunto per cui, attribuendo al giudice il potere di disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio anche nei casi di litisconsorzio c.d. ‘sostanziale’, si finirebbe per ammettere uno strumento volto soltanto ad integrare l’inerzia e la negligenza della parte che abbia omesso di citare tutte le parti del rapporto sostanziale e a dare, così, attuazione a esigenze esclusive di parte
attrice, dovendosi invece limitare il potere di cui all’art. 102, comma 2, c.p.c. ai soli casi in cui il legislatore prescrive la partecipazione di una pluralità di parti al medesimo processo (litisconsorzio necessario c.d. ‘processuale’), per le finalità pubblicistiche dallo stesso perseguite.
Il Fallimento proponeva appello, censurando la sentenza di primo grado per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., perché venisse accertata l’integrità del contraddittorio nel giudizio di primo grado, per avere il Fallimento provveduto tempestivamente e ritualmente -alla notifica della citazione dell’atto di integrazione del contraddittorio all’avv. COGNOME COGNOME, allora curatore speciale dell’eredità giacente di NOME COGNOME per nomina del Tribunale di Napoli Nord. Di poi, l’appellante procedeva a riproporre, ex art. 346 c.p.c., la domanda di revocatoria ordinaria non esaminata dal primo Giudice.
Con sentenza n. 2618/2022, la Corte d’Appello di Napoli: in via preliminare, dichiarava la contumacia di NOME COGNOME, NOME COGNOME e di NOME COGNOME, curatrice dell’eredità giacente di NOME COGNOME ritenendo non condivisibile l’interpretazione data dal Tribunale dell’art. 102, comma 2, c.p.c., applicabile anche in caso di violazione del litisconsorzio necessario sostanziale, non potendo peraltro revocarsi in dubbio che sussista litisconsorzio necessario nell’azione revocatoria tra debitore e terzo; nel merito: accoglieva l’azione ex art. 2901 c.c., dichiarando l’inefficacia nei confronti del Fallimento dell’atto di donazione del 18/05/2012, nonché dell’atto di donazione del 22/12/2015. Per l’effetto, condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’eredità giacente di NOME COGNOME alla rifusione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio in favore dell’appellante.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Fallimento propone ora ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con unico motivo il ricorrente denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Lamenta che dall’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e da tutti gli altri atti del processo emerge che l’azione revocatoria è stata promossa a tutela dello specifico diritto al risarcimento del danno vantato nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per essersi dolosamente posto, il primo, nell’impossibilità di adempiere l’obbligazione assunta in forza della scrittura dell’11/02/2011, e per aver concorso, il secondo, nell’altrui illecito cum animo nocendi , o comunque con la consapevolezza di recare pregiudizio alla procedura concorsuale.
Si duole che la corte di merito abbia accolto l’azione revocatoria ponendo a base della decisione un distinto credito, fondato su un diverso fatto costitutivo, a tale stregua emettendo una pronunzia priva di corrispondenza con la proposta domanda.
Segnatamente, la Corte territoriale avrebbe costituito, in favore del Fallimento, la inefficacia delle due donazioni (i.e., quella del 18/05/2012 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, e quella del 22/12/2015 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME), deducendo che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante medesimo, il credito troverebbe la sua fonte nella promessa unilaterale del l’11/02/2011, con cui NOME COGNOME, al fine di contribuire al pagamento di Euro 3.000.000, si impegnava al reintegro parziale di tale somma nei limiti dell’importo che sarebbe stato ricavato dalla liquidazione dell’immobile di sua proprietà, sito in Melito di Napoli, a condizione che la vendita avesse avuto luogo per un importo netto non inferiore ad Euro 300.000, obbligandosi – altresì – al versamento del ricavato nelle mani del curatore del Fallimento non oltre la misura in quel momento ancora necessaria al raggiungimento dell’importo complessivo di Euro 3.000.000.
La Corte d’Appello sarebbe giunta a tale conclusione in ragione della considerazione per cui la condizione contenuta nell’atto unilaterale dell’11/02/2011 si sarebbe in effetti avverata, ai sensi dell’art. 1359 c.c., proprio per effetto della donazione della nuda proprietà sull’immobile, che aveva reso impossibile l’avveramento della condizione sospensiva. Di conseguenza, avrebbe così stimato come superfluo il riferimento operato dal Fallimento all’obbligazione risarcitoria dedotta alla base dell’azione revocatoria, che deriverebbe dal fatto che NOME COGNOME si era posto volontariamente nella condizione di non adempiere e che costituirebbe obbligazione tutelata mediante l’esercizio dell’actio pauliana.
Da ciò si paleserebbe l’errore commesso dalla corte territoriale, avendo essa sostituito un diritto di credito ad un altro diverso, così attribuendo all’appellante un bene della vita del tutto distinto da quello richiesto, quando invece non sussisteva ragione alcuna di discostarsi dal fatto costitutivo posto a base della domanda giudiziale, essendo stato chiarito in Cass. n. 4212/2020 che l’unico vaglio da eseguire afferisce alla non manifesta pretestuosità della ragione di credito dedotta in giudizio.
Il motivo è infondato e va rigettato nei termini di seguito indicati.
Il ricorrente riconduce la denunziata violazione alla modifica della causa petendi proposta nella editio actionis e alla conseguente attribuzione, da parte della corte territoriale di un petitum c.d. mediato diverso da quello cui aspirava l’appellante: segnatamente, nel non aver accordato tutela revocatoria in relazione al preteso credito risarcitorio (peraltro, allo stato, insussistente, poiché mai accertato) nei confronti dei fratelli NOME e NOME COGNOME.
Oggetto di specifica censura è la seguente porzione della sentenza gravata: «Alla luce di quanto esposto, deve quindi ritenersi, diversamente da quanto sostenuto dalla stessa appellante, che
NOME COGNOME fosse obbligato proprio in forza dell’atto unilaterale in questione che – a prescindere da ogni disputa dottrinaria circa la possibilità di ritenere fonti di obbligazioni le promesse unilaterali diverse da quelle tipiche -quanto meno esonera la curatela dall’onere della prova circa il rapporto fondamentale (art. 1988 c.c.). È poi irrilevante, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, il fatto che il pagamento fosse sottoposto a condizione (vendita dell’immobile per almeno Euro 300.000); l’azione revocatoria ordinaria ben può essere utilizzata anche a tutela di crediti condizionati (Cass. 7484/2001; Cass. 591/1999) che non siano liquidi o facilmente liquidabili (Cass. 6511/2004) o addirittura ancora sub iudice (Cass. 12144/1999; Cass. 1712/1998; Cass. 5863/1998). A ciò può aggiungersi un’ulteriore considerazione; la condizione contenuta nell’atto unilaterale del 10/2/2011 deve considerarsi avverata ai sensi dell’art. 1359 c.c. proprio per effetto della donazione della nuda proprietà sull’immobile che rendeva impossibile l’avveramento della condizione sospensiva. Sicché appare superfluo il riferimento dell’appellante all’obbligazione risarcitoria (ex art. 1218 c.c. o 2043 c.c.) che deriverebbe dal fatto che NOME COGNOME si era posto volontariamente nella condizione di non adempiere e che costituirebbe, a suo avviso, l’obbligazione tutelata mediante l’esercizio dell’azione pauliana» (così a pag. 10 della sentenza).
Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha invero compiutamente esaminato la domanda proposta dal Fallimento, tenendo conto delle allegazioni effettuate dall’appellante, senza che da ciò possa considerarsi dalla medesima realizzata una alterazione della causa petendi così come identificata nella domanda giudiziale. La circostanza per cui la corte di merito ha considerato «superfluo il riferimento dell’appellante all’obbligazione risarcitoria» non vale, infatti, ad infirmare la motivazione della sentenza impugnata, né a modificare inammissibilmente la causa petendi , poiché la corte
territoriale ha fatto riferimento, per tale via, ad una questione comunque ricompresa tra quelle dedotte in giudizio dal Fallimento.
Ha al riguardo argomentato che «deve riconoscersi l’esistenza dell’ eventus damni e la consapevolezza in capo allo stesso della dannosità dell’atto nei confronti della curatela (senza che assuma rilievo l’intenzione di cagionare danno ai creditori; cfr. Cass. 2792/1992), dal momento che la donazione della nuda proprietà (con riserva dell’usufrutto vitalizio) rendeva impossibile l’adempimento dell’obbligazione oggetto dell’atto del 10/2/2011; a ciò può aggiungersi che il fallimento ha depositato documentazione dalla quale risulta che il donante non possedeva altri immobili»; circostanze, queste, che il ricorrente ribadisce anche nel ricorso per cassazione, a fondamento della sua pretesa.
A ben vedere, dunque, dalla complessiva motivazione resa dalla Corte d’Appello emerge nitidamente come quest’ultima non abbia in effetti omesso di raccordare la statuizione de quo al preteso credito risarcitorio (eventuale e, allo stato, inesistente, e neanche sub iudice ) prospettato dal Fallimento, ritenendo soltanto che la fondatezza della revocatoria trovasse ancor prima fondamento, e perciò andasse riferita, al credito (questo, sì, certo) che trova la sua fonte nella scrittura privata dell’11/02/2011 sottoscritta da NOME COGNOME rimanendo -pertanto -al di qua della perimetrazione segnata dalla prospettazione attorea.
Del resto la corte di merito ha accertato che la donazione del 2012 ha sicuramente recato un pregiudizio al credito originario del Fallimento, determinando la impossibilità della prestazione per causa imputabile al debitore; sicché, in carenza di altri beni nel patrimonio del defunto Sig. COGNOME NOME -ciò che pure costituisce accertamento compiuto dalla Corte di merito -, tale pregiudizio deve ritenersi inalterato, a più forte ragione, anche in riferimento al corrispondente credito risarcitorio, ancora tutto da accertare.
È appena il caso di osservare, in proposito, che, secondo un indirizzo anche di recente sostenuto da questa Corte, la rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice del merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale errore procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il predetto giudice abbia svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (così, Sez. 3, Ordinanza n. 27181 del 22/09/2023).
La decisione impugnata risulta, dunque, fondata su circostanze di fatto regolarmente dedotte e allegate in giudizio dalle parti, immune dal vizio di ultrapetizione, conformemente all’indirizzo ormai consolidato di questa stessa Corte con riguardo a siffatte ipotesi (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5153 del 21/02/2019: «il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti»; Sez. 3, Ordinanza n. 36272 del 28/12/2023: «il giudice d’appello ha il potere di interpretare e qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, salvo il caso in cui sulla qualificazione accolta da quest’ultimo si sia formato il giudicato interno e a condizione che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano o si pongano, comunque, in relazione di continenza, con quelli allegati nell’atto introduttivo»; Sez. 3, Ordinanza n. 10402 del 17/04/2024: «il giudice ha il potere di
qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti a condizione che la ‘causa petendi’ rimanga identica, il che deve escludersi quando i fatti costitutivi del diritto azionato, intesi quale fondamento della pretesa creditoria e non quali fatti storici, mutano o, se già esposti nell’atto introduttivo del giudizio in funzione descrittiva, vengono dedotti con una differente portata»).
All’infondatezza nei suindicati termini del motivo consegue il rigetto del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza