Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9355 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9355 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14102/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso e della comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Cagliari n. 94/2021, pubblicata in data 1° marzo 2021 e notificata il 10 marzo 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, deducendo di essere creditrice della F.RAGIONE_SOCIALE. Allevamenti di NOME RAGIONE_SOCIALE e dei soci illimitatamente responsabili, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di decreto ingiuntivo non opposto, conveniva in giudizio i coniugi NOME COGNOME ed NOME COGNOME al fine di far dichiarare l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ., nei suoi confronti, del fondo patrimoniale costituito il 23 novembre 2009, nel quale i coniugi avevano fatto confluire fabbricati e terreni di loro proprietà.
Nel contraddittorio con i convenuti, i quali eccepivano il difetto di tutte le condizioni previste per l’esperibilità dell’azione, il Tribunale di Oristano accoglieva l’azione.
La sentenza, impugnata dai coniugi soccombenti, è stata confermata dalla Corte d’appello di Cagliari , la quale, dopo avere disatteso l’eccezione di inesistenza della procura alle liti rilasciata dalla creditrice appellata ai difensori, ha ritenuto dimostrati i presupposti dell’azione revocatoria, escludendo al contempo che la annotazione della costituzione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio costituisse presupposto per l’esperibilità della domanda.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano ‹‹ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) -Violazione dell’art. 2901 c.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2697, 2727 e 2729 c.c. -Falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) ›› .
Sostengono che dagli atti del giudizio non emerge la circostanza, posta a fondamento della sentenza, della ‹‹scelta dell’appellante di destinare tutti i beni dei soci ad un fondo patrimoniale azzerando ogni possibile garanzia ai creditori ovvero ai clienti ›› ; al contrario, i soci della RAGIONE_SOCIALE erano esclusivamente NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei cui confronti la RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto il decreto ingiuntivo, mentre il fondo patrimoniale era stato esclusivamente costituito tra la socia, odierna ricorrente, ed il coniuge NOME COGNOME che non risultava tra i soci.
Soggiungono che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’ap pello:
il fondo patrimoniale non aveva azzerato le garanzie patrimoniali dei clienti della RAGIONE_SOCIALE, dato che nel giudizio di merito era stata prodotta una perizia di stima dei beni mobili ed immobili aziendali, non contestata da controparte, che attribuiva ad essi un valore di circa euro 1.000.000,00, di gran lunga superiore alla somma reclamata con il decreto ingiuntivo, documento che la Corte d’appello aveva omesso di esaminare e idoneo ad inficiare il convincimento del giudice di secondo grado;
il fondo patrimoniale era atto dispositivo a titolo gratuito che, nella specie, era stato stipulato in data anteriore all’insorgenza del
credito per la tutela del quale si agiva;
ai fini della revocatoria dell’atto dispositivo, era necessaria la prova in giudizio del consilium fraudis del solo debitore, che, in ragione dell’anteriorità dell’atto, si sostanziava nella dolosa preordinazione prevista dall’art. 2901 cod. civ.;
la dolosa preordinazione non poteva essere desunta dalla mera consapevolezza o dall’agevole conoscibilità del pregiudizio che l’atto posto in essere avrebbe potuto arrecare alle regioni della RAGIONE_SOCIALE.p.a.; né l’ animus nocendi poteva farsi discendere dal fatto della mera stipula dell’atto di disposizione.
Con il secondo motivo, deducendo la ‹‹ violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., come integrato dall’art. 45, comma 9, lett. b), legge n. 69/2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. ›› , i ricorrenti attingono la decisione gravata nella parte in cui ha respinto la eccepita nullità della procura alle liti rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE ai suoi difensori, dopo che era stato a d essa assegnato il termine di cui all’art. 182 c.p.c. per la sua rinnovazione. Precisano che, in data 16 maggio 2018, il difensore della creditrice aveva depositato telematicamente una procura alle liti rilasciata in data 10 maggio 2018, nella quale il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dichiarava di ‘rinnovare la delega rilasciata in data 1.6.2017 …’ ; ciò in violazione del richiamato art. 83 cod. proc. civ., che esigeva, ai fini della rinnovazione della procura inficiata da nullità, il rilascio di un altro mandato al difensore.
Con il terzo motivo, deducendo la ‹‹ violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 2901 e 162 c.c. -Violazione dell’art. 100 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ›› , i ricorrenti censurano la decisione impugnata per avere ritenuto che l’atto dispositivo arrecasse pregiudizio alle ragioni creditorie e, in particolare, per avere, nella sostanza, affermato che l’atto di
costituzione di una convenzione matrimoniale fosse pregiudizievole per sua stessa natura, senza soffermarsi a verificare se il creditore avesse fornito prova della lesività dell’atto dispositivo quantomeno mediante produzione dell’annotazione del negozio sull’atto di matrimonio.
Il secondo motivo che, per motivi di ordine logico, deve essere trattato con priorità, è inammissibile, in quanto non tiene conto dell’accertamento svolto dalla sentenza impugnata, che, sul punto, si è così espressa: ‹‹ alla luce del termine concesso nelle more del giudizio da questa Corte, la RAGIONE_SOCIALE ha con nota di deposito prodotto una nuova procura, redatta nel rispetto dell’art. 83 c.p.c. ovvero mediante deposito telematico di procura su documento informatico sottoscritto digitalmente dal difensore e pertanto idoneo a ritenersi congiunto all’atto cui si riferisce›› (pag. 5 della motivazione).
Dal percorso argomentativo svolto dai giudici di appello si evince che, in realtà, la RAGIONE_SOCIALE, allora appellata, ha depositato un nuovo mandato, distinto dalla prima procura, così sanando, entro il termine all’uopo concesso ai sensi dell’art. 182 cod. proc. civ., la nullità rilevata, per cui i rilievi mossi, incentrati sulla (presunta) assenza di una nuova procura e sulla possibilità per il difensore di certificare l’autografia della sottoscrizione della procura solo nel caso in cui essa sia stata apposta in calce o a margine degli atti processuali elencati nell’art. 183 cod. proc. civ., non si confrontano con la ratio che sorregge la decisione.
Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
5.1. Per quanto attiene al lamentato vizio motivazionale, trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal primo comma, lett. b) , dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi escludere qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia -nella specie all’esame non sussistente -si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, principale o secondario, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, i ricorrenti non propongono le relative doglianze nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del codice di rito, poiché argomentano la violazione della disposizione attraverso il confronto della congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dalla Corte territoriale, ascrivendo alla Corte territoriale il mancato esame di un documento -la perizia di stima dei beni mobili ed immobili della società RAGIONE_SOCIALE Allevamenti -in tal modo ponendosi in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del vizio contestato.
5.2. Quanto, poi, al contestato difetto di prova del consilium fraudis , va rilevato che la Corte territoriale ha accertato la ricorrenza della dolosa preordinazione, rinvenendola nella scelta della odierna ricorrente di modificare la composizione del proprio patrimonio, mediante la destinazione di tutti i beni di sua proprietà ad un fondo patrimoniale, in funzione del sorgere di obbligazioni in capo alla RAGIONE_SOCIALE, di cui la stessa era socia, e, dunque, al fine di impedire o rendere più difficile l’azione esecutiva da parte dei creditori, nella consapevolezza della situazione di difficoltà economica finanziaria in cui già versava la società, la quale, nel 2011, a seguito di una serie di eventi, quali il furto di animali, una infezione di mixomatosi ed il taglio dei finanziamenti regionali, aveva cessato di svolgere l’attività imprenditoriale.
La decisione qui impugnata si pone in linea anche con la recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., sez. U, n. 1898/2025), che ha enunciato il principio per cui, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare la ‘dolosa preordinazione’ richiesta dall’art. 2901, primo comma, cod. civ. non è sufficiente la mera consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni dei creditori (cd. dolo generico), ma è necessario
che l’atto sia stato posto in essere dal debitore in funzione del sorgere dell’obbligazione, al fine di rendere più difficile l’azione esecutiva o comunque di pregiudicare il soddisfacimento del credito, attraverso una modificazione della consistenza del proprio patrimonio (cd. dolo specifico), e costituisca, dunque, ‘attuazione di un disegno volto a disfarsi dei propri beni, proprio in vista dell’assunzione di quello specifico debito’.
Le censure rivolte alla sentenza, in realtà, sotto la apparente deduzione di vizi di violazione di legge, tendono surrettiziamente a sollecitare a questa Corte un riesame di questioni fattuali, anche laddove si deduce una violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., perché, sul punto, i ricorrenti non formulano censure in iure nei termini chiariti nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 1785 del 2018.
Il terzo motivo è infondato.
6.1. I ricorrenti tornano a ribadire, anche in questa sede, che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe né allegato, né dimostrato che il fondo patrimoniale era effettivamente di pregiudizio alle ragioni creditorie anche sulla base degli elementi di fatto previsti dall’art. 162 cod. civ.
Al riguardo, la sentenza impugnata non si discosta dal consolidato orientamento di questa Corte.
Come già osservato, il particolare sistema di pubblicità regolato per le convenzioni matrimoniali dall’art. 162, terzo comma, cod. civ. opera a garanzia dei coniugi, i quali possono, in tal modo, rendere la convenzione opponibile ai terzi.
È vero che il fondo patrimoniale non annotato sull’atto di matrimonio non è opponibile ai terzi (Cass., sez. 3, 10/07/2008, n. 18870; Cass., sez. 3, 08/10/2008, n. 24798) ed è privo di effetti nei loro confronti. Ciò non significa, però, che l’omissione di tale
annotazione -ovvero la mancanza della prova di tale annotazione -a margine dell’atto di matrimonio, dell’atto di costituzione di un bene in fondo patrimoniale possa risultare rilevante al fine di paralizzare l’azione revocatoria promossa avverso l’iscrizione di un bene immobile nel fondo, perché il sistema di pubblicità di cui all’art. 162, terzo comma, cod. civ., fondato sull’annotazione, ha la finalità di rendere la convenzione matrimoniale opponibile ai terzi, ma l’azione revocatoria non ha tra i suoi elementi costitutivi la circostanza che l’atto in relazione al quale è domandata sia opponibile ai creditori (Cass., sez. 6 -3, 06/03/2019, n. 6450).
La mancata opponibilità, in altri termini, non può giovare ai coniugi odierni ricorrenti, perché altrimenti in tal modo essi potrebbero evitare ogni contestazione da parte dei creditori e, anche se la prova dell’annotazione è mancante, ciò non muta i termini della questione, perché la possibilità di agire in revocatoria non può comunque ritenersi preclusa. L’azione revocatoria non ha tra i suoi fatti costitutivi la circostanza che l’atto sia opponibile ai creditori, ma solo che esso sia stato compiuto e che, a seguito di ciò, abbia sottratto formalmente il bene dal patrimonio del debitore; difatti, obiettivo dell’azione revocatoria, come risulta dall’art. 2902, primo comma, cod. civ., non è quello di far rientrare il bene nel patrimonio del debitore, ma soltanto quello di consentire che su quel bene il creditore possa soddisfarsi, promuovendo l’esecuzione (art. 602 cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3, 21/02/2023, n. 5356; Cass., sez. 6 -3, 06/03/2019, n. 6450).
Ciò comporta l’infondatezza de lla tesi censoria secondo cui la mancanza di annotazione della convenzione matrimoniale nell’atto di matrimonio avrebbe fatto venire meno l’interesse della odierna controricorrente ad intraprendere l’azione revocatoria , perché la possibilità di agire in revocatoria non può comunque essere impedita
dall’assenza di pubblicità ; e va, pure, esclusa la configurabilità della violazione dell’art. 2697 cod. civ. , avendo, correttamente, la Corte territoriale osservato che la prova del l’annotazione del fondo a margine dell’atto di patrimonio, atteggiandosi quale eccezione volta a paralizzare l’azione del creditore, incombe sul debitore, dovendo il creditore limitarsi a provare gli elementi costitutivi della azione, ossia la costituzione del fondo, l’esistenza del proprio credito, il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie ed il consilium fraudis .
6.2. La censura non coglie nel senso neppure là dove si assume che la Corte d’appello avrebbe ritenuto che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale sarebbe pregiudizievole per sua natura.
Come emerge dal complessivo tenore della motivazione della sentenza impugnata, i giudici di merito hanno piuttosto considerato raggiunta anche la prova del pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo alle ragioni fatte valere dalla creditrice sul diverso presupposto che tutti i beni della socia odierna ricorrente sono confluiti nel fondo patrimoniale, così rendendo difficile, se non addirittura impossibile, per la creditrice soddisfarsi sul patrimonio della debitrice. Invero, in tema di azione revocatoria ordinaria, l’accertamento dell’ eventus damni non presuppone una valutazione del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede solo la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (tra le tante, Cass., sez. 3, 29/09/2021, n. 26310; Cass., sez. 3, 14/07/2023, n. 20232; Cass., sez. 6-3, 18/06/2019, n. 16221; Cass., sez. 2, 03/02/2015, n. 1902), prova che il giudice d’appello ha ritenuto offerta dalla creditrice.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione