Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25612 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25612 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 640/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME, domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo Pec in atti.
–
contro
ricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3136/2022 depositata il 06/10/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE cessionaria di ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE comprensivo di un mutuo concesso alla società RAGIONE_SOCIALE e garantito con fideiussione da NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME esperiva azione revocatoria, chiedendo la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. dell’atto notarile con cui NOME COGNOME con il consenso del coniuge NOME COGNOME COGNOME costituiva un fondo patrimoniale ai sensi degli artt. 167 e ss. cod. civ., conferendovi dei beni immobili, di piena proprietà della medesima, per far fronte ai bisogni della famiglia.
Con sentenza n. n. 3869/2021 il Tribunale di Milano, rigettata la preliminare eccezione di incompetenza territoriale, accoglieva l’azione revocatoria proposta da RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
Avverso tale sentenza i coniugi COGNOMECOGNOME proponevano appello; si costituiva, resistendo al gravame, Banco BPM s.p.a., quale avente causa di Release s.p.a.
Con sentenza n. 3136 del 6 ottobre 2022 la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso Banco PMN sRAGIONE_SOCIALEp.a.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il ricorrente e la società controricorrente hanno depositato rispettive memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano ‘Violazione e
falsa applicazione degli artt. 3 e 33 d.lgs. 206/2005 nonché degli artt. 18, 20 e 28 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
Censurano l’impugnata sentenza là dove ha rigettato la loro eccezione di incompetenza per territorio del foro di Milano, dovendo la causa essere radicata presso il diverso foro di Udine, in quanto foro del consumatore.
Deducono che NOME COGNOME non rivestiva alcun ruolo nella compagine della società debitrice principale e che la mera assunzione di cariche gestorie da parte della sig.ra COGNOME o da parte del marito in epoca successiva alla sottoscrizione della fideiussione non sarebbero circostanze tali da escludere, con un giudizio ex post , la qualità di consumatore al momento della sottoscrizione della garanzia (v. p. 15 del ricorso).
1.1. In disparte il pur non marginale rilievo per cui nel motivo i ricorrenti si limitano a riproporre le doglianze svolte in appello, senza tenere conto della motivazione resa dall’impugnata sentenza, il motivo è infondato.
Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta infatti che la corte milanese, nel confermare la sentenza di prime cure, ne ha riportato e condiviso la motivazione, che ha escluso ‘in forza delle cariche societarie rivestite’, circostanza questa considerata in sé e per sé che ‘la convenuta NOME possa aver agito in veste di consumatore, avendo prestato garanzia per un mutuo la cui garanzia ipotecaria veniva poi a gravare su un immobile appartenente ad una società in cui la stessa veniva a rivestire la carica di amministratore unico’ ed ha espressamente richiamato, scrupolosamente conformandosi, il consolidato principio secondo cui ‘nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e
14 settembre 2016, in causa C-534/15, COGNOME), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento’ (cfr. Cass., Sez. Un., 27/02/2023, n. 5868; Cass., 16/01/2020, n. 742).
Di talchè è possibile qui ribadire, alla luce della giurisprudenza unionale e nazionale, il principio per cui la qualifica di consumatore va invece esclusa in capo al fideiussore ogniqualvolta la prestazione della garanzia rientri nell’attività professionale del garante ovvero vi siano collegamenti funzionali che lo leghino all’attività svolta dalla società garantita.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano ‘Nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 132 c.p.c. nonché degli artt. 3 e 33 d.lgs. 206/2005 (art. 360, n. 4 c.p.c.)’.
Nuovamente censurano l’impugnata sentenza, proponendo il motivo in via subordinata nella denegata ipotesi di rigetto del primo motivo, là dove, a loro dire, avrebbe travisato le risultanze probatorie sino a pervenire al rigetto dell’eccezione di incompetenza per territorio del foro di Milano, dovendo la causa essere radicata presso il foro di Udine in quanto foro del consumatore ex art. 33, c. 2, lett. u), d.lgs. n. 206/2005.
Deducono in particolare che l’impugnata sentenza ha attribuito a NOME COGNOME la qualità di professionista già alla data di prestazione della garanzia fideiussoria, mentre tale assunto era smentito per tabulas dalle risultanze delle visure camerali prodotte in atti.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Non solo, infatti, il contenuto delle visure non viene specificatamente trascritto o riportato nei passaggi salienti, in
violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ma il vizio di nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, cod. proc. civ., viene invocato in maniera non conforme agli insegnamenti di questa Suprema Corte, secondo cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, e dunque purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e successive conformi).
Parimenti inammissibile è l’evocazione della violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., che non tiene conto del consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (v. tra le tante Cass., 15/10/2024, n. 26739; Cass., 30/09/2020, n. 20867).
Infine, il vizio di travisamento della prova viene evocato in maniera generica ed assertiva, senza tenere conto degli insegnamenti di cui al recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, che riportano la deduzione del vizio al precipuo rimedio della revocazione o, al più, nei summenzionati precisi ambiti della violazione dell’art. 360, n. 4 o n. 5 cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. Un., 05/03/2024, n. 5792: ‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della
riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione alla valutazione dell’elemento soggettivo ex art. 2901 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
Censurano l’impugnata sentenza là dove ha statuito: ‘da ultimo, quanto al requisito della scientia damni , anch’esso deve ritenersi integrato, innanzitutto in ragione della concentrazione cronologica che lega la notifica alla Da Ros della risoluzione del contratto di mutuo con intimazione di pagamento entro quindi giorni, avvenuta in data 03.02.2015, e la costituzione del fondo patrimoniale, intervenuta poco dopo, in data 19.03.2015. A ciò si aggiunga che, a sostegno della revocabilità sotto il profilo soggettivo concorre, altresì, la stessa allegazione degli appellanti secondo cui i beni confluiti nel fondo patrimoniale sarebbero entrati nel patrimonio della COGNOME in un momento successivo alla sottoscrizione della fideiussione: avendo già assunto l’obbligazione nei confronti della banca, la COGNOME era perfettamente in condizione di comprendere che la devoluzione degli immobili nel fondo patrimoniale avrebbe determinato la sottrazione degli stessi alla garanzia dei creditori’ (pp. 9 -10 della sentenza).
Lamentano che la corte territoriale non ha fatto buon governo del ragionamento presuntivo, là dove ha anzitutto motivato
basandosi sulla mera scansione temporale intercorsa tra la notifica della risoluzione del rapporto principale e la successiva costituzione del fondo patrimoniale: unico e solo -e pertanto non sufficiente -elemento noto da cui la corte ha poi dedotto, quale fatto ignoto, l’esistenza della scientia damni .
Censurano, inoltre, l’ulteriore considerazione svolta dalla corte territoriale, secondo cui, poiché i beni costituiti in fondo patrimoniale erano entrati nel patrimonio della sig.ra COGNOME in epoca successiva alla prestazione della garanzia, ella allora avrebbe dovuto essere consapevole della loro sottrazione alla garanzia dei creditori. a dire dei ricorrenti, infatti, tale rilevata circostanza sarebbe ‘ben distante dal provare alcunché’, posto che ‘assume come certo ciò che invece costituiva l’elemento da provare (e precisamente la consapevolezza della sig.ra COGNOME‘ (v. p. 27 del ricorso).
Affermano, infine, che la corte territoriale “avrebbe dovuto adeguatamente considerare il dato oggettivo e pacifico per cui, da un lato, il valore di mercato dell’immobile di Villa Guardia era ampiamente sufficiente a coprire il credito bancario e, dall’altro, che la sig.ra COGNOME era perfettamente consapevole della capienza offerta dalla garanzia reale, con conseguente inconfigurabilità in capo alla medesima della benché minima previsione del danno che ragionevolmente potrà derivare ai creditori dall’atto che nei fatti il debitore viene a porre in essere’ (v. p. 27 del ricorso).
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che il motivo che non risulta correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza è inammissibile alla stregua del principio di diritto secondo cui: «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali,
secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.>> (v. Cass., Sez. Un., n. 7074/2017 in motivazione; Cass., n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi; Cass., Sez. Un., n. 16598 e n. 22226 del 2016; Cass., 22/04/2022, n. 8036).
Orbene, il motivo non risulta correlato alla motivazione con cui l’impugnata sentenza ha riconosciuto il presupposto della scientia damni del debitore, in quanto ne estrapola in maniera atomistica soltanto alcuni passaggi, e non considera invece la corte territoriale ha svolto ampia ed articolata motivazione, precisando: a) che non assume alcun rilievo la circostanza che il valore risultante dalle perizie effettuate con riguardo ai beni ipotecati li rendesse astrattamente capienti, dal momento che è pressoché fisiologico che in sede espropriativa i beni pignorati vengano venduti a prezzi inferiori al valore di stima; b) che non assume alcun rilievo la circostanza, allegata dagli allora appellanti, secondo cui i beni confluiti nel fondo patrimoniale non sarebbero stati parte del patrimonio della Da Ros al momento
della sottoscrizione della fideiussione, dal momento che, come noto, ai sensi dell’art. 2740, comma primo, cod. civ., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; c) che ‘Ciò che merita di essere evidenziato è, piuttosto, che i beni confluiti nel fondo risultano essere gli unici bene aggredibili, essendo stati gli altri beni della Da Ros già vincolati ad altro fondo patrimoniale’.
La corte territoriale ha dunque svolto una motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici, rispetto alla quale il rilievo della ‘concentrazione cronologica’ tra la notifica alla garante Da Ros della risoluzione del contratto di mutuo con intimazione di pagamento e la costituzione del fondo patrimoniale, intervenuta poco tempo dopo, è solo una tra le plurime circostanze gravi, precise e concordanti sopra evidenziate e che il giudice d’appello ha tenuto in debito conto.
3.3. L’ulteriore censura che compone il motivo, con cui i ricorrenti si dolgono del fatto che la corte territoriale non ha attribuito rilievo alla circostanza che il valore risultante dalle perizie effettuate con riguardo ai beni ipotecati li rendesse astrattamente capienti è inammissibile nella misura in cui la ratio decidendi su cui si fonda la motivazione dell’impugnata sentenza -e che mai viene specificatamente censurata nell’illustrazione del motivo -è quella per cui, premesso in jure che ai sensi dell’art. 2740, c. 1, cod. civ. ‘il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri’, in fatto assume dirimente rilievo la circostanza per cui ‘i beni confluiti nel fondo risultano essere gli unici beni aggredibili, essendo stati gli altri beni della Da Ros già vincolati ad altro fondo patrimoniale’ (v. p. 9 della sentenza).
3.4. Infine, sempre lamentando la errata valutazione da parte della corte territoriale dell’esistenza della scientia damni del debitore, i ricorrenti deducono, come già in appello, che il valore
di mercato dell’immobile, oggetto di apposita garanzia ipotecaria, sarebbe stato ampiamente sufficiente a coprire il credito bancario.
La censura, oltre a sollecitare un nuovo giudizio in fatto, inammissibile in quanto estraneo al sindacato di legittimità, è comunque infondata, a mente del principio secondo cui ‘In tema di azione revocatoria ordinaria, l’esistenza di un’ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne potenzialmente l’intero valore, non esclude la connotazione dell’atto stesso come “eventus damni” (presupposto per l’esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa all’ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto ma attraverso un giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno o di un ridimensionamento della garanzia ipotecaria’ (Cass., 27/0/2023, n. 5815).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per compensi, oltre generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME