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Azione revocatoria fallimentare: la prova richiesta

In un caso di opposizione allo stato passivo, la Corte di Cassazione ha analizzato i presupposti dell’azione revocatoria fallimentare. La Corte ha stabilito che, per revocare una garanzia, il curatore deve provare la specifica conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (scientia damni) da parte della banca, non essendo sufficiente la mera conoscenza dello stato di insolvenza del debitore. Viene così cassata con rinvio la decisione di merito che aveva confuso i due concetti, accogliendo il ricorso della banca su questo punto cruciale.

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Azione revocatoria fallimentare: la Cassazione distingue tra conoscenza del pregiudizio e stato di insolvenza

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso complesso in materia di garanzie bancarie e azione revocatoria fallimentare, fornendo chiarimenti cruciali sulla prova dell’elemento soggettivo richiesto per la revoca degli atti pregiudizievoli. La decisione sottolinea la netta distinzione tra la generica conoscenza dello stato di insolvenza del debitore e la specifica consapevolezza del pregiudizio arrecato agli altri creditori (la cosiddetta scientia damni).

I Fatti di Causa

Una società bancaria aveva concesso un cospicuo finanziamento a un’azienda, garantito, tra l’altro, da un pegno su un saldo di conto corrente. Successivamente, l’azienda veniva dichiarata fallita. La banca chiedeva di essere ammessa al passivo del fallimento in via privilegiata, in virtù della garanzia pignoratizia.

Il curatore del fallimento si opponeva, eccependo l’inefficacia della garanzia tramite un’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 66 della Legge Fallimentare. Il Tribunale, in sede di opposizione, pur ammettendo l’intero credito della banca, escludeva il privilegio derivante dal pegno, accogliendo di fatto l’eccezione del curatore. Secondo i giudici di merito, la costituzione del pegno rappresentava un atto pregiudizievole per gli altri creditori e sussistevano i presupposti per la sua revoca.

La banca ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, l’errata qualificazione del pegno come ‘regolare’ e, soprattutto, l’erronea valutazione dei presupposti per l’azione revocatoria, in particolare per quanto riguarda la prova dell’elemento soggettivo, ovvero la conoscenza del pregiudizio da parte della banca.

La Decisione sull’azione revocatoria fallimentare

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso della banca, ma ha accolto il terzo, ritenendolo fondato. Ha inoltre accolto il ricorso incidentale del fallimento. Di conseguenza, ha cassato il decreto impugnato, rinviando la causa al Tribunale in diversa composizione per un nuovo esame.

In sintesi, la Corte ha stabilito che:
1. Il pegno sul saldo di conto corrente era correttamente stato qualificato come pegno regolare, poiché il contratto non conferiva alla banca la facoltà di disporre immediatamente della somma, ma solo a seguito di inadempimento e previo preavviso.
2. La normativa speciale sui contratti di garanzia finanziaria (D.Lgs. 170/2004) non incide sulla disciplina della revocabilità degli atti nel contesto di un fallimento.
3. Il Tribunale ha errato nel ritenere provata la scientia damni della banca basandosi su elementi che dimostravano unicamente la conoscenza dello stato di insolvenza dell’azienda, confondendo due concetti che la legge distingue nettamente.

Le Motivazioni

La parte più significativa della decisione riguarda il terzo motivo di ricorso. La Corte ha ribadito che l’azione revocatoria fallimentare esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 66 L.Fall. rinvia alle norme del codice civile (art. 2901 c.c.). Questo implica che, per ottenere la revoca di un atto, il curatore deve provare la sussistenza di due presupposti: l’eventus damni (il pregiudizio oggettivo per la massa dei creditori) e la scientia damni (la consapevolezza di tale pregiudizio da parte del debitore e, in caso di atti onerosi, anche del terzo, in questo caso la banca).

La Cassazione ha censurato la decisione del Tribunale perché quest’ultimo, per dimostrare la scientia damni della banca, aveva utilizzato ‘indici della conoscenza dello stato di insolvenza’. Secondo la Suprema Corte, si tratta di un errore di diritto. La conoscenza dello stato di insolvenza è un concetto diverso e più generico rispetto alla scientia damni. Quest’ultima è la consapevolezza specifica che, attraverso un determinato atto (la costituzione del pegno), si sta determinando una situazione di pericolo per il patrimonio, riducendo la garanzia generica per gli altri creditori.

In altre parole, non è sufficiente che la banca sapesse che l’azienda era in difficoltà finanziarie; il curatore avrebbe dovuto provare che la banca era consapevole che la costituzione di quella specifica garanzia a suo favore avrebbe leso le aspettative di soddisfacimento degli altri creditori. Il Tribunale di rinvio dovrà quindi riesaminare il caso, applicando correttamente questo principio e valutando se, sulla base delle prove fornite (anche quelle indicate dal curatore nel suo ricorso incidentale), si possa ritenere dimostrata la specifica scientia damni richiesta dalla legge.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di azione revocatoria fallimentare. La prova richiesta al curatore per l’elemento soggettivo è rigorosa e non può essere surrogata da presunzioni basate sulla mera conoscenza dello stato di crisi dell’impresa. La distinzione tra scientia damni e conoscenza dello stato di insolvenza è netta: la prima è una consapevolezza qualificata del pregiudizio arrecato, mentre la seconda è una percezione più generale della difficoltà economica del debitore.

Per gli operatori del settore bancario e per i curatori fallimentari, la lezione è chiara. Per le banche, si tratta di una maggiore tutela per le garanzie ricevute, che non possono essere revocate semplicemente perché il debitore era in una situazione di crisi nota. Per i curatori, invece, la decisione impone un onere probatorio più stringente, richiedendo di raccogliere elementi specifici che dimostrino non solo che il creditore conosceva l’insolvenza, ma che era cosciente del danno che l’atto specifico stava causando alla par condicio creditorum.

Quando un pegno su un saldo di conto corrente si considera ‘irregolare’?
Secondo la Corte, un pegno su saldo di conto corrente è ‘irregolare’ solo quando alla banca viene espressamente e immediatamente conferita la facoltà di disporre della somma. Se, come nel caso di specie, la banca può utilizzare il saldo solo dopo l’inadempimento del debitore e con un preavviso, il pegno si qualifica come ‘regolare’.

Per una azione revocatoria fallimentare, è sufficiente provare che il creditore conosceva lo stato di insolvenza del debitore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente. È necessario provare la ‘scientia damni’, ovvero la specifica consapevolezza da parte del creditore che l’atto in questione (es. la costituzione di una garanzia) avrebbe arrecato un pregiudizio agli altri creditori, diminuendo la loro possibilità di essere soddisfatti.

La normativa europea sui contratti di garanzia finanziaria (D.Lgs. 170/2004) rende una garanzia immune dall’azione revocatoria fallimentare?
No. La Corte ha ribadito che tale normativa, pur regolando l’escussione della garanzia, non incide sul regime di revocabilità degli atti previsto dalla legge fallimentare. Pertanto, una garanzia finanziaria può essere comunque soggetta a revoca se ne ricorrono i presupposti, come l’eventus damni e la scientia damni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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