Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 874 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 874 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23182/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO N 38/2014 DELLA SOC RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore fallimentare, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio
dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME, NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentat o e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 644/2021 depositata il 30/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel settembre 2007, la RAGIONE_SOCIALE stipulava con NOME COGNOME un contratto preliminare di vendita di cosa futura, avente ad oggetto un appartamento con giardino e un box in Salerno.
A seguito dell’inadempimento della società immobiliare, nel maggio 2011, COGNOME azionava la clausola compromissoria contenuta nel contratto, chiedendo la condanna di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dell’importo di € 170.000,00 versato a titolo di prezzo, oltre interessi, penali e danni.
Il 9.07.2013, con lodo arbitrale, veniva parzialmente accolta tale domanda e così COGNOME diveniva creditore della SP Immobiliare per € 192.905,13.
Nel 2013, COGNOME adiva il Tribunale di Salerno per sentir accertare e dichiarare, nei suoi confronti, l’inefficacia ex art. 2901 c.c. di tre atti di compravendita immobiliare conclusi durante il giudizio arbitrale: precisamente, il 4.04.2012 con RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, il 6.02.2013 con RAGIONE_SOCIALE e il 15.02.2013 con NOME COGNOME e NOME COGNOME. In subordine, chiedeva che fosse disposta la revocatoria di almeno uno di tali atti e comunque fino alla concorrenza del suo credito.
Tutti i convenuti chiedevano il rigetto della domanda, non sussistendo i presupposti dell’ actio pauliana .
Nelle more, il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 38 del 28.05.2014, dichiarava il fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. Pertanto, la Curatela del fallimento interveniva nel giudizio revocatorio promosso da Oliva, chiedendo la declaratoria di inefficacia degli atti impugnati nell’interesse della massa dei creditori.
Dopo tale intervento, veniva depositata la consulenza tecnica d’ufficio sul valore degli immobili trasferiti dalla SP Immobiliare.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 650/2015, accoglieva parzialmente la domanda attorea, dichiarando l’inefficacia delle prime due compravendite: 1) quella con Perla 2006 e NOME COGNOME, sussistendo rapporti di parentela tra le parti, atteso che detta società era interamente partecipata dalla moglie dell’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME era madre di quest’ultimo; 2) quella con la RAGIONE_SOCIALE, perché conclusa senza intermediario e a un prezzo inferiore del 19,75% rispetto a quello di mercato.
La RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con la Cerenza proponevano due distinti appelli, che la Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 644/2021, rigettava.
In particolare, la Corte d’appello, relativamente ad entrambi gli appelli, osservava che i fatti costitutivi del credito di COGNOME erano antecedenti agli atti di compravendita, in quanto il procedimento arbitrale era stato incardinato nel maggio 2011. Priva di pregio valutava l’eccezione di efficacia ex nunc della pronuncia su tale domanda, rilevando unicamente la sussistenza di una legittima aspettativa di credito, nel caso, esistente e documentalmente provata. Quanto all’appello della RAGIONE_SOCIALE, ne statuiva l’infondatezza: i) per aver solo genericamente criticato la sentenza in punto di avvenuto acquisto al miglior prezzo, a seguito di trattativa diretta tra il suo amministratore e NOME COGNOME, amministratore di fatto della venditrice; ii) per non aver negato ‘l’approfittamento’ e la conoscenza tra i due amministratori, deducendo, ancora in modo generico, che quand’anche fosse stata vera la circostanza della conoscenza dei due imprenditori, essa non poteva costituire motivo di fondamento della sentenza impugnata, e che la commistione delle compagini societarie della prima vendita non poteva incidere sulla valutazione della domanda in merito alla
seconda vendita da essa conclusa. Infine, rilevava, con riguardo al prezzo, che l’IVA pagata dall’acquirente non può essere considerata come un costo e, quindi, far lievitare il prezzo pagato, essendo l’imposta sul valore aggiunto, in tal caso, una mera partita di giro tra le due società, soggette ad IVA.
Parimenti infondate, ad avviso della Corte, erano le doglianze sollevate da COGNOME 2006 e dalla Cerenza. Infondate in particolare sarebbero state le prime due censure sulla perdita di legittimazione attiva dell’Oliva, perché il Tribunale aveva correttamente motivato sul punto, posto che la successione processuale non aveva dato luogo ad alcun mutamento della domanda, retta dagli stessi principi giuridici, con l’unica differenza che la declaratoria di inefficacia si sarebbe compiuta in favore del fallimento intervenutoNOME
Sarebbero stati poi sussistenti i presupposti dell’ actio pauliana : l’ eventus damni , avendo il creditore dato prova della modifica della garanzia patrimoniale della debitrice a seguito delle tre vendite, mentre quest’ultima non avrebbe offerto prova della capienza del suo restante patrimonio; quanto al prezzo, non sarebbe stato fornito alcun elemento a confutazione della stima fatta dal CTU e delle argomentazioni svolte dal Tribunale. La scientia damni , poi, sarebbe stata desumibile dalla contradictio in cui erano incorse le appellanti, avendo sostenuto, per un verso, che era arbitraria l’affermazione del primo giudice secondo cui, all’epoca della prima vendita, la RAGIONE_SOCIALE era gestita da un amministratore di fatto, e, per altro verso, sostenuto che con tale vendita costui aveva adempiuto ad un obbligo assunto verso la madre, NOME COGNOME nell’atto pubblico dell’11.10.2020, così confermando il ruolo avuto in quella prima compravendita.
In merito al gravame proposto in via subordinata dalla Perla 2006 e dalla Cerenza, sulla inefficacia della terza compravendita, la Corte lo dichiarava inammissibile per difetto di interesse delle appellanti, non essendo parti di quel rapporto contrattuale.
Infine, anche l’ultima doglianza sulle spese processuali del primo grado era respinta, in quanto, le somme liquidate in primo grado sarebbero state correttamente determinate.
Hanno proposto ricorso, sulla base di sei motivi, NOME e NOME COGNOME
La Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito, con controricorso. La causa è stata dapprima fissata in udienza camerale e successivamente rinviata alla pubblica udienza. Tutte le parti hanno depositato memoria. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto, con il rigetto degli altri motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Con il primo motivo le ricorrenti lamentano inesistenza e/o nullità della sentenza -carenza motivazionale motivazione apparente -contraddittorietà penalizzante violazione di legge: art. 1362 cc -artt. 99, 112, 113, 115, 132, 156, 157, 159, 161, 163, 198 cpc -artt. 118 e 119 disp. att. cpc -artt. 24, 111 della costituzione in relazione all’art. 360 n. 4 cpc’.
La sentenza sarebbe incorsa in totale difetto di motivazione, sia dal punto di vista logico che dal punto di vista giuridico e sostanziale, in relazione al minimum costituzionale, tanto che la ratio decidendi non risulterebbe individuabile e che sarebbe stato violato l’art.112 c.p.c. inteso come dovere decisorio.
4.2. Il motivo è privo di fondatezza.
In disparte l’inammissibilità per genericità della critica alla sentenza impugnata, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio di diritto secondo cui ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il
fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (v. Cass. civ., Sez. I, Ord., 5/04/2023, n. 9422; Cass. civ., Sez. V, 30/01/2023, n. 2773; Cass. civ., SS.UU., Ord., 21/11/2022, n. 34263; Cass. civ., SS.UU., 3/11/2016, n. 22232).
La sentenza impugnata, invece, risulta immune dai denunciati vizi di nullità, avendo la Corte di appello svolto argomentazioni palesemente idonee a esternare le ragioni della sua decisione.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1453, 2901 e segg. c.c., 99, 183, 184 c.p.c. e 66 LF, ‘il tutto in relazione all’art. 360 I n. 3 cpc’, il che viene concretizzato in più submotivi.
5.1 Il primo motivo d’appello osservano anzitutto le ricorrenti -aveva lamentato che il Tribunale non avesse tenuto conto che, essendo stato dichiarato nelle more del giudizio il fallimento di RAGIONE_SOCIALE ed essendosi costituita la relativa Curatela, NOME COGNOME aveva perso la sua legittimazione attiva, per cui la sua domanda era divenuta improcedibile, essendo il Curatore fallimentare l’unico soggetto legittimato a partecipare al giudizio.
Il giudice d’appello, a pagina 9 della sentenza, aveva risposto alla censura affermando che il primo giudice non aveva errato, bensì aveva ‘puntualmente motivato in merito alla successione processuale che si è verificata, precisando che essa non avrebbe dato luogo ad alcun mutamento della domanda … con l’unica differenza che la dichiarazione di inefficacia relativa si sarebbe compiuta in favore del fallimento intervenuto’, per cui correttamente ‘il Tribunale, accogliendo la iniziale domanda formulata dal creditore COGNOME ha dichiarato l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dei due atti di compravendita … unicamente nei confronti della Curatela Fallimentare’.
Le ricorrenti oppongono che NOME avrebbe perso la capacità di stare in giudizio e che avrebbe dovuto venire estromesso ‘in INDIRIZZO
definitiva’. Richiamano a supporto S.U. n. 29420/2008, per cui il curatore subentra ex art. 66 L.F. ‘accettando la causa nello stato in cui si trova’, venendo meno la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario, onde ‘la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio’.
5.2 Il Tribunale, alla cui decisione la Corte d’appello aderisce, ha dichiarato che ‘tale successione processuale non dà luogo a nessun mutamento della domanda’; ad avviso delle ricorrenti, invece, il mutamento sussisterebbe. Infatti ‘dall’ampliamento degli effetti della domanda … rimane illegittimamente coinvolto un terzo (Cerenza Giovanna) nei cui confronti la Curatela non vanta alcuna pretesa’, pregiudicando così il diritto di difesa: nel giudizio di cui all’articolo 2901 c.c. gli effetti positivi dell’azione ‘dovevano e devono rimanere’ a favore esclusivamente del creditore COGNOME che aveva agito nei confronti delle due attuali ricorrenti, oltre che verso l” ipotetico debitore’, discendendo invece dall”intervento (tardivo) della Curatela’ l’allargamento della ‘platea dei creditori’, e così venendo radicalmente trasformato l’oggetto del giudizio.
5.3 Va subito rilevato, riguardo alla posizione di NOME COGNOME, che la doglianza descritta, più ancora che infondata, è incomprensibile, in quanto l’azione era già stata esercitata sin dall’inizio anche nei suoi confronti.
5.4 Quanto poi agli effetti del subentro, questi sono stati ben identificati da una solida e costante giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra gli arresti massimati: Cass. sez. 1, 12153/2009 -per cui l’azione revocatoria ordinaria è ‘un’azione che il curatore trova nella massa fallimentare’ e che si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esercitare prima della dichiarazione del fallimento; in essa il curatore può subentrare per la legittimazione conferitagli dell’articolo 66 l.fall. ‘accettando la causa nello stato in cui si trova’ -; Cass. sez. 3, 8984/2011 e Cass. sez. 3, 21810/2015
-per cui l’intervenuto fallimento fa subentrare il curatore ex art. 66 L.F., sopprimendo la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario, solo quando l’azione pauliana è proposta unicamente nei confronti del debitore fallito, onde, se la domanda è proposta anche verso un terzo verso il quale il curatore non vanta pretese, il creditore è legittimato a riassumere la causa -; Cass. sez. 1, 614/2016 -per cui il curatore che subentra ex articolo 66 L.F. in un giudizio frutto dell’azione pauliana ‘accetta la causa nello stato in cui si trova, sicché l’esercizio di tale facoltà non è soggetto ai limiti entro i quali le parti possono formulare nuove domande o eccezioni nel processo di primo grado, né, ove la lite già penda in appello, al termine previsto per la proposizione del gravame incidentale o alle preclusioni di cui all’art. 345, comma 1, c.p.c., poiché, al contrario, è sufficiente che egli si costituisca … dichiarando di voler far propria la domanda proposta ex art. 2901 c.p.c. per investire il giudice del dovere di pronunciare sulla stessa nei confronti dell’intera massa dei creditori’ (conforme Cass. sez. 1, ord. 11306/2018) -; Cass. sez. 1, ord. 6795/2023 -per cui, qualora sia stata avviata azione pauliana e sopravvenga il fallimento, la prosecuzione del giudizio ad opera del curatore, secondo la legittimazione ex articolo 66 L.F., comporta che il curatore deve soltanto provare il danno derivante dall’atto dispositivo, a prescindere dall’insinuazione al passivo fallimentare del credito in base al quale l’attore originario aveva agito -).
Il risultato dell’azione pauliana viene quindi esteso nei confronti dell’intera massa dei creditori essendo entrato nel giudizio il curatore. Pertanto è priva di fondatezza l’ulteriore censura (si veda ricorso, pagina 29) secondo la quale il curatore avrebbe chiesto erroneamente l’effetto ‘allargato’ dell’azione a favore della massa creditoria.
5.5 D’altronde, che sia rimasto in causa il creditore singolo che l’aveva instaurata ex articolo 2901 c.c. non crea alcuna criticità:
condivisibilmente, in particolare, Cass. sez. 3, ord. 21013/2018 ha affermato che ‘non costituisce forma di soccombenza né la sopravvenuta improcedibilità della sua domanda in ragione del subentro del curatore in quanto non attribuibile all’originario attore, il quale aveva fondatamente incardinato il giudizio – né la sua mancata estromissione’ da parte del giudice, caso in cui la liquidazione delle spese a suo favore deve essere comunque ‘correlata al periodo antecedente alla sopravvenuta improcedibilità della domanda … da lui proposta’.
5.6 Vengono poi inseriti pure elementi fattuali (ricorso, pagine 27 ss.), chiaramente inammissibili in sede di legittimità, sempre in questo submotivo adducendo altresì che non si sarebbe dinanzi a atti dispositivi posteriori al credito; si ritorna inoltre a sostenere che la costituzione del curatore avrebbe immotivatamente cambiato il decisum e in particolare il thema probandum , pregiudicando il diritto di difesa, l”ipotetico credito’ risultando ‘successivo alle alienazioni immobiliari individuate’ nel lodo arbitrale (ricorso, pagina 31), essendo preliminarmente necessario decidere la risoluzione per inadempimento.
Qui si ripropone, in sostanza, il terzo motivo dell’appello presentato dalle attuali ricorrenti (sentenza, pagine 5-6) cui la corte territoriale ha risposto a pagina 7 della sentenza, affermando che le ragioni di credito preesistevano agli atti di compravendita e che l’azione revocatoria tutela pure una legittima aspettativa di credito probabile (Cass. 18291/2020), non rilevando l’efficacia ex nunc della sentenza sulla domanda di risoluzione per inadempimento, bensì rilevando soltanto ‘la sola verifica della legittima aspettativa di credito’. Il ricorso confuta ciò in quel che definisce, nell’ambito del terzo ‘motivo di gravame’, ‘motivo di gravame 3A’, ove riporta, peraltro, solo la sintesi del terzo motivo d’appello offerta nelle pagine 5-6 della sentenza e quel che a pagina 7 la corte territoriale ha risposto, sostenendo che ciò sarebbe inficiato dalle
censure del ‘paragrafo precedente’ e che la corte ‘omette ogni motivazione’ (ricorso, pagina 34).
5.7 Si tratta di una doglianza inconsistente: non vale una censura motivazionale, perché si tratta di questione di diritto; non vi è d’altronde risposta a quanto detto in iure dalla corte territoriale a pagina 7 della sentenza.
D’altronde, sul ‘credito’ ex art. 2901 c.c. in nozione lata, includente ragione/aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, si dà atto che la posizione assunta dalla corte territoriale trova sostegno tra gli arresti, anche recenti, di questa Suprema Corte (Cass. sez. 3, 1893/2012, Cass. sez. 3, 5619/2016, Cass. sez. 3, 23208/2016 e Cass. sez. 3, 4668/2023; e cfr. già S.U. 9440/2004).
5.8 Il terzo ‘motivo di gravame’ ha preso avvio, si nota per completezza, dalla denuncia di omesso esame di fatto decisivo e discusso ex art. 360 I n.5 c.p.c., che, in sintesi, imputa però alla corte territoriale di non avere rilasciato ‘nessuna risposta’ al secondo motivo d’appello dove, a pagina 5 della sentenza impugnata, si rimarca che questo avrebbe censurato la sentenza del primo giudice ‘nel punto in cui … ha accolto la domanda formulata dalla Curatela … la quale avrebbe potuto solo subentrare nella posizione della parte dichiarata fallita senza poter proporre, come invece ha fatto …, domande nuove e chiedere che l’atto oggetto di lite fosse dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori’, violando l’articolo 99 c.p.c.
Riqualificata, allora, la censura come doglianza di omessa pronuncia, ictu oculi questa risulta priva di fondatezza per quanto già sopra evidenziato (sub 5.4).
Con il quarto motivo si denuncia ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto, violazione artt. 99 cpc e 112 cpc, il tutto in relazione all’art. 360 I n. 3 cpc’.
6.1 Si riporta la sintesi del quarto motivo d’appello presente nella sentenza impugnata a pagina 6 in ordine ad un preteso ‘difetto di prova della effettiva esistenza di un danno e della illegittimità dell’atto da revocare’ nonché dell’omessa considerazione in cui sarebbe incorso il primo giudice del fatto che ‘il patrimonio residuo della RAGIONE_SOCIALE era più che consistente rispetto alla pretesa’, che i beni venduti alle attuali ricorrenti erano ipotecati e che ‘alla data di stipula di quell’atto la SP … ancora non aveva venduto gli altri due beni immobili oggetto di revocatoria’; si era argomentato pure sulla entità del prezzo e sul ruolo di NOME COGNOME sia rispetto alla società sia rispetto all’obbligo che avrebbe assunto nei confronti della madre NOME COGNOME deducendo che ‘nessuna motivazione il Tribunale aveva fornito sulla gravità, precisione e concordanza delle presunzioni’ adottate.
6.2 Si è evidentemente dinanzi ad una censura fattuale, che riprende il quarto motivo d’appello in ordine al difetto di prova, aggiungendo comunque l’invocazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., ictu oculi non pertinenti per quanto appena esposto. Il motivo, dunque, nel suo complesso non merita alcun accoglimento.
Con il quinto motivo si prospetta, come ‘errore di diritto’, ‘violazione degli artt. 2901 cc 66 LF -2697 cc -2740 cc -1346 cc -2729 cc -artt. 115 cpc -116 cpc -93 cpc, in relazione all’art. 360 I n. 3 cpc’.
Si richiama un passo della sentenza impugnata (pagine 10-11) ove la corte territoriale rileva che le attuali ricorrenti negavano ‘compartecipazione tra le parti della compravendita’ del 4.04.2012′ e riprendevano il ruolo di NOME COGNOME e il suo rapporto con la madre: questioni già ictu oculi fattuali, il passo concludendo con la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello subordinato ‘per difetto di interesse all’impugnazione delle appellanti, non essendo esse parti di quel rapporto contrattuale’.
Il motivo si dispiega ampiamente (ricorso, pagine 37-54) e parimenti inammissibilmente in una critica fondata sulla base di plurimi elementi fattuali – talora schermati con irrilevanti riferimenti normativi, come, per esempio, l’articolo 1346 c.c. – per dimostrare l’assenza dei componenti dell’azione pauliana (definiti come ‘condizioni per l’azione’) nel caso in esame, censurando la valutazione di entrambi i giudici di merito e invocando, ancora solo in via di apparenza perché la sostanza del motivo rimane quella che dovrebbe semmai animare un gravame d’appello, gli articoli 115, 116 c.p.c., 97 disp. att. c.p.c. e 2729 c.c.
Questa prolissa ‘revisione’ dell’accertamento fattuale sfocia poi (pagina 54) in vizio motivazionale ex articolo 360 n.5 e nullità della sentenza ex articolo 360 n.4 c.p.c. per un mero asserto (‘L’argomento esposto configura oltre all’errore di diritto anche la nullità della sentenza … ed anche il vizio motivazionale … Si richiamano, in proposito, tutte le precedenti censure, circostanze e da affermazioni che rientrano anche nelle specifiche censure solo richiamate per evitare ripetizioni e garantire l’autosufficienza del ricorso’) che evidentemente non sana la complessiva inammissibilità di tutta la critica qui riassunta, vista la genericità assertiva che connota quest’ultima censura.
Segue, pur non essendo numerato in rubrica, un ulteriore motivo (ricorso, pagine 54-56), per la sequenza da identificare in sesto, che è così intitolato: ‘Revocatoria dell’atto COGNOME/COGNOME -disparità di trattamento – appello condizionato. Violazione di legge: art. 2901 e segg. CC’.
Anche questo motivo presenta una evidente natura fattuale, in quanto esamina sotto questo profilo la terza vendita del 15 febbraio 2013, non a caso, pertanto, criticando la posizione assunta dal Tribunale al riguardo, e non considerando il giudice d’appello.
La sua inammissibilità è pertanto evidente.
Con il settimo motivo si lamenta ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto artt. 91, 310 IV cpc, in relazione all’ art. 360 I n. 3 cpc’.
9.1 La liquidazione delle spese sarebbe avvenuta in modo erroneo. Nel relativo motivo di appello si era sostenuto – come ha dato atto, a pagina 7, la sentenza qui impugnata – che le spese processuali avrebbero dovuto essere ‘parametrate al valore del credito tutelato, pari a € 192.905,13, o allo scaglione di valore indeterminato indicato dall’attore’. Su tale punto la Corte d’appello risponde a pagina 11 della sentenza affermando che il valore della causa va determinato in base al credito vantato dall’attore nell’azione revocatoria, che nel caso specifico sarebbe di circa € 650.000. Di conseguenza, le somme liquidate in primo grado sarebbero, secondo la Corte, coerenti con i parametri di liquidazione previsti.
9.2 Pur richiamando la giurisprudenza pertinente e in linea con quanto affermato dalle ricorrenti ex appellanti, la corte rigetta tuttavia il motivo ritenendo che il valore della causa sia effettivamente di € 650.000. Tuttavia, emerge un errore di diritto, poiché il giudice non ha chiarito i parametri utilizzati per determinare tale valore. Invero, la questione denunciata a ben guardare non si esaurisce: la corte territoriale, appunto, non spiega come ha compiuto il vaglio per giungere a un siffatto valore, e sotto questo profilo, che è quello che ha condotto la corte territoriale a disattendere la censura delle appellanti, offre un mero asserto. Vale a dire, in parte qua non ha risposto alla censura sotto il profilo della identificazione dello scaglione, cioè del d.m. 55/2014: decreto che infatti il motivo (ricorso, pagina 57), pur conciso, lamenta essere stato ‘erroneamente adoperato’.
Il motivo, pertanto, risulta fondato e quindi, decidendolo nel merito in relazione al parametro del valore indeterminato (cfr. sentenza, pagina 7), si determina in complessivi euro 5000, oltre a euro 200
per esborsi e oltre agli accessori di legge, l’importo delle spese che le attuali ricorrenti vanno condannate – solidalmente per il comune interesse processuale – a rifondere, quali appellanti, agli appellati costituitisi nel secondo grado, cioè sia al RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sia ai RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, sia al RAGIONE_SOCIALE
In conclusione, va accolto e deciso nel merito il settimo motivo del ricorso, disattesi gli altri; la reciproca soccombenza, cagionata d’altronde da un evidente errore della Corte d’appello, giustifica la compensazione delle spese del presente grado.
P.Q.M.
Accoglie il settimo motivo del ricorso, disattesi gli altri, cassa la sentenza per quanto di ragione e, decidendo nel merito condanna solidalmente RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME a rifondere quali spese processuali di appello euro 5000, oltre a euro 200 per esborsi e oltre agli accessori di legge, sia al Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sia ai RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, sia al RAGIONE_SOCIALE Compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, in data 17 dicembre 2024.