Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29804 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29804 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21100/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, già liquidatore e legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO (EMAIL), presso il cui studio elettivamente domicilia in Ancona, al INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende.
–
contro
ricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione).
-intimato –
avverso la sentenza, n. cron. 422/2024, della CORTE DI APPELLO DI ANCONA depositata in data 11/03/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
06/11/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) citò l’RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Pesaro affinché quest’ultimo , previo accertamento della (già) dichiarata inefficacia, ex art. 2901 cod. civ ., dell’atto di conferimento di azienda stipulato il 2 ottobre 2012 a rogito del AVV_NOTAIO di Osimo e della circostanza che il credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti della conferitaria RAGIONE_SOCIALE risultava maturato, in realtà, nei confronti RAGIONE_SOCIALE sole società conferenti, dichiarasse l’insussistenza della pretesa creditoria vantata nei confronti di essa istante dalla menzionata RAGIONE_SOCIALE ed in funzione della quale la stessa aveva depositato istanza di fallimento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Costituitasi la convenuta, che contestò l’avversa pretesa chiedendone il rigetto, il processo fu interrotto per il sopravvenuto fallimento dell’attrice, dichiarato dal medesimo tribunale il 10 dicembre 2019, e tempestivamente riassunto da NOME COGNOME, nella qualità di liquidatore e legale rappresentante della società fallita, che spiegò contestualmente intervento ex art. 43 l.fall.
Costituitasi nuovamente l’RAGIONE_SOCIALE, che ribadì le conclusioni già precedentemente rassegnate, l’adito tribunale, con sentenza n. 69/2021, rigettò la domanda dell’attrice e, per l’effetto, condann ò lo COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite sostenute dalla convenuta, compensando, invece, quelle tra quest’ultima ed il RAGIONE_SOCIALE
Il gravame promosso dallo COGNOME avverso quella decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Ancona con sentenza n. 422/2024, pronunciata nel contraddittorio con l’RAGIONE_SOCIALE e nella
contumacia del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione).
In sintesi, quella corte: i ) disattese la doglianza con cui l’appellante aveva denunciato la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 281sexies cod. proc. civ., per avere il tribunale omesso, nella ordinanza del 22 dicembre 2020, di formulare espresso invito alla precisazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni, per aver deciso all’esito della udienza senza far discutere oralmente le parti e non accolto la richiesta dello COGNOME di fissazione di una successiva per la discussione orale della causa, con evidente vulnus del diritto di difesa. Opinò, in proposito, che « Alla stregua della concreta scansione RAGIONE_SOCIALE attività RAGIONE_SOCIALE parti e dei provvedimenti del giudice di prime cure, -quale risulta dall’ordinanza del 22.12.2020, emessa a scioglimento della riserva sull’ammissione RAGIONE_SOCIALE istanze istruttorie formulate dalle parti con le memorie di cui all’art. 183, co mma 6, c.p.c., e dal verbale dell’udienza del 28.01.2021, all’esito della quale è stata poi resa la sentenza ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c. -nonché alla luce di un’interpretazione aderente al dettato normativo di cui all’art. 281 -sexies c.p.c. e alla sua ratio , quanto dedotto da parte appellante non trova riscontro »; ii ) rimarcò che « Il Primo Giudice ha enunciato le ragioni della mancata ammissione dei mezzi di prova articolati dalle parti desumendosi dal complesso RAGIONE_SOCIALE ragioni svolte nella sentenza la ritenuta superfluità dell’espletamento della CTU richiesta da parte attrice, fondan dosi la decisione sulla risoluzione di una questione di diritto, ovverosia quella relativa alla valenza della declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. nel giudizio de quo , di accertamento negativo del credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società fallita »; iii ) osservò, infine, che « L’azione revocatoria non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del debitore, né alcun effetto direttamente traslativo nei confronti del creditore e, in caso di vittorioso esercizio, ha l’effetto tipico non già di travolgere l’atto pre giudizievole, ma solo di determinarne l’inefficacia nei confronti del creditore, per consentirgli di esercitare sul bene, che dell’atto aveva formato oggetto, l’eventuale successiva azione cautelare o esecutiva. Il risultato
dell’azione revocatoria, pertanto, va apprezzato in termini di inefficacia parziale e relativa: parziale, in quanto la revoca non impedisce l’acquisto del diritto in capo all’acquirente, ma più semplicemente evita che il bene alienato venga sottratto all’aggressione esecutiva dei creditori dell’alienante; relativa, poiché essa giova solamente al creditore o ai creditori che hanno esercitato l’azione, i quali verranno a beneficiare di una sorta di prelazione che li colloca in una posizione preferenziale risp etto agli altri chirografari dell’alienante. L’azione revocatoria ordinaria è priva di effetti recuperatori, dal momento che l’atto di disposizione revocato è pur sempre valido e conserva la propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo al l’acquirente. In conclusione, la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. resa nel giudizio R.G. n. 997/2018 risulta priva di qualunque effetto invalidatorio dell’atto di conferimento de quo , né comporta alcun effetto recuperatorio del bene conferito in capo alla società conferente RAGIONE_SOCIALE Alla luce di quanto sopra, la domanda riguardante l’accertamento dell’insussistenza del credito, che lo COGNOME lamenta non essere stata decisa, risulta assorbita dal rigetto della premessa che la parte pone a fondamento, ovvero l’asserita efficacia inval idante e /o recuperatoria dell’atto di conferimento di ramo di azienda per estensione dell’efficacia della sentenza revocatoria in favore di Banca Popolare della Puglia e della Basilicata. Per ogni altro aspetto la questione esula dalla cognizione del giudice ordinario; l’azione di accertamento negativo del credito fiscale derivante dal mancato pagamento di imposte e contributi, iscritti a ruolo a carico della società conferitaria, risulta semmai proponibile innanzi al giudice tributario, avente giurisdizione esclusiva in materia ».
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME, già liquidatore e legale rappresentante della fallita RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), ha proposto ricorso affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, mentre è rimasto solo intimato il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione).
In data 1/2 aprile 2025, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 9 maggio 2025, lo COGNOME, nella indicata qualità, ha chiesto la decisione del suo ricorso, successivamente depositando anche memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 281sexies c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c.» . Si lamenta nuovamente (come già avvenuto in sede di gravame) l’avvenuta violazione, ad opera del tribunale, della forma procedimentale imposta dall’art. 281 -sexies cod. proc. civ., con conseguente vulnus del diritto di difesa della parte attrice/appellante, in quanto « La possibilità di chiedere una separata udienza per la discussione, , trova ragione nel permettere alle parti di predisporre un’ultima replica alle altrui difese »;
II) « Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per violazione del principio di contraddittorio nonché del diritto di difesa e del principio di disponibilità dei mezzi di prova – difetto di motivazione dell’ordinanz a istruttoria del 22.12.2020 -violazioni evidenziate in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ». Si reitera la censura -parimenti già sollevata in appello -di insussistenza di motivazione (ovvero di motivazione solo apparente) nel diniego giudiziale opposto alla istanza, presentata dalla parte attrice, di disporre una consulenza tecnica d’ufficio necessaria per dimostrare la perfetta corrispondenza fra le pretese creditorie vantate dall’Ente esattore nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e le passività confluite nella allora società RAGIONE_SOCIALE;
III) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato -violazione e falsa applicazione degli artt. 2740, 2901 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si deduce che « Il Giudice del Tribunale di Pesaro, con premessa che inficia l’intero iter logico seguito per la stesura dell’impugnato
provvedimento, ha equivocato sui contenuti della domanda attorea assumendo, quindi, una decisione che, violando l’ineludibile principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato lo ha portato, da un lato, ad affrontare temi estranei alle richieste RAGIONE_SOCIALE parti e, dall’altro, a mal interpretare quelle norme che, invece, avrebbe dovuto applicare correttamente . . ».
Va rilevato, in primis , che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. I primi due motivi di ricorso sono scrutinabili congiuntamente perché caratterizzati dalla medesima ragione di manifesta inammissibilità.
1.1. Entrambi, infatti, sono rivolti palesemente contro la decisione di primo grado per asseriti suoi vizi (la prima doglianza lamenta una pretesa violazione dell’ iter procedimentale di cui all’art. 281 -sexies cod. proc. civ., come praticato dal tribunale; la seconda, addirittura, si rivolge contro un’ordinanza istruttoria di quest’ultimo), mostrando di non considerare minimamente che l’art. 161, comma 1, cod. proc. civ. chiarisce che le eventuali nullità della sentenza di primo grado si convertono in motivi di impugnazione della stessa e che il ricorso per cassazione deve essere rivolto contro la sentenza di secondo grado.
Nessuna RAGIONE_SOCIALE censure, inoltre, si confronta con le argomentazioni della decisione della corte dorica sui corrispondenti punti, rivelandosi, pertanto, carenti del requisito di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 (cfr. pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 (cfr. pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 (cfr. pag. 7-8 della motivazione), da Cass. n. 26871 del 2024 (cfr. pag. 11-12 della motivazione), da Cass. n. 35012 del 2024 (cfr. pag. 9-10 della motivazione) e da Cass. n. 3284 del 2025 (cfr. pag. 13.15 della motivazione), «l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto
precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo ” decisum ” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 65091901)».
Manifestamente insuscettibile di accoglimento si rivela, poi, il terzo motivo di ricorso.
2.1. Esso, infatti, ove pure lo si voglia intendere come diretto contro la decisione di appello (invece, che, come sostanzialmente lascia trasparire il tenore letterale della doglianza, contro quella del tribunale, in tal caso incorrendo nelle medesime ragioni di inammissibilità già spiegate per i precedenti motivi), mostra di non considerare che, come affatto correttamente rimarcato dalla corte distrettuale, «l’azione revocatoria non
determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del debitore, né alcun effetto direttamente traslativo nei confronti del creditore e, in caso di vittorioso esercizio, ha l’effetto tipico non già di travolgere l’atto pregiudizievole, ma solo di determinarne l’inefficacia nei confronti del creditore, per consentirgli di esercitare sul bene, che dell’atto aveva formato oggetto, l’eventuale successiva azione cautelare o esecutiva». Il risultato di detta azione, dunque, va apprezzato in termini di inefficacia parziale e relativa: «parziale, in quanto la revoca non impedisce l’acquisto del diritto in capo all’acquirente, ma più semplicemente evita che il bene alienato venga sottratto all’aggressione esecutiva dei creditori dell’alienante; relativa, poi ché essa giova solamente al creditore o ai creditori che hanno esercitato l’azione, i quali verranno a beneficiare di una sorta di prelazione che li colloca in una posizione preferenziale rispetto agli altri chirografari dell’alienante». Essa, in definitiv a, è priva di effetti recuperatori, dal momento che l’atto di disposizione revocato è pur sempre valido e conserva la propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all’acquirente. Ne deriva, quindi, che la già pronunciata declaratoria di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. resa nel giudizio n.r.g. n. 997/2018 (tra parti diverse da quelle oggi in causa) risulta priva di qualunque effetto invalidante dell’atto di conferimento de quo, né comporta alcun effetto recuperatorio del bene conferito in capo alla società conferente RAGIONE_SOCIALE ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, in quanto conformi anche alla successiva giurisprudenza di questa Corte pronunciatasi sui medesimi profili sostanziali e processuali rimarcati nella descritta proposta.
Né, in contrario, persuadono gli assunti del ricorrente rinvenibili nella sua memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 27 ottobre 2025.
Invero, la semplice lettura del primo motivo di ricorso evidenzia come lo stesso sia interamente diretto a censurare il modello decisorio ex art. 281sexies cod. proc. civ. come concretamente applicato dal tribunale (del resto, come emerge dalla pag. 4 della sentenza qui impugnata, la corte di appello ha proceduto, invece, secondo il diverso modello decisorio di cui all’art. 352,
comma 1, cod. proc. civ. nel testo, applicabile ratione temporis , anteriore alla riforma apportatagli dal d.lgs. n. 149 del 202). Né alcuna specifica censura viene ivi prospettata con riguardo alle puntuali argomentazioni con cui quella corte ebbe a disattendere il corrispondente primo motivo di gravame dello COGNOME.
Quanto, poi, al secondo motivo di questo ricorso, esso investe l’ordinanza istruttoria pronunciata dal tribunale in data 21 dicembre 2020 (ritenuta viziata ‘ per difetto di motivazione, per violazione del principio del contraddittorio, per violazione del diritto di difesa e per violazione del principio di disponibilità dei mezzi di prova ‘. Cfr . pag. 9). Solo gli ultimi tre righi della complessiva doglianza sviluppata da pag. 9 a pag. 11 del ricorso stesso recano l’affermazione che « Tuttavia, su tale domanda il Tribunale di Pesaro ometteva di pronunciarsi e la Corte di appello si appiattiva in tale condotta omissiva, ed anche per tale ragione (sotto altro ed autonomo profilo) la sentenza impugnata dovrà andare cassata ». Nessuna specifica censura, dunque, è sviluppata contro le argomentazioni con cui la corte dorica ebbe a disattendere il secondo motivo di appello ivi svolto dallo COGNOME, di tenore assolutamente analogo a quello odierno.
Con riferimento, infine, al terzo motivo di questo ricorso, nella suddetta memoria si legge soltanto ( cfr . pag. 4) che « va ribadita la fondatezza degli assunti in esso propugnati e sottolineato come le argomentazioni sottese alla proposta di definizione anticipata non colgano nel segno laddove, pure evidenziandosi correttamente che l’azione revocatoria non travolge l’atto p regiudizievole ma ne determina l’inefficacia nei confronti del solo creditore che ne ha assunto l’iniziativa, non tiene conto della specifica natura dell’atto revocato, che si sostanziava in un conferimento di azienda, con tutte le problematiche ad esso connesse. Ciò comporta che le conclusioni cui è giunta la Corte di Appello -peraltro appiattendosi all’interpretazione del Tribunale -non possono condividersi poiché, nel caso di specie, l’atto revocato non era solamente traslativo di un bene immobile, ma trasferiva, invece, l’intero ramo di azienda: di talché esso comprendeva, oltre agli immobili, anche debiti e crediti che mai avrebbero potuto ave re una collocazione ‘variabile’ nel
patrimonio della Società debitrice, a seconda che a valutarlo fossero stati i creditori di quest’ultima ovvero quelli del soggetto nei cui confronti avrebbe operato la retrocessione prevista dalla sentenza ». Assunto, questo, chiaramente inidoneo a smentire la conclusione, affatto corretta, rinvenibile nella menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. laddove ha rimarcato che l’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ. « è priva di effetti recuperatori, dal momento che l’atto di disposizione revocato è pur sempre valido e conserva la propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all’acquirente. Ne deriva, quindi, che la già pronunciata declaratoria di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. resa nel giudizio n.r.g. n. 997/2018 (tra parti diverse da quelle oggi in causa) risulta priva di qualunque effetto invalidante dell’atto di conferimento de quo , né comporta alcun effetto recuperatorio del bene conferito in capo alla società conferente RAGIONE_SOCIALE ».
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME, già liquidatore e legale rappresentante della fallita RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346
e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), il ricorrente suddetto va condannato, nei confronti della costituitasi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 3.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME, già liquidatore e legale rappresentante della fallita RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), e lo condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Condanna il medesimo ricorrente al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della costituitasi controricorrente e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dello COGNOME, nella indicata qualità, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME