Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20312 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20312 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6499/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME (p.e.c.: ) e NOME COGNOME (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ( p.e.c.: ), in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE, COSTRUZIONI EDILI IMPIANTI ELETTRICI DI RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile, COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.:
), elettivamente domiciliati presso il AVV_NOTAIONOME NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, e, per essa, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
nonché nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Cagliari n. 31/2021, pubblicata in data 20 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMENOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 1322/2018, dichiarava inefficace, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e deL socio illimitatamente responsabile, COGNOME NOME, l’atto di compravendita con cui la fallita aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE l’unico
bene immobile di sua proprietà, sito nel Comune di Quartu Sa nt’Elena, INDIRIZZO, precisando che, a seguito dell’intervenuto fallimento, l’azione revocatoria, originariamente promossa dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., era stata riassunta dal curatore fallimentare, sicché le domande da quest’ultimo formulate non erano nuove, ma identiche a quelle a suo tempo avanzate dalla Banca creditrice nel processo interrotto.
Proposto gravame dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello adita -dinanzi alla quale l’appellante ribadiva che l’immobile risultava gravato da ipoteca di primo grado in favore di soggetto creditore diverso da quello che aveva agito in revocatoria, cosicché non ricorreva il presupposto dell’ eventus damni -in esito alla costituzione della società RAGIONE_SOCIALE, in qualità di cessionaria del credito della RAGIONE_SOCIALE, e della Curatela del RAGIONE_SOCIALE, ha confermato la sentenza di primo grado.
In sintesi, ha osservato che l’inefficacia dell’atto dispositivo era stata pronunciata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, il quale agiva nell’interesse della massa dei creditori , che era del tutto irrilevante l’esistenza della ipoteca e che in ogni caso non era affatto dimostrato che il patrimonio del debitore fosse capiente; ha inoltre precisato che la consapevolezza da parte del debitore e del terzo circa il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni creditorie era stata correttamente desunta dal Tribunale sulla base di una serie di elementi presuntivi che rivestivano i caratteri della precisione, gravità e concordanza.
Avverso la suddetta decisione RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione, affidato a tre motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE e, per essa, RAGIONE_SOCIALE, resistono con autonomi controricorsi.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
La Curatela fallimentare ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce ‹‹Violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. e del combinato disposto degli artt. 112, 167, 171, 183, 268, 300 e 303 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.›› .
Muovendo dalla differenza tra l’ azione revocatoria esercitata dal singolo creditore e quella esercitata autonomamente dal RAGIONE_SOCIALE, lamenta, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe pronunciato oltre i limiti della domanda, facendo riferimento al concetto di eventus damni proprio dell’azione revocatoria ex art. 66 legge fallimentare, benché, nel caso di specie, l’azione fosse stata inizialmente promossa dal creditore chirografario RAGIONE_SOCIALE e fosse stata proseguita dalla Curatela del fallimento.
La censura è infondata.
L’azione revocatoria ordinaria mira a rendere inopponibili al creditore (sterilizzandone gli effetti nei suoi confronti) gli atti di disposizione compiuti dal debitore negativamente incidenti sulla garanzia patrimoniale generica e, quando il debitore sia un imprenditore commerciale e l’atto di disposizione ne abbia cagionato (o aggravato) l’insolvenza, sì da comportarne la dichiarazione di fallimento, il pregiudizio che giustifica l’esercizio dell’azione revocatoria si riverbera necessariamente sulla posizione dell ‘ intero ceto creditorio, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso: in tal caso, l’art. 66 l. fall. attribuisce al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cod. civ. Si tratta di una legittimazione – non derivante da norme di diritto comune ma
prevista da una specifica disposizione positiva – ad esperire un’azione che, seppur postulante i medesimi presupposti di quella regolata dall’art. 2901 cod. civ., deriva da una procedura d’insolvenza ed è con essa strettamente connessa (così Cass., sez. U, 26/04/2017, n. 10233, con l’affermare la devoluzione per competenza delle relative liti al tribunale fallimentare) e si pone a beneficio dell’intera massa (sicché la sua proposizione si profila come doverosa per il curatore) e preclude la praticabilità di autonome iniziative da parte dei creditori.
Nell’intento di disciplinare le ipotesi del concorso dell’azione esperita dal singolo creditore nonché del fallimento del debitore in pendenza di azione revocatoria promossa dal creditore, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 29420 del 17 dicembre 2008, hanno puntualizzato il duplice, alternativo, modo di declinazione della legittimazione all’azione revocatoria ordinaria conferita al curatore fallimentare dall’art. 66 l. fall.: in via autonoma e principale, cioè con l’introduzione ex novo della domanda giudiziale, oppure come prosecuzione della lite già intrapresa dal singolo creditore e pendente all’epoca del fallimento del debitore. In quest’ultima evenienza, si realizza, dal punto di vista soggettivo, il subentro del curatore nella posizione processuale del creditore originario attore, con accettazione della causa in statu e terminis , mentre, dal punto di vista oggettivo, si determina un ampliamento degli effetti della contesa e della pronuncia, in quanto la domanda d’inopponibilità dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha proposto l’azione, viene ad essere estesa a beneficio della più vasta platea costituita dalla massa di tutti i creditori concorrenti. Ne discende che non si è in presenza di due azioni, ma sempre dell’unica azione originaria, nella quale il curatore subentra ‹‹ avvalendosi di una speciale legittimazione sostitutiva rispetto a quella del singolo creditore» (così Cass., n.
29420/2008, cit.; in senso conforme, tra le altre, Cass., sez. 1, 28/05/2009, n. 12513; Cass., sez. 3, 27/10/2015, n. 21810; Cass., sez. 3, 06/07/2020, n. 13862).
In sostanza, una volta dichiarato il fallimento, l’esercizio dell’azione revocatoria individuale comporterebbe un’inevitabile stortura – una vera e propria violazione della par condicio creditorum – cui la legge pone rimedio legittimando il curatore all’esercizio dell’azione nell’interesse indistinto di tutti i creditori pregiudicati da quell’atto; in tal modo, il bene “recuperato” viene assoggettato alla liquidazione nella procedura concorsuale, anziché all’esecuzione forzata individuale; sulla base di tali considerazioni questa Corte ha affermato (Cass., sez. 3, 05/05/2017, n. 10903) che solo nell’ipotesi in cui venga meno quella ratio , come nel caso di revoca del fallimento, i singoli creditori possono riassumere personalmente l’azione revocatoria ordinaria avviata dal curatore, avvalendosi degli effetti sostanziali e processuali dipendenti dalla notifica dell’atto di citazione originario.
Sulla base di tali premesse è evidente che non sono ravvisabili le asserite violazioni delle disposizioni evocate nella rubrica del motivo, in quanto le Sezioni Unite hanno chiarito che la prosecuzione, da parte del Curatore, dell’azione originariamente intrapresa dal singolo creditore mediante la riassunzione del processo interrotto determina una ‹‹ modifica oggettiva dei termini della causa ›› sub specie di ampliamento degli effetti della domanda, ma che questo non significa ‹‹ mutamento della materia del contendere (né sotto il profilo del thema probandum , né sotto quello del thema decidendum ) ›› (Cass., sez. U, n. 29420/08, cit.).
Tanto compor ta che l’azione inizialmente promossa da RAGIONE_SOCIALE e quella proseguita dalla Curatela del fallimento non costituiscono due azioni ontologicamente diverse, ma un’unica azione, i cui effetti si
estendono alla massa dei creditori concorrenti, con conseguente necessità di accertare la sussistenza dei presupposti dell’azione pauliana -e, in particolare, dell’ eventus damni -con riferimento a tali soggetti. In altri termini, il Curatore assume la stessa posizione dell’originaria parte attrice ed esercita un’azione che si identifica con quella che l’originario creditore particolare ha esperito prima del fallimento (Cass., sez. 1, 07/03/2023, n. 6795).
La Corte territoriale, affermando che ‹‹ con riferimento al presupposto dell’ eventus damni , pare al collegio, sufficiente rilevare che la inefficacia dell’atto dispositivo è stata pronunciata nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE il quale agisce nell’interesse della massa dei creditori (in privilegio e in chirografo) e che, dopo la vendita dell’immobile oggetto di revocatoria, procederà alla distribuzione del ricavato in considerazione dei crediti insinuati nella procedura e, conseguentemente, in relazione alla natura degli stessi ›› , non ha, dunque, pronunciato su una domanda non proposta, né ha introAVV_NOTAIOo un concetto di eventus damni diverso da quello rilevante in causa.
2. Con il secondo motivo, denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 2901 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., la ricorrente, dopo avere rilevato che la Corte d’appello aveva richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la revocatoria promossa dal creditore particolare chirografario in relazione ad atto dispositivo di bene ipotecato necessita di diversa valutazione dell’ eventus damni a seconda che il bene sia stato o meno sottoposto a procedura espropriativa, sostiene che la decisione impugnata è da censurare là dove ha affermato che l’azione esecutiva non era stata introAVV_NOTAIOa e che la ricorrenza del presupposto dell’ eventus damni non doveva essere provata concretamente, essendo sufficiente una mera prognosi futura.
2.1. La censura è infondata.
2.2. Come questa Corte ha già precisato, in materia di revocatoria ordinaria, l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come eventus damni , atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Cass., sez. 6-3, 08/08/2018, n. 20671; Cass., sez. 6-3, 12/03/2018, n. 5860; Cass., sez. 3, 25/05/2017, n. 13172, Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
Si è chiarito, del resto, che «condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità» (Cass., sez. 2, 29/03/1999, n. 2971); con la ulteriore precisazione che una situazione di pericolo è tale in relazione alla sua potenzialità cagionatrice di un evento dannoso futuro, sicché «la sua esistenza necessariamente va apprezzata proiettandosi con un giudizio prognostico verso il futuro», donde «non è possibile apprezzarla compiendo una valutazione che si correli al momento dell’atto dispositivo e dunque alla possibile incidenza in quel momento della garanzia ipotecaria esistente ma non ancora fatta valere e della quale dunque non è dato conoscere se e come in futuro
inciderà» (Cass., n.11892/16, cit.).
È ben vero che altre pronunce (Cass., sez. 3, 15/07/2009, n. 16464; Cass., sez. 3, 22/05/2015, n. 25733) hanno affermato: «A norma dell’art. 2901, primo comma, cod. civ., il presupposto dell’azione revocatoria costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore si riferisce anche al pericolo di danno, la cui valutazione è rimessa alla concreta valutazione del giudice; ne consegue che, ove oggetto dell’azione revocatoria sia un atto di compravendita di un bene già ipotecato, se ad agire è un creditore chirografario, il pregiudizio deve essere specificamente valutato – nella sua certezza ed effettività – con riguardo al potenziale conflitto tra il creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all’entità della garanzia reale del secondo»; tuttavia, è sufficiente osservare che nelle fattispecie decise dalle sentenze da ultimo richiamate l’alienazione aveva effettivamente riguardato un bene già sottoposto ad esecuzione, mentre nella specie è incontroverso, sulla base dello stesso tenore del ricorso, che il bene non è mai stato sottoposto ad esecuzione forzata.
Pertanto, se in presenza di azione esecutiva già esercitata dal creditore ipotecario, è destinato effettivamente ad operare il principio, richiamato dalla ricorrente (secondo cui ‹‹ il pregiudizio deve essere specificamente valutato – nella sua certezza ed effettività – con riguardo al potenziale conflitto tra il creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all’entità della garanzia reale del secondo ›› ) (Cass., sez. 3, 29/08/2019, n. 21783), ove così non sia, come opportunamente osservato da questa Corte, considerato che non solo il danno effettivo, ma anche il pericolo di danno integra i presupposti per agire ex art. 2901 cod. civ., deve
riconoscersi che il pericolo di danno ‹‹ è tale in relazione alla sua potenzialità cagionatrice di un evento dannoso futuro ›› . Pertanto, il giudice, chiamato a verificarne la ricorrenza, ‹‹ deve tenere conto dell’incertezza esistente al momento dell’atto di disposizione sull’ an e sul quantum in cui la garanzia ipotecaria potrà essere fatta valere e tanto rende potenzialmente danneggiata e, perciò, messa in pericolo, la garanzia patrimoniale di un creditore chirografario di fronte ad un’alienazione del bene ›› ; vieppiù ove si ricordi che l’azione revocatoria ha una finalità cautelare e conservativa del diritto di credito (Cass., sez. 3, 28/02/2019, n. 5806; Cass., n. 21783/19, cit.).
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 2901 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , lamentando che la decisione gravata, a pag. 10 della motivazione, avrebbe indebitamente attribuito alla RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare l’esistenza di adeguate residualità patrimoniali della debitrice RAGIONE_SOCIALE ciò al fine di dimostrare l’insussistenza del presupposto dell’ eventus damni; assume che, al contrario, incombeva sul RAGIONE_SOCIALE, anche in ragione del principio del la vicinanza della prova, l’onere di dimostrare tale presupposto.
Il motivo è infondato.
Varrà premettere che non si rinviene nella motivazione della decisione impugnata il passaggio motivazionale che attribuisce all’odierna ricorrente l’onere di dare prova delle cd. residualità patrimoniali, essendosi la Corte d’appello limitata ad affermare: ‹‹ in ogni caso è affatto indimostrato l’assunto secondo cui il patrimonio del debitore sarebbe capiente (in quanto non risponde al vero che la società RAGIONE_SOCIALE con la vendita si fosse spogliata di tutti i suoi beni immobili) giacché privo di qualsiasi riscontro ››.
Posto ciò, l’infondatezza dell’assunto difensivo di parte ricorrente è reso evidente dal principio secondo cui, in tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’ eventus damni (Cass., sez. 3, 29/03/2007, n. 7767; Cass., sez. 2, 03/02/2015, n. 1902; Cass., sez. 3, 19/07/2018, n. 19207; Cass., sez. 6 -3, 18/06/2019, n. 16221).
La circostanza che la Curatela sia subentrata nell’azione inizialmente promossa dal creditore particolare non può, d’altro canto, determinare una diversa distribuzione dell’onere della prova, cosicché si rivela non pertinente la pronuncia invocata dalla ricorrente a supporto della doglianza (Cass., n. 4728/2018), che riguarda la diversa fattispecie, non sovrapponibile a quella in esame, di azione revocatoria instaurata ab origine dal Curatore del fallimento.
L’infondatezza di tutti i motivi impone il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile COGNOME NOME; in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione