Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8729/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME entrambi rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-ricorrenti – contro
COGNOME e COGNOME entrambi rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-ricorrenti incidentali – e di
NOME rappresentata e difesa, giusta procura in calce al
contro
ricorso e ricorso incidentale, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale come per legge
-controricorrente e ricorrente incidentale –
–
avverso la sentenza della Corte d’ appello di Ancona n. 1389/2022, pubblicata in data 7 novembre 2022 ed emendata con ordinanza del 15 dicembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ancona, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME ed i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo che venisse dichiarata, nei suoi confronti, l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ. del fondo patrimoniale, costituito in data 15 febbraio 2012, formato da tre immobili di proprietà di NOME COGNOME, del fondo patrimoniale stipulato in pari data formato da sette immobili di proprietà di NOME COGNOME, nonché del fondo patrimoniale del 16 maggio 2012 formato da immobili di proprietà di quest’ultimo per la quota di 1/6.
Deduceva che gli atti dispositivi erano stati posti in essere con l’intento di sottrarre i beni alla garanzia del credito da lei vantato, che derivava da prestazioni professionali prestate in favore della società RAGIONE_SOCIALE e dal pagamento effettuato, quale cofideiussore, a garanzia delle obbligazioni contratte dalla stessa società nei confronti di istituti di credito, avendo provveduto, a seguito di transazione, al pagamento della somma di euro 80.000,00 a tacitazione del credito vantato dalla Banca di Credito Cooperativo di Corinaldo, a fronte del maggior credito di euro 98.858,78 originariamente vantato dall’istituto di credito .
Nel contraddittorio con i convenuti, il Tribunale adito rigettava la domanda.
Siffatta sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Ancona, che ha accolto la domanda revocatoria spiegata a tutela del credito vantato dalla COGNOME in qualità di co-fideiussore. Nel precisare che quest’ultima aveva dedotto di essersi costituita fideiussore, insieme a NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Banca delle Marche s.p.a., BCC Corinaldo e BCC Suasa, ha concluso per la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall’art. 2901 cod. civ. , condannando i soccombenti al pagamento delle spese relative ai due gradi di giudizio nella misura di due terzi e compensandole per la restante parte.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza, con quattro motivi.
Con ricorso notificato in pari data NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto autonomo ricorso avverso la medesima sentenza, affidato a quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, con un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. va disposta la riunione del ricorso proposto dai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME a quello separatamente e anteriormente proposto avverso la medesima sentenza dai coniugi signori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione
della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ.
Tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo (Cass., sez. 3, 23/11/2021, n. 36057), quale è il ricorso incidentale proposto dai coniugi COGNOME ammissibile in quanto notificato in data 27 aprile 2023, e pertanto entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso.
Con il primo motivo di entrambi i ricorsi i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
Sostengono che il credito a tutela del quale la COGNOME, quale cofideiussore, ha esperito l’azione revocatoria scaturisce dalla azione di regresso dalla stessa azionata nei confronti degli altri co-fideiussori ex art. 1954 cod. civ., ma che tale azione sarebbe preclusa, perché, a fronte di un credito vantato dalla BRAGIONE_SOCIALE di Corinaldo, pari ad euro 80.000,00, la COGNOME ha provveduto a corrispondere alla creditrice solo l’importo di euro 5.000,00, sebbene la quota gravante su ciascuno dei cinque fideiussori ammontasse ad euro 16.000,00. Lamentano che, sul punto, il giudice d’appello nulla ha statuito nonostante l’eccezione sollevata.
2.1. I motivi sono inammissibili.
2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‹‹ il condebitore solidale, sia ex contractu , sia ex delicto , che paga al creditore una
somma maggiore rispetto alla parte sullo stesso incombente (artt. 1299 e 2055 c.c.), ha diritto di regresso anche se non ha corrisposto l’intero, perché la ratio delle norme è il depauperamento del suo patrimonio oltre il dovuto e il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori ›› (così, Cass., sez. 3, 29/01/1998, n. 884), con la conseguenza che ‹‹ ciascun debitore può agire in regresso nei confronti dell’altro a condizione che l’importo azionato non ecceda la parte di pertinenza del condebitore nei cui confronti l’azione viene esercitata ›› (Cass., sez. 3, 19/08/2009, n. 18406; Cass., sez. 2, 27/8/2018, n. 21197).
2.3. Nella specie, la censura, oltre a non essere riconducibile nel paradigma del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nei termini precisati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, è inammissibile per evidente novità, in quanto i ricorrenti mancano di allegare l’avvenuta tempestiva deduzione della questione qui prospettata dinanzi al giudice di merito, il quale non ne fa menzione nella sentenza impugnata, e si limitano ad indicare di avere sollevato l’eccezione solo nella memoria di replica depositata nel giudizio di appello e, dunque, tardivamente, in tal modo non dando modo a questa Corte -alla quale sono proposte questioni che implicano accertamenti di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass., sez. 6 -3, 10/08/2017, n. 19988; Cass., sez. 6 -1, 13/06/2018, n. 15430; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038).
Con il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dai coniugi COGNOME si denuncia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e l’inammissibilità dell’azione per omessa produzione , da parte di NOME COGNOME dell’atto pubblico di costituzione del fondo patrimoniale, non superabile mediante la produzione della nota di
trascrizione dell’atto notarile che non consente di indiv iduare con esattezza gli estremi dei beni oggetto del fondo patrimoniale.
I motivi sono inammissibili.
Essi non attengono invero all ‘accertamento svolto dai giudici di merito, che hanno ritenuto provati gli atti di disposizione sulla base della trascrizione degli atti notarili di costituzione dei fondi patrimoniali, peraltro specificando che si trattava di circostanza non specificamente contestata dagli odierni ricorrenti.
Va d’altro canto osservato che i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo (Cass., sez. 1, n. 19/02/2015, n. 3336; Cass., sez. 1, 17/01/2001, n. 566; Cass., sez. 6 -3, 04/03/2021, n. 5880).
Correttamente, pertanto, la corte territoriale ha ritenuto priva di pregio la doglianza fatta valere dagli appellanti, proprio in considerazione del fatto che il creditore che agisce in revocatoria è terzo rispetto ai contraenti che hanno stipulato l’atto dispositivo.
Con il terzo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. nella parte in cui è stata accolta la domanda revocatoria azionata a tutela del credito vantato dalla COGNOME quale fideiussore della RAGIONE_SOCIALE
Nello specifico, i ricorrenti assumono che:
la COGNOME non vanta alcun credito, in quanto, nella veste di fideiussore, aveva stipulato con l’istituto di credito atto di transazione che prevedeva un pagamento di euro 80.000,00, ma aveva
corrisposto alla Banca la sola somma di euro 5.000,00, che non eccedeva la quota sulla stessa gravante, cosicché, non avendo estinto l’in tera obbligazione, non poteva agire in via di regresso nei confronti degli altri fideiussori;
ii) non ricorre il presupposto dell’ eventus damni , in quanto il debitore principale (RAGIONE_SOCIALE, anche se in liquidazione, poteva estinguere le sue obbligazioni;
iii) il COGNOME era proprietario di altri beni immobili oltre quelli conferiti nel fondo patrimoniale, come emergeva proprio dalle visure catastali prodotte dalla COGNOME;
iv) neppure è ravvisabile la scientia fraudis , in quanto gli atti dispositivi erano stati posti in essere molto tempo prima sia del sorgere del credito, sia della messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE e la COGNOME non aveva provato né il dolo specifico, né quello generico.
Le censure, per come formulate, si appalesano inammissibili.
Nell’impugnata sentenza la corte di merito non è invero discostata dai principi fissati da questa Corte in tema di revocatoria di atto a titolo gratuito successivo al momento in cui è sorto il credito.
Due sono i presupposti necessari affinché si possa, nel caso di costituzione di un fondo patrimoniale (che è atto a titolo gratuito: tra le altre, Cass., sez. 6 -3, 10/02/2015, n. 2530), giungere ad una declaratoria di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 cod. civ.: il dato oggettivo consistente nel pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dall’atto di disposizione del debitore e l’elemento soggettivo della conoscenza da parte dello stesso debitore di detto pregiudizio provocato al creditore. Ciò nella prospettiva, fatta propria dalla Corte territoriale, della anteriorità dell’insorgenza del credito rispetto all’atto dispositivo, essendo stato accertato che l’atto di mutuo fondiario erogato alla RAGIONE_SOCIALE dalla Banca delle Marche, a garanzia del quale gli odierni ricorrenti hanno prestato fideiussione, sono
intervenuti in date anteriori agli atti con i quali sono stati costituiti i fondi patrimoniali impugnati; deve invero, farsi applicazione del principio per cui, in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, l’acquisto della qualità di debitore risale al momento della nascita del credito, sicché è a tale momento che occorre fare riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass., sez. 3, 15/02/2011, n. 3676).
Nell’esaminare i l profilo oggettivo del pregiudizio arrecato al creditore, la Corte territoriale lo ha ritenuto integrato sul presupposto, del tutto condivisibile, che la costituzione di un fondo patrimoniale, determinando la separazione dei beni in esso conferiti dal resto del patrimonio e rendendo impossibile per i creditori, i cui crediti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, di essere garantiti dallo stesso, costituisce un atto che rende sicuramente più difficile il soddisfacimento delle ragioni creditorie; ha pure rilevato il difetto di prova che il patrimonio residuo dei debitori fosse tale da soddisfare ampiamente le ragioni creditorie (Cass., sez. 3, 19/07/2018, n. 19207) e considerato non rilevante la circostanza, pure dedotta dai ricorrenti, che la debitrice principale RAGIONE_SOCIALE potesse eventualmente provvedere alla estinzione di tutte le obbligazioni nei confronti della Banca, considerato che, qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. – ricorrendone i presupposti – nei suoi confronti, non potendosi attribuire rilievo al fatto che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento (Cass., sez. 3, 31/03/2017, n. 8315; Cass., sez. 6 -3, 11/11/2022, n. 33391).
Anche sotto il profilo della cd. scientia dammi, il giudice di appello
si è attenuto ai principi enunciati da questa Corte, secondo cui, nel caso (come quello in esame) di costituzione di fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito, à sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore ovvero la previsione di un mero danno potenziale, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni (secondo un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da congrua motivazione: Cass., sez. 3, 07/10/2008, n. 24757), senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass., sez. 3, 17/01/2007, n. 966; Cass., sez. 3, 07/07/2007, n. 15310).
La valutazione di fatto operata dalla Corte territoriale sulla concreta sussistenza della scientia damni è sorretta da motivazione sufficiente ed adeguata (pag. 14 della sentenza impugnata), che, anche per le considerazioni già in precedenza svolte (in punto di asserita consistenza del patrimonio residuo), non è scalfita dalle doglianze mosse con il ricorso.
Difatti, esse non si confrontano minimamente con gli elementi dai quali la Corte territoriale ha desunto la consapevolezza in capo ai debitori, quali la conoscenza, in quanto soci, della situazione patrimoniale in cui versava la debitrice principale RAGIONE_SOCIALE e della presumibile insufficienza del patrimonio della stessa società a far fronte alle obbligazioni assunte nei confronti degli istituti di credito, ricavabile dalla circostanza che la società era stata posta in liquidazione per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.
5. Con il quarto motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale proposto dai coniugi COGNOME i ricorrenti censurano il capo della sentenza che li ha condannati al pagamento delle spese di lite, assumendo che, con l’accoglimento dei
motivi di ricorso formulati, la odierna controricorrente dovrebbe essere condannata alla rifusione delle spese di lite relative alle fasi del giudizio di merito; in subordine, sostengono che le spese del giudizio di primo grado non andavano poste a loro carico, dal momento che la sentenza di primo grado non era stata riformata.
La censura è inammissibile.
Trattasi, sotto il primo profilo, di un ‹‹non motivo››, dato che si limita a postulare la caducazione della condanna alle spese come conseguenza della cassazione della sentenza in forza dell’accoglimento dei motivi, sebbene tale effetto operi ai sensi dell’art. 336, primo comma, cod. proc. civ.
Parimenti inammissibile è l’altro profilo di doglianza, posto che la Corte d’appello ha riformato il capo della sentenza di primo grado relativo alla condanna alle spese di lite in conseguenza dell’accoglimento della domanda revocatoria a fondamento della quale la COGNOME aveva posto il credito vantato quale co-fideiussore.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale proposto dalla COGNOME è dedotta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., del d.m. n. 140/12 e del d.m. n. 55/2014. La ricorrente lamenta, da un lato, che il giudice d’appello avrebbe errato nel disporre la compensazione parziale delle spese di lite e nel calcolare l’ammontare delle spese liquidate ; dall’altro, che la liquidazione operata dal giudice d’appello non tiene conto del valore della causa, né che la stessa ricorrente aveva dovuto difendersi contro due distinte parti; chiede, di conseguenza, la rideterminazione delle spese secondo il calcolo riportato a pagina 15 del controricorso.
6.1. La censura è inammissibile con riguardo al primo profilo di doglianza, in quanto la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi
dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass., sez. 2, 31/01/2014, n. 2149; cfr. altresì Cass., sez. 1, 24/01/2013, n. 1703, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso).
6.2. Per il resto il motivo è infondato.
Ai fini della liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente nei giudizi relativi ad azione revocatoria, il valore della causa si determina sulla base non già dell’atto impugnato, bensì del credito per il quale si agisce, anche se il valore dei beni alienati, o comunque sottratti al creditore, risulti superiore o inferiore, e ciò in considerazione del carattere conservativo del rimedio, volto a paralizzare l’efficacia degli atti aggrediti per assicurare al creditore l’assoggettabilità ad esecuzione dei beni resi indisponibili dal debitore. (Cass., sez. 6 -3, 09/05/2014, n. 10089; Cass., sez. 3, 13/02/2020, n. 3697); ne consegue che il valore della causa deve farsi rientrare nello scaglione compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00, essendo stato l’accoglimento della domanda limitato al solo credito vantato dalla COGNOME in qualità di co-fideiussore in via di regresso.
L’importo liquidato dai giudici di appello , tenuto conto del valore della causa, non si pone al di sotto del minimo previsto dal d.m. n. 55/2004 e comunque, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri
previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (tra le tante, Cass., sez. 2, 05/05/2022, n. 14198).
Neppure la censura merita accoglimento là dove si contesta la violazione dell’art. 4, comma 4, d.m. 20 luglio 2012 n. 140 -applicabile ratione temporis per la liquidazione del giudizio di primo grado e dell’art. 4, comma 4, del d.m. n. 55/2014 per la liquidazione delle spese relative al giudizio di appello -nella parte in cui prevede, qualora l’avvocato difenda una parte contro più parti, che ‹‹ Il compenso unico può essere aumentato fino al doppio ›› . Sul punto, deve, invero, darsi continuità all’orientamento di questa Corte, già applicato nella vigenza dell’abrogato comma 4 dell’art. 5 del d.m. n. 127 del 2004, a tenore del quale con riguardo alla liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, il riconoscimento della maggiorazione non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa, bensì importa l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, non sindacabile in sede di legittimità (cfr., con riferimento alla previsione di cui all’art. 4, comma 2, della tariffa professionale approvata con d.m. n. 55 del 2014, Cass., sez. 3, 19/05/2021, n. 13595; di cui all’art. 4, comma 4, della tariffa professionale approvata con D.M. n. 140 del 2012, Cass., sez. 1, 10/01/2017, n. 269; con riferimento alla previsione di cui all’art. 5, comma 4, della tariffa professionale approvata con D.M. n. 127 del 2004, Cass., sez. 6 -2, 15/01/2018, n. 712; Cass., sez. 1, 21/07/2011, n. 16040; Cass., sez. 1, 2/2/2007, n. 2254).
7. All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto
di tutti i ricorsi, principale e incidentali.
Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra tutti i ricorrenti, in via principale e incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta tutti i ricorsi, in via principale e incidentale. Compensa tra tutti i ricorrenti, in via principale e incidentale, le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e da parte dei ricorrenti incidentali, al competente ufficio del merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per i ricorsi incidentali, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione