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Azione revocatoria fallimentare: limiti del curatore

La Suprema Corte dichiara inammissibili i ricorsi di un curatore fallimentare e dell’Agenzia delle Entrate in un caso di azione revocatoria fallimentare. La decisione sottolinea che il curatore non può subentrare in un’azione avviata da un creditore contro un debitore diverso dalla società fallita, poiché ciò costituirebbe una domanda nuova e inammissibile, alterando la causa petendi originaria.

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Azione Revocatoria Fallimentare: i Limiti al Subentro del Curatore

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’ambito del diritto fallimentare e processuale: i confini dell’ azione revocatoria fallimentare e, in particolare, la possibilità per il curatore di subentrare in un’azione già avviata da un creditore prima della dichiarazione di fallimento. La decisione chiarisce che il perimetro della domanda giudiziale originaria non può essere ampliato, neanche a seguito dell’intervento della curatela, pena l’inammissibilità.

I Fatti alla Base della Controversia

La vicenda trae origine dall’azione revocatoria promossa dall’Agenzia delle Entrate per ottenere la declaratoria di inefficacia di due atti di compravendita immobiliare. Il primo atto, del 2002, vedeva una società controllata vendere un complesso immobiliare alla propria società controllante. Il secondo atto, del 2005, riguardava la vendita dello stesso complesso immobiliare da parte della società controllante a un’altra società da essa controllata. L’azione dell’Erario era fondata su un debito IVA maturato dalla prima società venditrice (la controllata). Successivamente, la società controllante, che aveva acquistato e poi rivenduto l’immobile, veniva dichiarata fallita.

Il Complesso Iter Giudiziario e i Limiti dell’Azione Revocatoria Fallimentare

Il percorso processuale è stato particolarmente articolato. Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda dell’Agenzia, dichiarando inefficaci entrambi gli atti. La Corte d’Appello, in un primo momento, aveva riformato la decisione. Il caso era quindi giunto in Cassazione una prima volta, la quale aveva cassato con rinvio la sentenza d’appello, stabilendo però un principio fondamentale: il Fallimento della società controllante non poteva considerarsi subentrato nell’azione dell’Agenzia delle Entrate, poiché il debitore originario indicato nell’atto introduttivo era la società controllata (prima venditrice), soggetto distinto dalla società poi fallita. Di conseguenza, la domanda del curatore fallimentare, volta a ottenere la revoca del secondo atto di vendita, costituiva una domanda nuova.
Il giudice del rinvio, attenendosi a tale principio, dichiarava cessata la materia del contendere per il primo atto e inammissibile la domanda revocatoria relativa al secondo atto. Contro questa decisione, sia il Fallimento sia l’Agenzia delle Entrate proponevano un nuovo ricorso per Cassazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, consolidando il principio già espresso nella precedente pronuncia. Il punto centrale della motivazione risiede nel concetto di causa petendi, ovvero le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della domanda iniziale.

La Suprema Corte ribadisce che l’azione revocatoria avviata dall’Agenzia delle Entrate era stata fondata esclusivamente su un credito vantato nei confronti della società controllata originaria. La successiva dichiarazione di fallimento della società controllante (acquirente nel primo atto e venditrice nel secondo) non poteva modificare l’oggetto del giudizio. Il curatore fallimentare, intervenendo, non può agire a tutela di un credito che l’attore originario (l’Agenzia) non aveva mai vantato nei confronti della società fallita. Pertanto, la pretesa del curatore di far dichiarare inefficace il secondo atto di vendita per soddisfare la massa dei creditori della società fallita si configura come una domanda radicalmente diversa e nuova rispetto a quella originaria, e come tale è inammissibile.

La Corte chiarisce che l’eventuale accoglimento di un’azione revocatoria ordinaria non comporta l’acquisizione del bene al patrimonio del fallimento, ma consente unicamente al creditore vittorioso di aggredire il bene in sede esecutiva, come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore. Poiché il debitore originario non era la società fallita, il curatore non aveva titolo né interesse per proseguire un’azione finalizzata a tutelare un credito altrui.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

L’ordinanza offre importanti spunti di riflessione per gli operatori del diritto. In primo luogo, essa delinea con rigore i limiti del subentro del curatore fallimentare nelle azioni pendenti, ancorandolo strettamente all’oggetto della domanda originaria. Il curatore non può ‘ereditare’ un’azione per poi piegarla a finalità diverse, come la tutela della massa creditoria, se queste non erano contemplate nella causa petendi iniziale.

In secondo luogo, la decisione evidenzia l’importanza cruciale di una corretta individuazione dei soggetti (creditore e debitore) e del titolo del credito sin dall’atto introduttivo del giudizio. Qualsiasi tentativo di modificare tali elementi essenziali nelle fasi successive del processo rischia di scontrarsi con il divieto di domande nuove.

Infine, viene riaffermata la distinzione tra gli effetti della revocatoria ordinaria (inefficacia relativa a favore del solo creditore agente) e quelli della revocatoria fallimentale (acquisizione del bene alla massa attiva). Nel caso di specie, essendo l’azione originaria una revocatoria ordinaria, il suo perimetro non poteva essere esteso per produrre gli effetti tipici dell’azione concorsuale.

Il curatore fallimentare può sempre subentrare in un’azione revocatoria iniziata da un singolo creditore prima del fallimento?
No, non sempre. Il subentro è possibile solo se l’azione originaria era stata intentata contro il soggetto che poi è stato dichiarato fallito. Se l’azione era rivolta contro un debitore diverso, come nel caso di specie, il curatore non può subentrare perché la sua domanda sarebbe fondata su una ‘causa petendi’ differente e quindi risulterebbe inammissibile.

Perché la domanda del Fallimento è stata considerata ‘nuova’ e quindi inammissibile?
Perché la domanda originaria dell’Agenzia delle Entrate era basata su un credito vantato nei confronti della prima società venditrice (la controllata), non della società poi fallita (la controllante). La pretesa del curatore di ottenere la revoca del secondo atto di vendita per tutelare la massa dei creditori della società fallita si fondava su un presupposto diverso e non era una semplice prosecuzione dell’azione iniziale.

Cosa stabilisce la Corte riguardo agli effetti dell’azione revocatoria in questo contesto?
La Corte ribadisce che l’azione revocatoria ordinaria (ex art. 2901 c.c.) non fa rientrare il bene nel patrimonio del debitore (o del fallimento), ma lo rende semplicemente aggredibile dal creditore che ha agito in giudizio. Dato che il creditore originario agiva per un debito di un soggetto terzo rispetto al fallimento, il curatore non aveva titolo per beneficiare degli effetti di tale azione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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