Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20764 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20764 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13589/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di MACERATA n. 5506/2016 depositato il 22/04/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 93 legge fall. la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha proposto domanda di ammissione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in relazione ai seguenti RAGIONE_SOCIALE:
-somma di € 825.823,40, richiesta con privilegio ipotecario, oltre interessi al tasso legale sulla minor somma di € 756.000,00 dall’01/01/2015 al decreto di trasferimento, a titolo di restituzione di mutuo fondiario condizionato n. 019/410364000, garantito da ipoteca volontaria;
-somma di € 613.505,48, richiesta, in via chirografaria, in relazione allo scoperto di conto corrente n. 019/4322.
Con decreto di esecutività dello stato passivo del 14.12.2015, il Giudice delegato, confermando la proposta del Curatore in sede di progetto di stato passivo, ha ammesso i predetti RAGIONE_SOCIALE in via chirografaria, previa revocatoria della garanzia ipotecaria, atteso che la somma mutuata era stata utilizzata per il ripianamento RAGIONE_SOCIALE passività di conto corrente.
Il Tribunale di Macerata, con decreto depositato il 22.04.2016, ha rigettato l’opposizione proposta ex artt. 98 e 99 legge fall. dalla RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria e procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo.
Il giudice di primo grado, per quanto ancora rileva, nel negare l’ammissione in via privilegiata ipotecaria del credito di €835.823,40, ha affermato:
-che il contratto di mutuo fondiario stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non era nullo, non essendo rinvenibile nell’ordinamento una norma che sancisca, in via generale, l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento stesso accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale;
-che il contratto di mutuo fondiario, utilizzato per estinguere passività pregresse, era senz’altro assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria;
-che il curatore, in sede di progetto di stato passivo, aveva correttamente fatto valere in via di eccezione, ex art. 95 legge fall., la revocabilità della garanzia ipotecaria;
-che era infondata l’eccezione di decadenza dall’azione proposta dalla ricorrente, atteso che, fermo restando l’assoggettamento della revocatoria ordinaria al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2903 c.c., l’unico termine decadenziale è quello triennale ex art. 69 bis legge fall., che, tuttavia, nel caso di specie, non era decorso;
-che, in relazione ai presupposti dell’azione revocatoria, doveva ritenersi sussistente il requisito oggettivo dell’eventus damni, poiché si trattava di un atto che aveva reso più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, e la ricorrente non aveva provato l’insussistenza di tale rischio per il creditore, in ragione RAGIONE_SOCIALE ampie residuali patrimoniali del debitore;
-che doveva ritenersi altresì sussistente in re ipsa il requisito soggettivo dell’azione, sia perché la RAGIONE_SOCIALE non poteva non rendersi
conto che la costituzione della prelazione avrebbe reso più difficile il soddisfacimento RAGIONE_SOCIALE ragioni dei creditori, sia perché, in ogni caso, il fallimento aveva prodotto anche le scritture contabili della società, dalle quali risultava la sua già importante esposizione debitoria al momento della concessione del finanziamento.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a tre motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, la controricorrente richiede che la Corte rilevi d’ufficio la nullità del contratto di mutuo fondiario, in quanto stipulato in frode alla legge per conseguire l’obiettivo di eludere un’ipotetica par condicio creditorum in caso di fallimento dell’azienda.
L’eccezione è priva di pregio, atteso che la questione della validità del contratto di mutuo fondiario è stata espressamente affrontata dal Tribunale con statuizione passata in giudicato, non avendo il controricorrente proposto un autonomo motivo di ricorso incidentale sul punto.
Deve, infatti, segnalarsi l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui (vedi Cass. n. 7784/2014) ‘il rilievo d’ufficio della nullità del contratto è precluso quando sulla validità del contratto si sia formato giudicato, anche implicito, come allorché il giudice di primo grado, accogliendo la domanda, abbia mostrato di ritenere valido il contratto, e le parti, in sede di appello, non abbiano mosso alcuna censura inerente alla sua validità” (Cass. n. 23235/2013; cfr. anche Cass. n. 23674/2008; Cass. n. 18540/2009; Cass. n.
1535/2012), mentre il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità anche in grado di appello (affermato, fra le altre, da Cass. 11847/2003 citata dalla controricorrente e, più recentemente, da Cass., S.U. n. 14828/2012) presuppone che non sussista preclusione derivante da giudicato».
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 69 bis e 95 legge fall., 2903 e 2935 c.c., 112 e 113 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ..
La ricorrente, ripercorrendo la disciplina della revocatoria fallimentare, osserva che l’art. 69 bis legge fall. (introdotto dal d.lgs. n.5/2006) è applicabile non solo alla revocatoria fallimentare, ma anche alla revocatoria ordinaria (art.2901 cod. civ.) quando è esercitata dal Curatore (art. 66 legge fall.), stante la finalità concorsuale che la stessa assume. Pertanto, sul rilievo che con detto articolo sono stati introdotti due distinti termini decadenziali, la ricorrente sostiene che la possibilità per il Curatore, ai sensi dell’art.95 legge fall. (nel testo introdotto dalla riforma del 2006) di eccepire in sede di progetto di stato passivo l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione ‘anche se è prescritta la relativa azione’, sia da ritenere circoscritta alle sole azioni prescritte e non anche a quelle dalle quali si è decaduti.
In altri termini, secondo la ricorrente il principio ‘ quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum’ sarebbe stato esteso dall’art. 95 cit. anche alla materia fallimentare, ma limitatamente ai termini prescrizionali e non anche a quelli decadenziali, non richiamati dalla norma. Ne consegue che il curatore che faccia valere in via breve la revocatoria non può subire il pregiudizio della intervenuta prescrizione del diritto, ma, una volta che siano spirati i termini di cui all’art. 69 bis legge fall., soggiace all’eccezione di decadenza.
Ad avviso della RAGIONE_SOCIALE, peraltro, il Tribunale avrebbe omesso di esaminare l’eccezione di decadenza quinquennale sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE e di cui all’art. 69 bis legge fall ., ritenendo implicitamente identici il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2903 c.c. e quello altresì quinquennale di decadenza ex art. 69 bis cit.
2. Il motivo è infondato.
Questa Corte, nella ordinanza n. 4777/2023, ha enunciato il seguente principio di diritto:
« In tema di accertamento del passivo fallimentare, i termini decadenziali dettati dall’art.66 bis della legge fall. per l’esercizio RAGIONE_SOCIALE azioni revocatorie fallimentari non trovano applicazione nel caso in cui la revocatoria sia proposta in via di eccezione ai sensi dell’art. 95, primo comma, legge fall.»
In proposito, va preliminarmente osservato che l’art. 95 legge fall. consente al curatore, al solo scopo di paralizzare la pretesa creditoria, di far valere l’inefficacia del titolo su cu i sono fondati il credito o la prelazione anche se è prescritta la relativa azione.
L’espressa previsione della proponibilità dell’eccezione revocatoria da parte del curatore, anche in caso di avvenuta prescrizione della relativa azione maturata al di fuori ed a prescindere dall’ambito fallimentare -, non consente, tuttavia, di ritenere che tale possibilità dovesse essere esplicitamente prevista anche con riferimento all’intervenuto decorso del termine decadenziale.
Invero, la decadenza di cui all’art. 69 bis legge fall. è un istituto processuale introdotto ex novo, all’interno del sistema fallimentare, in ragione RAGIONE_SOCIALE peculiarità di questo: in quanto istituto processuale non è applicabile in via estensiva o analogica e non vi è alcuna disposizione che ne preveda l’applicabilità al di fuori del suo ambito, strettamente collegato all’esercizio dell’azione revocatoria
da parte del curatore e non dell’eccezione, di guisa che non era necessario che l’art. 95, primo comma, legge fall. vi facesse esplicito riferimento.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2901, 2697 e 2740 c.c., 113 e 115 c.p.c., 66 legge fall., nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
La ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto che, ai fini della sussistenza dell’ eventus damni , fosse sufficiente il compimento di un atto che avesse reso più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, onerando la RAGIONE_SOCIALE di provare l’insussistenza di rischi per i creditori, in ragione RAGIONE_SOCIALE ampie residualità patrimoniali del debitore.
A parere della ricorrente, tale conclusione è errata, in quanto il Curatore fallimentare che promuove l’azione revocatoria ordinaria, o che la eccepisce al fine dell’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni ha l’onere di provare tre circostanze: a) la consistenza dei RAGIONE_SOCIALE vantati ammessi al passivo nei confronti del fallito; b) la preesistenza RAGIONE_SOCIALE ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto.
Il Tribunale, tuttavia, omettendo di valutare, con implicito apprezzamento negativo sulla loro rilevanza, gli elementi necessari forniti dalla Curatela per ritenere sussistente l’eventus damni nel caso di revocatoria ordinaria svolta in sede fallimentare, ha ritenuto sufficiente l’esistenza di un atto astrattamente idoneo a pregiudicare i diritti di un creditore, onerando la RAGIONE_SOCIALE di dimostrare l’assenza di tale presupposto.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2901, 2697 e 2740 c.c., 113 e 115 c.p.c., 66 legge fall., nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
La ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto che la stipula del contratto di mutuo fondiario e l’iscrizione della relativa ipoteca avessero integrato un pregiudizio alla massa dei creditori, rendendo più difficile il soddisfacimento RAGIONE_SOCIALE loro ragioni, del quale la RAGIONE_SOCIALE non poteva che essere a conoscenza, non potendo certamente ignorare il vantaggio conseguibile mediante la sottrazione dei beni ipotecati alla garanzia della massa dei creditori.
Ad avviso della ricorrente, tale conclusione è errata, in quanto il giudice di primo grado, per comprovare l’esistenza della scientia damni , avrebbe dovuto valutare la consapevolezza della RAGIONE_SOCIALE di ben altri requisiti, e cioè: a) della preesistenza RAGIONE_SOCIALE ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; b) del mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto dell’atto revocando; c) dell’insufficienza dei beni del debitore a garantire il soddisfacimento del creditore.
Ne consegue che il Tribunale avrebbe, quindi, omesso di valutare, con implicito apprezzamento negativo sulla loro rilevanza, gli elementi necessari ai fini della sussistenza del requisito soggettivo in caso di revocatoria ordinaria svolta in sede fallimentare.
Sia il secondo che il terzo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione RAGIONE_SOCIALE questioni trattate, sono fondati.
La giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. n. 36033/21, conf. Cass. n. 4777/2023) ha avuto modo di precisare che il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria ha l’onere di provare tre circostanze per dimostrare la sussistenza
dell’ eventus damn i, costituite da: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza RAGIONE_SOCIALE ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto.
Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni (Cass. 26331/2008, Cass. 19515/2019).
Tale prova, come detto, deve essere fornita dal curatore, non potendo trovare applicazione la regola generale prevista per l’azione pauliana secondo cui, a fronte dell’allegazione, da parte del creditore, RAGIONE_SOCIALE circostanze che integrano l’eventus damni , incombe sul debitore l’onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte (cfr. Cass. 1902/2015). Ciò sul rilievo che, da un lato, il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito e, dall’altro, in ossequio al principio della vicinanza della prova, tale onere non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa.
Il fallimento è, pertanto, onerato di fornire la prova che il patrimonio residuo del debitore fallito fosse di dimensioni tali, in rapporto all’entità della propria complessiva esposizione debitoria, da esporre a rischio il soddisfacimento dei creditori (Cass. 9565/2018, Cass. 2336/2018, Cass. 8931/2013).
Nel caso in esame, il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, avendo, in primo luogo,
affermato che era il creditore a dover provare la mancanza dell ‘eventus damni , ed essendosi limitato ad affermare che la stipula del mutuo fondiario, con costituzione dell’ipoteca volontaria, aveva reso più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, e che dalla scrittura contabili prodotte dal fallimento risultava già l’ampia esposizione debitoria della società al tempo della concessione del finanziamento.
Peraltro, se è pur vero che il Tribunale ha dato atto che il fallimento aveva prodotto le scritture contabili della società da cui risultava la già importante, al momento della concessione del finanziamento, esposizione debitoria, lo stesso giudice di merito non ha neppure precisato che i RAGIONE_SOCIALE preesistenti si fossero eventualmente insinuati al passivo.
Occorreva, invece, considerare la consistenza RAGIONE_SOCIALE ragioni creditorie preesistenti all’atto unilaterale costitutivo della garanzia ipotecaria e verificare se un simile atto avesse provocato (secondo una valutazione operata ex ante e con riferimento alla data dell’operazione e non a quella futura dell’effettiva realizzazione del credito, avendo riguardo anche alla modificazione qualitativa della composizione del patrimonio; Cass. 16986/2007, Cass. 16986/2007) un mutamento del patrimonio del debitore di natura tale da determinare una maggiore difficoltà od incertezza per la loro soddisfazione, mettendole così a rischio.
Il decreto impugnato deve essere quindi cassato con rinvio al Tribunale di Macerata in diversa composizione per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo, dichiara il primo infondato, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di
Macerata, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 23.4.2024