LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Azione revocatoria: il dies a quo non si anticipa

La Corte di Cassazione interviene sul tema dell’azione revocatoria fallimentare, chiarendo un punto cruciale sul termine di decadenza. Il caso riguardava un istituto di credito che aveva ricevuto pagamenti da una società poi fallita. La banca sosteneva che l’azione per la revoca di tali pagamenti fosse tardiva, calcolando il termine dall’inizio di una prima procedura di concordato, poi dichiarata inammissibile. La Suprema Corte ha respinto questa tesi, precisando che il termine di tre anni per agire decorre sempre dalla dichiarazione di fallimento. La domanda di concordato anteriore serve solo a far retroagire il ‘periodo sospetto’ per individuare gli atti revocabili, ma non anticipa la scadenza per l’esercizio dell’azione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Azione Revocatoria Fallimentare: La Cassazione e il “Dies a Quo” del Termine di Decadenza

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza pratica nel diritto fallimentare: l’individuazione del corretto dies a quo, ovvero il giorno di partenza, per il termine di decadenza dell’azione revocatoria. La decisione chiarisce la netta distinzione tra il termine per esercitare l’azione e il calcolo del cosiddetto “periodo sospetto”, soprattutto in presenza di procedure concorsuali consecutive.

I Fatti di Causa

Il Fallimento di una società citava in giudizio un Istituto di Credito per ottenere la revoca di alcuni pagamenti, per un importo superiore a 200.000 euro, ricevuti dalla società quando questa si trovava già in stato di insolvenza. Tali pagamenti erano avvenuti nel “periodo sospetto” antecedente alla dichiarazione di fallimento. La Curatela Fallimentare, quindi, agiva ai sensi dell’art. 67 della legge fallimentare per recuperare tali somme alla massa dei creditori.

La Difesa della Banca e la Questione della Consecuzione tra Procedure

L’Istituto di Credito si opponeva alla domanda, sollevando un’eccezione di decadenza. Secondo la tesi della banca, il termine di tre anni per l’esercizio dell’azione revocatoria, previsto dall’art. 69 bis della legge fallimentare, non doveva decorrere dalla data della sentenza di fallimento. Al contrario, doveva essere calcolato a partire dalla data di presentazione di una prima domanda di concordato preventivo “in bianco”, depositata dalla società quasi un anno e mezzo prima della dichiarazione di fallimento. Poiché tale prima domanda era stata dichiarata inammissibile per incompetenza territoriale, e solo dopo circa dieci mesi ne era stata presentata una seconda (che aveva poi condotto al fallimento), la banca sosteneva che l’azione della Curatela fosse ormai tardiva.

L’Azione Revocatoria e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, pur dichiarando inammissibile il ricorso della banca, coglie l’occasione per correggere l’impostazione giuridica e fare chiarezza su un punto fondamentale. I giudici hanno evidenziato come la difesa dell’istituto di credito si basasse su un’errata interpretazione dell’art. 69 bis l.fall., confondendo due disposizioni con finalità completamente diverse.

La Corte ha ribadito che la norma distingue nettamente:

1. Il termine di decadenza (primo comma): L’azione revocatoria deve essere proposta entro tre anni dalla data della dichiarazione di fallimento. Questo termine è fisso e non è influenzato da procedure concorsuali precedenti.
2. Il calcolo del periodo sospetto (secondo comma): Se il fallimento è stato preceduto da una domanda di concordato, il periodo a ritroso (di sei mesi, un anno o due anni a seconda dei casi) per individuare gli atti revocabili si calcola non dalla data del fallimento, ma dalla data di pubblicazione della domanda di concordato. Questa è una norma a favore della massa dei creditori, che “congela” la situazione patrimoniale a un momento anteriore.

Nel caso specifico, l’azione era stata intentata entro due anni dalla dichiarazione di fallimento, quindi ben all’interno del termine triennale previsto dal primo comma. L’argomento della banca era, pertanto, infondato in diritto.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una lettura sistematica e letterale dell’art. 69 bis della legge fallimentare. I giudici hanno spiegato che l’appellante (la banca) e, in parte, la stessa Corte d’Appello avevano operato un’indebita confusione tra i due commi della norma. Il primo comma fissa un termine per l’esercizio del diritto di agire in giudizio, e questo non può che decorrere dal momento in cui il diritto stesso sorge, ovvero con la nomina del curatore a seguito della sentenza di fallimento. Il secondo comma, invece, ha una funzione differente: serve a determinare l’ambito temporale degli atti potenzialmente inefficaci, estendendo a ritroso il periodo di osservazione in caso di consecuzione tra procedure. La Corte ha quindi chiarito che la discussione sullo “iato temporale” tra le due domande di concordato, pur rilevante per altri fini, era inconferente per decidere sulla tempestività dell’azione revocatoria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante principio di diritto per tutti gli operatori del settore. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:

* Il termine di decadenza per l’azione revocatoria fallimentare è sempre e solo di tre anni dalla data della dichiarazione di fallimento.
* La presentazione di una domanda di concordato preventivo non anticipa la decorrenza di tale termine, ma serve unicamente a far retroagire il calcolo del “periodo sospetto”.
* Gli istituti di credito e gli altri soggetti che ricevono pagamenti da imprese in crisi non possono fare affidamento su precedenti procedure concorsuali, poi abbandonate o dichiarate inammissibili, per eccepire la decadenza dell’azione revocatoria. La data che conta per la tempestività dell’azione è unicamente quella della sentenza dichiarativa di fallimento.

La presentazione di una domanda di concordato preventivo anticipa il termine per esercitare l’azione revocatoria fallimentare?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il termine triennale di decadenza per esercitare l’azione revocatoria decorre sempre e solo dalla data della dichiarazione di fallimento, come previsto dal primo comma dell’art. 69 bis della legge fallimentare.

A cosa serve allora la data della domanda di concordato preventivo secondo l’art. 69 bis della legge fallimentare?
La data della domanda di concordato serve a far retroagire l’inizio del cosiddetto “periodo sospetto”. In altre parole, il periodo di tempo antecedente al fallimento entro cui gli atti possono essere revocati si calcola a ritroso non dalla dichiarazione di fallimento, ma dalla data di pubblicazione della domanda di concordato.

Un intervallo di tempo significativo tra una prima domanda di concordato inammissibile e una seconda può interrompere la “consecuzione delle procedure”?
Sì. Secondo quanto evidenziato dai giudici di merito, un “iato temporale” di 10 mesi tra una prima domanda (dichiarata inammissibile) e la seconda impedisce di considerare le procedure come un’unica sequenza. Di conseguenza, gli effetti della consecuzione, come la retrodatazione del periodo sospetto, non si applicano alla prima domanda ma solo a quella che ha preceduto immediatamente il fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati