Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11296 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11296 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36687/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso – ricorrente –
contro
FALLIMENTO di CONCERIA COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 4292/2019 depositata il 4/9/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 815/2017, rigettava la domanda presentata dal fallimento di NOME COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ. perché fosse dichiarata l’inefficacia tanto della vendita, d a parte dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME e NOME COGNOME e nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, della nuda proprietà di un immobile ubicato in Solofra, avvenuta in data 12 maggio 2006, quanto della vendita, ad opera di RAGIONE_SOCIALE e in favore di RAGIONE_SOCIALE, della nuda proprietà del medesimo bene immobile, perfezionata in data 15 giugno 2006.
La Corte distrettuale di Napoli, a seguito dell’appello presentato dal fallimento di RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rilevava che dalla documentazione prodotta, relativa alla formazione dello stato passivo del fallimento, emergeva che quanto meno alcuni crediti di Equitalia e quello di NOME COGNOME erano sorti anteriormente al primo atto di compravendita.
Escludeva che NOME COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE all’epoca avesse un patrimonio capace di consentirle la soddisfazione di tali debiti, tenuto conto delle iscrizioni ipotecarie gravanti sugli immobili della venditrice, della scarsa significatività del valore dei suoi beni mobili strumentali e della dubbia attendibilità del dato riportato all’interno del provvedimento di rigetto di numerose istanze di fallimento, ove si indicava una consistenza patrimoniale di circa € 5.000.000 sulla base di informazioni raccolte dai Carabinieri ma smentite dallo stesso amministratore della società fallita.
Evidenziava che tra il 2005 e il 2006 la società poi fallita aveva omesso di pagare i suoi debiti ed era stata conscia di non poter recuperare i propri ingenti crediti, giudicando che una simile condizione non potesse lasciare dubbi in ordine al pregiudizio arrecato ai creditori dall’alienazione dei beni dei soci illimitatamente responsabili e inducesse a ritenere che gli stessi, oltre a essere
consapevoli del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato ai creditori, addirittura volessero perseguire tale finalità.
Osservava che il rapporto di coniugio esistente fra una delle venditrici e il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE concorreva a dimostrare (insieme ai protesti elevati a carico di NOME COGNOME e della società, alla presentazione di varie istanze di fallimento, all’avvio di una procedura esecutiva immobiliare e all’iscrizione di un’ipoteca in favore dell’agente della riscossione su uno degli immobili di proprietà della società) la consapevolezza della compagine acquirente del pregiudizio ch e l’atto ar recava alle ragioni dei creditori della venditrice.
Reputava, infine, che RAGIONE_SOCIALE fosse consapevole della revocabilità del primo atto, tenuto conto del lasso di tempo di trentaquattro giorni intercorso fra i due contratti, della differenza di prezzo del 20% fra la prima e la seconda vendita, del fatto che RAGIONE_SOCIALE pur avendo versato per intero il prezzo, avesse rivenduto ottenendo il pagamento immediato del solo 20% del corrispettivo pattuito e accordando una dilazione di ventiquattro mesi della residua parte, senza interessi e con rinuncia all ‘ipoteca legale, e dell’incongruenza del prezzo della seconda vendita rispetto al complessivo valore dei beni ceduti.
Dichiarava, pertanto, inefficaci nei confronti dei creditori ammessi al passivo del fallimento appellante gli atti di vendita della nuda proprietà intervenuti fra NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE con atto in data 12 maggio 2006 e fra RAGIONE_SOCIALE in data 15 giugno 2006.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 4 settembre 2019, prospettando cinque motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso adesivo al ricorso principale, proponendo, a sua volta, ricorso in via incidentale affidato a quattro motivi.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. E’ opportuno prendere le mosse dal ricorso incidentale, per la sua astratta capacità di condurre alla definizione del giudizio in termini che giovano tanto al ricorrente incidentale, quanto a quello principale.
Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della decisione impugnata per violazione degli artt. 324, 329 e 336 cod. proc. civ., in quanto la Corte di merito si è pronunciata sul gravame proposto dalla curatela nonostante l a mancata impugnazione dell’autonoma ratio decidendi con cui era stato rilevato in primo grado che la procedura attrice non aveva neppure ipotizzato la dolosa preordinazione richiesta dall’art. 2901 cod. civ.
5. Il motivo non è fondato.
La stessa ricorrente incidentale ha spiegato che la procedura concorsuale, nell’originario atto di citazione, aveva domandato una declaratoria di inefficacia degli atti di compravendita del 12 maggio 2006 e 15 giugno 2006 in quanto posti in essere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ., ‘ in frode e in pregiudizio ‘ delle ragioni della massa dei creditori.
L’accenno al ricorrere di una condotta fraudolenta compiuto con riferimento all’art. 2901 cod. civ. non poteva che assumere il significato di allegazione del fatto che la condotta descritta fosse stata dolosamente preordinata al fine di pregiudicare il soddisfacimento dei creditori.
L’atto di appello, volto sempre a dire della ricorrente all’ ‘ integrale accoglimento delle domande proposte in primo grado ‘, non poteva
che comportare non solo la riproposizione di una simile prospettazione in termini di allegazione, ma anche una chiara impugnazione di ogni affermazione contraria compiuta dal tribunale, ivi compresa quella che ravvisava una carenza di allegazione all’interno dell’atto introduttivo del giudizio.
6. Il secondo motivo del ricorso incidentale assume, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della decisione impugnata perché il giudice di appello, in violazione del divieto previsto dall’art. 345 cod. proc. civ. e dei principi di cui agli artt. 163 e 115 cod. proc. civ., ha deciso le questioni sottoposte al suo esame sulla base di fatti – costituiti dal rapporto di coniugio fra la venditrice NOME COGNOME e il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME -erroneamente considerati pacifici e non contestati sebbene nuovi, in quanto allegati dalla curatela per la prima volta con l’atto di appello, attraverso un’inammissibile modifica della causa petendi posta a base della domanda di revocatoria inizialmente presentata.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale ha effettivamente tratto la prova della consapevolezza dell’acquirente circa il pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato ai creditori dal rapporto di coniugio esistente fra una delle venditrici e il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, risultante dalla dichiarazione dei redditi della COGNOME ritualmente prodotta, malgrado tale rapporto non fosse mai stato addotto nel giudizio di primo grado.
Un simile rilievo incorre nel divieto di nuove domande previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., giacché il divieto dello ius novorum concerne tanto le allegazioni in fatto e l’indicazione degli elementi di prova, quanto la specificazione delle causae petendi fatte valere in giudizio a sostegno delle azioni e delle eccezioni, pur se la nuova prospettazione sia fondata sulle stesse circostanze di fatto, ma non
si risolva in una semplice precisazione di una tematica già acquisita al giudizio (Cass. 535/2018, Cass. 23614/2010).
La doglianza, però, non ha valore decisivo, perché il rapporto di coniugio costituisce soltanto uno dei plurimi elementi individuati dalla Corte d’appello a dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’azione (indicati a pag. 11 dell a decisione impugnata nei plurimi protesti elevati a carico dell’altro venditore e della società poi fallita, nella presentazione di varie istanze di fallimento nei confronti di quest’ultima e nell’iscrizione di ipoteca in favore dell’agente di riscossione su uno degli immobili della società).
Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 cod. civ., 66 e 148 l. fall., in quanto la Corte di merito ha erroneamente considerato, ai fini dell’accertamento dell’ eventus damni, i crediti ammessi al passivo fallimentare sorti non solo anteriormente alla stipula degli atti revocandi, ma anche in seguito; al contempo la Corte territoriale ha considerato, ai medesimi fini, soltanto il patrimonio della società fallita, senza valutare se al momento della stipula degli atti revocandi i patrimoni dei due soci illimitatamente responsabili, unitamente a quello della società, fossero sufficienti a soddisfare i crediti all’epoca già sorti.
Il motivo è fondato, nei termini che si vanno a illustrare.
9.1 La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto, in ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (ai sensi dell’art. 147 l. fall.), che il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro gli atti di disposizione compiuti dal socio, poiché l’accrescimento del patrimonio di quest’ultimo, in conseguenza dell’accoglimento dell’azione, produce risultati positivi ai fini del soddisfacimento non solo dei suoi creditori particolari, ma anche dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero
anche nel fallimento del primo (Cass. 1103/2016; nello stesso senso si vedano Cass. 3771/2022, Cass. 22279/2017, Cass. 1778/2013).
Risulta, inoltre, consolidato il principio secondo cui il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell’ eventus damni , ha l’onere di provare tre circostanze: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto; solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’ eventus damni (cfr., per tutte, Cass. 26331/2008).
9.2 La combinazione dei due principi appena esposti fa sì, innanzitutto, che nel caso in cui il curatore esperisca un’azione revocatoria rispetto a un atto di disposizione compiuto dal socio occorra avere riguardo ai crediti ammessi al passivo del fallito disponente, in via diretta o per effetto dell’art. 148, comma 3, l. fall., e preesistenti rispetto all’atto pregiudizievole.
Non si presta a censure, quindi, l’accertamento compiuto dalla Corte distrettuale dei crediti (di Equitalia ed NOME COGNOME) sorti anteriormente al primo atto di compravendita ed ammessi al passivo, mentre risulta erronea l’estensione della verifica ai cre diti sorti in epoca successiva.
9.3 Inoltre, trattandosi di un atto posto in essere dai soci illimitatamente responsabili, occorreva verificare l’eventuale mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio di questi ultimi per effetto di tale atto, in modo da rendere oggettivamente più
difficoltosa l’esazione dei crediti, personali o sociali (di cui i soci rispondevano ex art. 2304 cod. civ.).
Questa valutazione è stata completamente omessa dalla Corte distrettuale, che ha preso in considerazione unicamente il patrimonio immobiliare e mobiliare della società ed i crediti vantati dalla stessa nei confronti dei terzi, ma non ha considerato se ciascuno dei due soci disponenti avesse un patrimonio di entità tale da lasciar ritenere che i l compimento dell’atto revocando avrebbe compromesso le ragioni dei creditori.
Giova, infine, sottolineare che se è ben vero, in tema di revocatoria ordinaria, che, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’ eventus damni (Cass. 1902/2015), nel caso di revocatoria ordinaria esercitata dal fallimento tale regola non può trovare applicazione, in quanto, da un lato, il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito e, dall’altro, in ossequio al principio della vicinanza della prova, tale onere non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa (cfr. Cass. 9565/2018, Cass. 8931/2013).
10. L’accoglimento del precedente motivo di doglianza comporta l’assorbimento sia dell’ultimo mezzo del ricorso incidentale (con cui si denuncia la violazione degli artt. 2727, 2729 e 2901 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., giacché la Corte territoriale ha ravvisato la mala fede del subacquirente RAGIONE_SOCIALE desumendola, in via presuntiva, da elementi asseritamente privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza), sia dell’intero ricorso principale.
Per tutto quanto sopra esposto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo mezzo e assorbito il quarto del medesimo ricorso nonché l’intero ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma in data 26 marzo 2025.