Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10527 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15939/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa, nella sua qualità di procuratore, RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 456/2022, depositata il 22/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 548/2018, dichiarava inefficaci nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, creditrice (in forza del decreto ingiuntivo n. 120/96) della RAGIONE_SOCIALE di cui i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME si erano costituiti fideiussori, l’atto con cui i suddetti coniugi avevano costituito un fondo patrimoniale.
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 456/2022 resa pubblica in data 22/03/2022, ha confermato la decisione del tribunale, rigettando il gravame proposto dai coniugi COGNOME
Segnatamente, il giudice a quo ha ritenuto che, essendo passato in giudicato nei confronti degli odierni ricorrenti il decreto ingiuntivo sulla scorta del quale la banca creditrice aveva agito, fosse da ritenere provata la sussistenza del loro debito e con ciò superate le altre eccezioni relative alla nullità delle fideiussioni; ha inoltre accertato la sussistenza dell’ eventus damni , perché i coniugi COGNOME non avevano provato di poter contare, al fine di soddisfare le ragioni creditorie, su un patrimonio residuo sufficiente e idoneo, e altresì della scientia damni e del consilium fraudis , essendo presumibile che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, successivo al sorgere del credito, fosse stato posto in essere con la consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie.
I coniugi COGNOME ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi.
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo, rubricato <>, i ricorrenti sostengono che la corte d’appello, là dove ha ritenuto, richiamando Cass. n. 412/2020, non necessaria la <>, sia incorsa nella falsa applicazione della pronuncia di legittimità n. 4212/2020, data <>, e invocano l’applicazione del principio di diritto, secondo il quale <>.
Aggiungono che il giudice a quo , ritenendo destituiti di fondamento i motivi secondo e terzo, perché <>, ha erroneamente ritenuto sussistente detto giudicato, perché il Tribunale di Foggia (sent. n. 1120/2006) e la Corte d’appello di Bari (sent. n. 580/2014) avevano accertato che il credito della banca ammontava a lire 1.394.867 (euro 720.000,00) al netto degli interessi, che a detta somma andava aggiunto l’importo di lire 41.650.000, pagato dalla società RAGIONE_SOCIALE, debitore ceduto, dopo la notifica del decreto ingiuntivo e che pertanto la banca non aveva alcun credito nei confronti della debitrice principale e, per l’effetto, alcun credito nei confronti dei suoi fideiussori.
Sebbene il decreto ingiuntivo fosse stato confermato nei loro confronti, essendo stata la loro opposizione dichiarata tardiva, la corte d’appello avrebbe dovuto attribuire rilievo all’intervenuta
estinzione del credito della banca, accertata con efficacia di giudicato: giudicato che, in conformità con la pronuncia delle Sezioni unite n. 5633/2022, avrebbe dovuto riferirsi non alla sentenza, ma all’accertamento in esso contenuto.
Con un altro ordine di censure sostengono che la corte territoriale sia incorsa nella violazione anche dell’art. 1941 cod.civ., a mente del quale il garante non può essere tenuto a pagare somme superiori a quelle effettivamente dovute dal debitore principale. Nella specie, la banca aveva confermato il giudicato sull’inesistenza del credito verso la RAGIONE_SOCIALE, siccome aveva sostenuto di aver ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE, due mesi dopo l’ottenimento del decreto ingiuntivo, un versamento di circa euro 21.500,00, utilizzato in deconto del debito della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte chiarito che nel giudizio di legittimità il giudicato esterno (il quale è rilevabile d’ufficio) può far stato nel processo solamente laddove vi sia certezza in ordine alla relativa formazione, imprescindibile essendo pertanto che colui il quale ne invoca l’autorità ( v. Cass., 19/9/2013, n. 21469; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., Sez. Un., 16/6/2006, n. 13916 ) fornisca la prova al riguardo, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., in ordine all’intervenuto relativo passaggio in giudicato ( v. Cass., Sez. Un., 2/3/2017, n. 5302; Cass., Sez. Un., 14/3/2016, n. 4909; Cass., 14/7/2015, n. 14646; Cass., 3/4/2014, n. 7768; Cass., 19/9/2013, n. 21469).
Si è altresì posto in rilievo che la rilevabilità del giudicato esterno va coordinata con il principio di autosufficienza del ricorso; pertanto, il ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine
sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (v., da ultimo, Cass. 25/9/2024, n. 25700).
L’esposto principio non può non valere nel caso, inverso, ma corrispondente, in cui il ricorrente assuma l’insussistenza della preclusione da giudicato esterna, invece predicata dalla sentenza d’appello (Cass. 19/08/2020, n.17310).
Poiché il Collegio non è stato messo in condizione di conoscere il contenuto delle statuizioni asseritamente irrevocabili intervenute fra le parti non può vagliare la prospettata insussistenza della preclusione.
È necessario aggiungere che, ove si volesse assegnare automa rilevanza al dedotto vizio di omessa pronunzia, qui non si versa nell’ipotesi omissiva, in quanto la pretesa non è stata ignorata, bensì disattesa, ostandovi il precedente giudicato. La corte territoriale ha confermato l’esistenza del credito della banca, poiché il decreto ingiuntivo n. 120/1996 da essa ottenuto era passato in giudicato nei confronti degli odierni ricorrenti, avendo gli stessi fatto opposizione che la Corte d’appello di Bari con la sentenza n. 580/2014, non impugnata e, quindi, divenuta irrevocabile, aveva giudicato tardiva.
Ciò premesso, deve escludersi sia che la corte territoriale sia incorsa nel vizio di omessa pronuncia sia che faccia difetto la motivazione dell’impugnata sentenza: il giudice a quo è giunto alla sua conclusione, facendo specifico e concreto riferimento ai fatti di causa con un percorso conoscitivo e decisionale ben intellegibile, quindi, giusta o sbagliata che sia la motivazione c’è e supera il minimo costituzionale di cui all’art. 111 Cost.
Né è dato cogliere il rilievo degli altri riferimenti contenuti nel motivo qui scrutinato: a) all’anatocismo asseritamente praticato dalla banca, oggetto di accertamento giudiziale, che avrebbe dovuto imporre una rideterminazione del suo credito, al fine di escludere la violazione dell’art. 1941 cod.civ.; b) all’accettazione da
parte della banca del risultato peritale; c) al riconoscimento di aver ricevuto due mesi dopo l’ottenimento del decreto ingiuntivo un versamento di circa euro 21.500,00 e di dover restituire euro 20.000,00 al RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo, articolato in tre submotivi, i ricorrenti prospettano la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., in relazione: a) all’inesistenza del credito nei confronti dei cofideiussori; b) alla perdita delle azioni di regresso e/o di rivalsa per fatto della banca; c) alla nullità delle garanzie.
I ricorrenti innanzitutto lamentano l’omessa pronunzia sulle seguenti eccezioni formulate sin dal giudizio di primo grado: i) il credito della banca alla data di acquisizione delle garanzie era già scaduto – infatti le garanzie vennero acquisite per crediti già in rientro presso ‘l’ufficio recupero’, attraverso l’incasso di ricevute e tratte con cessione della provvista -; ii) le fideiussioni erano prive di data certa; iii) l’abusivo riempimento di foglio in bianco da parte della banca; iv) la fideiussione del 1995 era stata richiesta dalla banca in continuità e senza novazione ed a conferma di precedenti garanzie prestate negli anni 1985 e 1988 dalla sola COGNOME e nulle per contrasto con la l. n. 154/1992; v) il COGNOME, non avendo rilasciato garanzie nel 1985/1988, non avrebbe potuto confermare la garanzia prestata né avrebbe potuto riconoscere l’assenza di novazione nel rapporto.
Aggiungono che:
le garanzie del 1995 erano state prestate da più soggetti congiuntamente, e che l’opposizione al decreto ingiuntivo svolta dagli altri coobbligati in solido, avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti anche nei loro confronti;
le fideiussioni assunte avrebbero dovuto essere dichiarate nulle per violazione dell’art. 2, 2° comma, lett a), l. 287/90, in quanto riproducevano, alle lettere b), f) e g), lo schema ABI colpito dal provvedimento n. 55 del 2/05/2005 della Banca d’Italia
-essendo consumatori, la corte d’appello avrebbe dovuto applicare la decisione della Corte di Giustizia Europea resa in data 15/7/2021 nelle cause C-693/19 e C-831/19 nonché i principi fissati dalle Sezioni Unite con sentenze nn. 5633/2022 e 41994/2021.
Altra censura riguarda la statuizione con cui la corte d’appello ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’accertamento dell’ eventus damni , la circostanza che potessero contare su redditi cospicui, anche in considerazione del fatto che avevano acquistato altri beni immobili dopo il decreto ingiuntivo e che avevano chiesto di provarlo documentalmente.
Trattandosi di fideiussione prestata da più soggetti (consumatori) nella reciproca consapevolezza della esistenza dell’altrui garanzia e con l’intento di garantire congiuntamente il medesimo debito ed il medesimo debitore (RAGIONE_SOCIALE), i ricorrenti sostengono che, per effetto delle azioni che la banca potrebbe promuovere solo nei loro confronti, si troverebbero nell’impossibilità di recuperare quanto pagato, sia per l’intero sia pro quota , né dalla debitrice principale né dai cofideiussori, risultanti non più debitori per l’intervenuta e dichiarata estinzione del debito originario portato dal decreto ingiuntivo.
Richiamano la sentenza n. 1510/2013 resa dalla Corte di Appello di Bari nel giudizio di gravame avente ad oggetto l’azione revocatoria nei confronti degli altri cofideiussori solidali fondata sul medesimo presunto credito e titolo, non valutata dai giudici di primo e di secondo grado, che aveva rigettato la domanda, dopo aver affermato alla pagina 6 che <>.
Il motivo è, in parte, inammissibile, in parte, infondato.
L’inammissibilità è dovuta, innanzitutto, all’omesso confronto con le statuizioni della impugnata sentenza: quanto all’ eventus damni , la corte d’appello ha ritenuto tardiva la richiesta di provare documentalmente la cospicua consistenza del loro patrimonio; detta statuizione non è stata impugnata, ma solo ignorata; sulle eccezioni di nullità delle fideiussioni la corte territoriale si è pronunciata là dove ha ritenuto che, essendo passato in giudicato il decreto ingiuntivo nei loro confronti, il giudicato copriva anche dette eccezioni; anche detta statuizione non è stata impugnata.
Deve pertanto trovare applicazione il principio secondo cui con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632).
In secondo luogo, vi è una evidente violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., con riferimento alle sentenze del Tribunale di Foggia e della Corte d’appello di Bari che avrebbero rigettato la domanda revocatoria della banca nei confronti degli altri cofideiussori.
La censura relativa all’asserita lesione del diritto di regresso è, invece, infondata perché la mancata opposizione a decreto ingiuntivo non impedisce al condebitore, coobbligato in virtù di titolo esecutivo di formazione giudiziale passato in giudicato nei suoi confronti, di far valere con l’opposizione ex art. 615 cod.proc.civ. l’avvenuta integrale estinzione della pretesa creditoria
conseguente al pagamento eseguito da altro soggetto, ancorché prima che il provvedimento monitorio acquisisse carattere di definitività, perché il principio del giudicato ha la funzione di accertare definitivamente l’esistenza e l’ammontare del credito nei confronti di uno o più debitori, ma non quella di consentire al creditore di pretendere molteplici pagamenti da tutti i coobbligati una volta che il credito sia già stato soddisfatto. Il creditore ha diritto di pretendere il pagamento dell’intero suo credito, ma una sola volta e non può legittimamente pretendere di ricevere oltre quell’importo (Cass. 20/05/2024, n.13949; Cass. 14/10/2021, n. 28044). Pur essendo in possesso di un valido titolo esecutivo, egli dovrà astenersi dal continuare a pretendere il pagamento qualora il suo credito sia stato già integralmente soddisfatto.
Ne consegue che l’avvenuta formazione del giudicato, con ciò che ne deriva in termini di deducibilità di fatti estintivi del credito solo successivi ad esso in sede di opposizione all’esecuzione, non osta a che, qualora al debitore coobbligato in virtù di titolo esecutivo di formazione giudiziale passato in giudicato nei suoi confronti sia chiesto di provvedere al pagamento di un importo che il creditore ha già interamente percepito, egli possa dedurre, anche in sede di opposizione all’esecuzione, l’avvenuta integrale estinzione della pretesa creditoria. <> (Cass. 13949/2024, cit.).
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 7 marzo 2025 dalla