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Azione revocatoria e prova della scientia damni

Una società costruttrice, prima di essere dichiarata fallita, vende due appartamenti al suo ex socio di maggioranza. La curatela fallimentare agisce con azione revocatoria sostenendo che la vendita ha danneggiato i creditori. La Corte di Cassazione conferma la revoca della vendita, ritenendo provata la consapevolezza del danno (scientia damni) da parte dell’acquirente. La prova è stata desunta da una serie di indizi, tra cui il suo precedente ruolo in società, il prezzo di vendita inferiore al valore di mercato e il momento critico in cui è avvenuta la stipula.

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Azione Revocatoria: La Cassazione sulla Prova della Scientia Damni

L’azione revocatoria è uno strumento cruciale a tutela dei creditori, specialmente nel contesto di una crisi d’impresa che porta al fallimento. Permette di rendere inefficaci atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore prima della dichiarazione di fallimento, qualora questi atti abbiano danneggiato le ragioni della massa creditoria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione si è soffermata su un aspetto chiave di tale azione: la prova della scientia damni, ovvero la consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato ai creditori. La Corte ha chiarito come tale consapevolezza possa essere provata attraverso una serie di indizi.

I Fatti di Causa: La Vendita Sospetta

Il caso trae origine dalla vendita di due appartamenti da parte di una società di costruzioni, avvenuta nel 2010. L’acquirente era un soggetto che, fino al 2005, era stato il socio di maggioranza della società stessa, detenendone il 99% delle quote. Anni dopo la vendita, nel 2013, la società veniva dichiarata fallita.

La curatela fallimentare, ravvisando un danno per i creditori, avviava un’azione revocatoria contro l’ex socio. Secondo il curatore, la vendita era avvenuta a un prezzo dichiarato di trecentomila euro, di cui non vi era traccia del pagamento, e comunque sensibilmente inferiore al valore di mercato. Inoltre, al momento della cessione, la società versava già in una grave crisi finanziaria, con un’esposizione debitoria di circa quattro milioni di euro. Questi elementi, uniti al legame pregresso tra l’acquirente e la società, facevano presumere la sua piena consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato ai creditori.

La Decisione della Corte: la prova presuntiva nell’azione revocatoria

Dopo una prima pronuncia di inammissibilità, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, accogliendo la domanda revocatoria. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione a seguito del ricorso dell’acquirente.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza d’appello e, di conseguenza, la revoca della vendita immobiliare. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondate tutte le censure del ricorrente, sia quelle di natura procedurale sia quelle relative al merito della vicenda, concentrandosi in particolare sulla valutazione della prova della scientia damni.

Le Motivazioni della Sentenza: Gli Indizi che Contano

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi degli elementi presuntivi che, nel loro complesso, hanno consentito di affermare la sussistenza della scientia damni in capo all’acquirente. La Corte ha ribadito che il giudice di merito può fondare il proprio convincimento su indizi, purché questi siano gravi, precisi e concordanti.

Nel caso specifico, gli elementi valorizzati sono stati:

1. La qualità di ex socio: Il fatto che l’acquirente fosse stato socio al 99% della società venditrice fino a pochi anni prima della vendita è stato considerato un indizio grave della sua potenziale conoscenza della situazione finanziaria dell’azienda.
2. Il prezzo di vendita: La Corte d’Appello aveva già accertato che il prezzo pattuito era sensibilmente inferiore al valore di mercato degli immobili. Questo elemento è un classico sintomo di operazioni anomale volte a sottrarre beni alla garanzia dei creditori.
3. La tempistica dell’atto: Il contratto definitivo di vendita era stato stipulato a distanza di cinque anni da un preliminare, proprio nel momento di massima crisi economica della società. Secondo la Corte, l’acquirente avrebbe potuto e dovuto agevolmente accertarsi delle difficoltà finanziarie della venditrice.

La Cassazione ha chiarito che la valutazione di questi elementi spetta al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logicamente coerente e non apparente. In questo caso, la concatenazione degli eventi e la posizione dell’acquirente costituivano un quadro probatorio sufficiente a fondare la decisione di revoca, senza la necessità di provare un accordo fraudolento specifico (consilium fraudis).

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. Conferma che, nell’ambito di una azione revocatoria, la prova della consapevolezza del terzo acquirente del danno ai creditori può essere raggiunta anche per via presuntiva. Non è sempre necessario fornire una prova diretta e documentale di tale consapevolezza.

Chi acquista beni da un’impresa, specialmente se in condizioni economiche precarie, deve prestare la massima attenzione. Elementi come un prezzo notevolmente vantaggioso o un legame pregresso con la società venditrice possono diventare, in caso di successivo fallimento, indizi pesanti a sostegno di un’azione revocatoria. La decisione sottolinea quindi l’importanza di una due diligence approfondita non solo sull’immobile, ma anche sulla salute finanziaria del venditore, per evitare di vedere il proprio acquisto reso inefficace a tutela dei creditori.

Come si prova la consapevolezza del compratore del danno ai creditori (scientia damni) in un’azione revocatoria?
La Corte di Cassazione ha stabilito che la prova può essere fornita anche attraverso presunzioni e indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, sono stati ritenuti decisivi il ruolo di ex socio di maggioranza del compratore, il prezzo di vendita sensibilmente inferiore a quello di mercato e il lungo tempo trascorso tra il contratto preliminare e quello definitivo, stipulato in un momento di acuta crisi della società venditrice.

Un atto di vendita compiuto prima della dichiarazione di fallimento può essere annullato?
Sì, attraverso l’azione revocatoria. Se un atto di disposizione patrimoniale, come una vendita, viene compiuto prima del fallimento e danneggia i creditori (eventus damni), e se il terzo acquirente era consapevole di tale danno (scientia damni), il curatore fallimentare può chiederne la revoca, rendendolo inefficace nei confronti della massa dei creditori.

La competenza a decidere sull’azione revocatoria fallimentare spetta a un tribunale speciale?
No. La sentenza chiarisce che il “tribunale fallimentare” è semplicemente il tribunale ordinario che ha dichiarato il fallimento. L’attribuzione della causa a una sezione specifica dello stesso tribunale è una questione di organizzazione interna e non influisce sulla competenza, che rimane del tribunale ordinario del luogo dove ha sede l’impresa fallita, secondo l’art. 24 della legge fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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