Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26129 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26129 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2339/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7523/2016, depositata il 09/12/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
-Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dichiarato nel 2013, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Roma NOME COGNOME esponendo: che il 13.10.2005 NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano acquistato dal COGNOME il 99% delle quote della RAGIONE_SOCIALE; che con atto del 25.01.2010 la predetta società (di cui COGNOME era diventato legale rappresentante) aveva venduto all’ex socio COGNOME due appartamenti al prezzo di trecentomila euro, dichiarato già versato, ma del cui pagamento non v’era traccia; che al tempo della cessione la società si trovava in una situazione di crisi finanziaria, con un’esposizione debitoria di circa quattro milioni di euro. Chiese quindi la revoca della compravendita ai sensi degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c., posto che, all’epoca, l’attivo societario era del tutto insufficiente a far fronte al passivo e l’atto di trasferimento aveva pregiudicato le ragioni dei creditori, tanto più che il prezzo pattuito era comunque inferiore al valore di mercato degli immobili e il terzo acquirente COGNOME, quale ex socio di maggioranza della società, era in contatto con gli acquirenti delle sue quote, sicché poteva presumersi la sua conoscenza effettiva del pregiudizio agli altri creditori. Chiese anche la condanna alla restituzione dei beni e dei frutti.
1.1 -Il tribunale dichiarò inammissibile l’azione revocatoria, per violazione della competenza funzionale esclusiva e inderogabile del tribunale fallimentare e perché proposta secondo un rito diverso da quello prescritto; dichiarò inoltre l’azione restitutoria incompatibile con le finalità dell’azione revocatoria.
1.2 -Il RAGIONE_SOCIALE propose appello, facendo presente che il tribunale ordinario di Roma coincideva con il tribunale fallimentare e osservando che non aveva mai chiesto la restituzione degli immobili, ma si era limitato a chiedere la restituzione dei frutti.
1.3 -Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma: i) ha accolto il motivo relativo alla dichiarazione di inammissibilità della domanda, rilevando che si trattava semplicemente di una diversa distribuzione degli affari all’interno di sezioni dello stesso tribunale, comunque competente; ii) in riforma della sentenza di primo grado ha accolto la domanda revocatoria,
ritenendo provati sia l’ eventus damni , emergente anche dal prezzo pattuito in contratto, sensibilmente inferiore al valore di mercato (alla luce di apposita perizia di stima), sia la scientia damni in capo a ll’amministratore e al terzo acquirente (ex-socio); iii) ha dato atto della tesi dell’appellato per cui si era trattato in realtà di una permuta tra il terreno di sua proprietà e gli appartamenti che sarebbero stati poi costruiti sul terreno -ma ha ritenuto di non poterla esaminare a causa della mancata produzione del fascicolo di primo grado, contenente i documenti cui faceva riferimento; iv) ha escluso la necessità di valutare l’esistenza del consilium o partecipatio fraudis , trattandosi di atto anteriore all’insorgere dei crediti, come risultanti dal bilancio del 2009, mentre ha ritenuto esistente la scientia damni in capo al terzo, sia perché già socio di maggioranza al 99% della società fino al 13.10.2005, sia perché il prezzo era inferiore a quello di mercato, sia perché l’atto definitivo fu stipulato a distanza di cinque anni dal preliminare, nel momento di massima crisi economica della società, della quale il COGNOME avrebbe potuto agevolmente accertarsi; v) ha rigettato il motivo d’appello relativo alla domanda di restituzione di beni e frutti, ritenendola esulante dal perimetro dell’azione revocatoria anche con riguardo ai frutti chiesti in restituzione, peraltro non individuati.
-Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione in sei mezzi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
2.1. -Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullit à̀ della sentenza impugnata e dell’intero procedimento di secondo grado in forza degli artt. 83, 125, 182 e 350 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., poiché, se la corte d’appello avesse doverosamente verificato la regolare costituzione delle parti, ai sensi dell’art. 350, comma 2, c.p.c., avrebbe riscontrato il difetto di procura dell’appellato , il quale sarebbe stato perciò indotto a produrre il fascicolo di primo grado, che conteneva la procura alle liti valida anche per l’appello , e, per tale via, sarebbero stati acquisiti anche i documenti sui quali si fondava la diversa lettura dei fatti di causa.
2.2. -Il secondo mezzo, che denunzia la violazione degli artt. 66, comma 2, e 24 l.fall., aggredisce la riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda, in quanto proposta dinanzi al giudice ordinario e non al tribunale fallimentare, invece competente in forza della vis attractiva ex art. 24 l.fall. (per cui « Il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano qualunque ne sia il valore »), che configura una competenza funzionale esclusiva e inderogabile, prevalente su ogni altro criterio, a prescindere dalla coincidenza, nel caso di specie, del circondario del tribunale ordinario e di quello fallimentare, trattandosi di questione attinente al rito, e non alla competenza.
2.3. -Il terzo motivo lamenta l’ omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., con riguardo ai tre requisiti di eventus damni , consilium fraudis e partecipatio fraudis , sul rilievo che la corte d’appello, a nche in assenza del fascicolo di parte dell’appellato, avrebbe potuto decidere allo stato degli atti , poiché tutti gli elementi utili ai fini della decisione erano ampiamente descritti negli atti di parte; nello stesso atto di appello del RAGIONE_SOCIALE risultava più volte richiamata la scrittura privata del 30.09.2005, ove risultava attestato che il corrispettivo di compravendita degli immobili oggetto di causa veniva corrisposto a mezzo cessione in permuta, alla RAGIONE_SOCIALE, di un terreno edificabile; e sempre dagli atti di causa sarebbe risultato anche pacificamente versato il corrispettivo di € 300.000,00.
2.4. -Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in riferimento al requisito della scientia damni , nel senso che la motivazione, sul punto, sarebbe apparente ed obiettivamente incomprensibile. In particolare, la corte territoriale avrebbe erroneamente considerato come prova della scientia damni alcuni semplici indizi, come il fatto che il ricorrente era stato socio al 99% della società alienante, da cui aveva desunto la sua possibilità di conoscerne lo stato di insolvenza.
2.5. -Il quinto mezzo denunzia la «violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.1 n.5 », poiché, come dedotto nel terzo motivo, la c orte d’ appello non avrebbe valutato
adeguatamente le prove documentali e le circostanze dedotte dalle parti, e non avrebbe tenuto conto dei fatti non specificatamente contestati, quali: (i) la cessione dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE del terreno edificabile con sovrastante fabbricato da demolire, giusta scrittura privata del 30.09.2005; (ii) la stipula in data 27.10.2005 del contratto di compravendita del terreno e del preliminare di compravendita dei due immobili oggetto di giudizio; (iii) il prezzo di € 300.000,00 convenuto nel preliminare per la vendita dei due immobili al COGNOME.
2.6. -Con il sesto e ultimo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 , d.m. n. 55/14, in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente liquidato le spese legali applicando gli importi minimi per controversie di valore compreso tra 2 e 4 milioni di euro, valore non comprensibile, probabilmente desunto da un passaggio dell’atto di appello (pag. 11 s.: « Si rimarca, sul punto, che al momento dell’atto dispositivo de quo, la Società poi fallita era già fortemente esposta verso i creditori sociali, i debiti complessivi di quest’ultima, come sopra accennato, ammontano già ad € 3.860.725,00 complessivi, essenzialmente suddivisi fra debiti verso banche per € 1.654.500,00 verso fornitori per € 403.614,00 oltre debiti tributari per € 83.617,00 e verso altri finanziatori per € 229.604,002 »), ma certamente non coincidente con il valore della massa fallimentare a tutela della quale si agiva, bensì con la valorizzazione di una serie di immobili, tra i quali quelli oggetto del giudizio, che però, in quanto sub judice , non avrebbero potuto computarsi come già acquisiti al patrimonio fallimentare.
-Tutti i motivi presentano profili di inammissibilità o di infondatezza.
3.1. -Il primo è inammissibile poiché formulato in termini meramente ipotetici (ancora in memoria il ricorrente ribadisce che « laddove la Corte d’Appello avesse rilevato la carenza della procura e concesso un termine per il deposito, probabilmente l’esito del giudizio avrebbe potuto essere differente poiché l’appellato avrebbe prodotto l’intero fascicolo di parte di primo grado con esiti, si ripete, verosimilmente diversi ») e in contrasto col divieto di ‘ venire
contra factum proprium ‘ , sotteso al principio sancito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., per cui la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi abbia dato causa (cfr. ex multis Cass. 2120/2020).
Non può quindi dolersi il ricorrente, in questa sede, del mancato rilievo del proprio difetto di procura da parte della co rte d’ appello, in assenza di eccezioni circa la regolare rappresentanza processuale della parte appellata (che peraltro solo l’appellante avrebbe avuto interesse a sollevare, ex art. 100 c.p.c.); né trova riscontro la lamentata nullit à̀ della sentenza o del procedimento, dal momento che il contraddittorio in appello è stato comunque instaurato e che lo stesso ricorrente ha attestato come la procura fosse stata rilasciata sia per il primo grado che per l’appello .
3.2. -Il secondo mezzo è palesemente infondato, poiché il “tribunale fallimentare” è semplicemente il tribunale che ha dichiarato il fallimento, e non un ufficio giudiziario diverso dal “tribunale ordinario”, mentre l’eventuale distinzione in sezioni all’interno d el medesimo ufficio giudiziario rileva solo sul piano del l’organizzazione interna e non anche ai fini della competenza sulle cause che derivano dal fallimento , ai sensi dell’art. 24 l.fall.
La vis attractiva di cui all’ art. 52 l.fall. riguarda invece solo le domande di partecipazione al concorso fallimentare, non anche le pretese azionate dalla curatela fallimentare, soggette alle ordinarie regole di competenza (cfr. ex multis Cass. 2439/2006, 10414/2005).
3.3. -Le censure veicolate dal terzo mezzo difettano di specificità e di conformità ai canoni del novellato art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., che onera il ricorrente di indicare, nel rispetto degli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), c.p.c., il “fatto storico” -inteso come circostanze storico-naturalistiche, e non già argomentazioni o deduzioni difensive ( ex multis , Cass. Sez. U, 16303/2018; Cass. 10525/2022, 2268/2022) -il cui esame sia stato omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis , Cass. 27415/2018, 3110/2022).
Ove poi il “fatto” di cui si lamenta l’omesso esame si identifichi in un documento, la denuncia di tale vizio è ammissibile solo quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare -con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità -l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento, sicché «la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa» (Cass. 19150/2016, 16812/2018; cfr. Cass. 15733/2022).
Nel caso in esame, la doglianza si risolve invece nella pedissequa trascrizione delle difese svolte nei precedenti gradi di giudizio e nell’assunto -discutibile e peraltro distonico rispetto al mezzo prescelto -che i ‘fatti’ veicolati dai documenti non esaminati dalla corte territoriale (in quanto contenuti nel fascicolo di parte non prodotto dall’appellato) sarebbero pacifici, quando essi non paiono tali (se non altro per la contestata opponibilità al fallimento, in mancanza di data certa anteriore, della scrittura privata del 30.09.2005, peraltro sottoscritta dal RAGIONE_SOCIALE e non dalla società); tantomeno può pretendersi di ribaltare in questa sede l’esame documentale risultato impossibile ai giudici di secondo grado, che pure lo hanno ritenuto necessario secondo il loro prudente apprezzamento, mentre il riferimento alle «prove per testi richieste dall’appellato del tutto ignorate» non può essere preso in considerazione a causa della sua estrema genericità.
Con riguardo poi al consilium fraudis e alla partecipatio fraudis non sembra nemmeno colta la ratio decidendi della corte territoriale, la quale ha accertato, nel merito, la sussistenza dell’ eventus damni e della scientia damni , ed ha invece escluso espressamente la necessità di fornire la prova dei suddetti requisiti.
3.4. -L’infondatezza del quarto mezzo deriva dal fatto che la motivazione della sentenza impugnata non risulta al di sotto del cd. ‘minimo costituzionale’ cui è circoscritto il sindacato di legittimità (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. 9017/2018, 26199/2021, 33961/2022, 956/2023, 4784/2023).
Questa Corte ha escluso che, ai fini della nullità della motivazione, possano venire in rilievo la correttezza della soluzione adottata o la sufficienza delle argomentazioni offerte -come è invece nella censura in esame -osservando che ricorre il vizio di motivazione apparente solo quando le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi (Cass. 4784/2023, 33961/2022, 27501/2022, 395/2021, 26893/2020, 22598/2018, 23940/2017).
Ha inoltre chiarito che la conformità della sentenza al modello dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. non richiede che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che il giudice abbia indicato -come nel caso di specie -le ragioni del proprio convincimento, in modo da rendere evidente che quelle logicamente incompatibili sono state implicitamente rigettate (Cass. 956/2023, 29860/2022, 3126/2021, 25509/2014, 5586/2011, 17145/2006, 12121/2004, 1374/2002, 13359/1999).
In effetti, con il mezzo in esame viene contestata la valutazione della prova presuntiva da parte dei giudici di appello, sotto il profilo dell’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti della scientia damni (ravvisati nella concatenazione temporale degli eventi, nella posizione rivestita dal COGNOME e nell’entità del prezzo ).
E’ noto, però, che il ricorrente per cassazione non può pretendere di contrapporre le proprie valutazioni -quand’anche esse apparissero più appaganti, sotto il profilo del coordinamento delle acquisizioni istruttorie -a quelle espresse dal giudice di merito, per ottenere la revisione degli accertamenti compiuti, o una diversa lettura delle risultanze processuali (Cass. 3630/2017, 9097/2017, 30516/2018, 205/2022), poiché non è compito di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove esposte nella decisione impugnata (Cass. 12052/2007, 3267/2008) e, ove si ammettesse un sindacato di legittimità sulle quaestiones facti , si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere e le risultanze istruttorie, il cui vaglio è però
affidato al giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
3.5. -Il quinto mezzo è inammissibile poiché ripropone sotto altra veste le censure già disattese nel terzo; difatti, nel denunziare la «violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.» il ricorrente contesta ancora una volta la valutazione del materiale istruttorio da parte dei giudici di merito, come detto non sindacabile in questa sede.
Va allora rammentato che ricorre la violazione dell’art. 115 c.p.c. solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9351/2022, 20553/2021, 22397/2019).
Parimenti, la violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, o il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad es. valore di prova legale), oppure, ove la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento. Quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione individuati da Cass. Sez. U, 8053/2014 (Cass. Sez. U, 20867/2020, 34474/2019; Cass. 14703/2024, 2001/2023, 34459/2022, 20553/2021), che come detto non ricorrono nel provvedimento impugnato.
In ultima analisi risulta evidente che, sotto l’apparente deduzione di errores in iudicando o in procedendo e di censure motivazionali, il ricorso mira a valutazioni di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019).
3.6. -Il sesto e ultimo mezzo presenta profili di inammissibilità e infondatezza, poiché non coglie la ratio decidendi del capo sulle spese, laddove la Corte d’appello ha correttamente individuato il valore della controversia «in relazione all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta », e dunque con riferimento al passivo, non già all’attivo fallimentare, come supposto dal ricorrente. Secondo questa Corte, infatti, «il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall’attore, a tutela del quale viene proposta l’azione revocatoria stessa» (Cass. 3697/2020, 10089/2014).
-Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02 (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
C ondanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13/06/2024.