Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19593 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15916/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-ricorrente-
contro
COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO, domiciliazione telematica legale
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 249/2023 depositata il 05/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE creditore della società COGNOME per somme dovute a titolo di crediti d’imposta per un ammontare di € 3.631.158,99, chiedeva la revoca dell’atto di compravendita immobiliare con cui quest’ultima si era spogliata di beni immobili, alienati alla RAGIONE_SOCIALE rendendosi incapiente;
l’attore evidenziava la sovrapponibilità soggettiva delle due società, venditrice ed acquirente, costituite dalle stesse persone o comunque da appartenenti alla medesima famiglia COGNOME, sia negli organi di rappresentanza che nei soci partecipanti al capitale sociale;
si costituiva la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto della domanda attorea e spiegando domanda riconvenzionale al fine di ottenere, in caso di accoglimento della revocatoria, il pagamento della somma di € 225.000,00 pari all’importo corrisposto per l’atto revocato, oltre danni;
si costituiva anche la RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda perché carente dei presupposti;
il processo veniva interrotto per la dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE;
séguito della riassunzione effettuata da RAGIONE_SOCIALE, si costituiva RAGIONE_SOCIALE, mentre nessuno si costituiva per la RAGIONE_SOCIALE nonostante la notifica dell’atto di riassunzione effettuata nei confronti del Responsabile dell’Ufficio Fallimenti in Svizzera, delegato alla gestione della procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE che lì aveva trasferito la sede;
il Tribunale accoglieva la domanda attorea e respingeva quella riconvenzionale, osservando in particolare che:
le sentenze dichiarative di fallimento rese da autorità straniere non beneficiavano del riconoscimento automatico,
previsto in via generale dall’art. 64 della legge 31 maggio 1995, n. 218, con la conseguenza che non era efficace nell’ordinamento italiano la pronuncia in parola, del Tribunale di Zurigo;
risultava quindi preclusa ogni indagine sui profili d’improcedibilità della domanda dal punto di vista della legittimazione esclusiva del Curatore alla riassunzione, in ragione della permanenza del potere di agire in capo ad Equitalia Sud;
sull’Ufficio del Fallimento, figura corrispondente al Curatore fallimentare nell’ordinamento italiano, legittimato a resistere dopo il fallimento della società debitrice e la successiva riassunzione, gravava l’onere di adire le procedure interne per ottenere il riconoscimento nell’ordinamento italiano del provvedimento dichiarativo di fallimento, ed esercitare efficacemente il diritto di difesa della società fallita;
sussistevano tutti gli elementi costitutivi essenziali della fattispecie pauliana, tanto quelli soggettivi, quanto quelli oggettivi e in specie: i) il diritto di credito di natura tributaria dell’istante, rilevabile dagli estratti di ruolo, tutti conosciuti dal debitore; ii) la condizione di sostanziale incapienza del patrimonio del debitore; iii) lo stato soggettivo di consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori, provato dall’identità dei rappresentanti legali delle società parti dell’atto di compravendita e della sostanziale identità della compagine sociale formata da membri appartenenti alla medesima famiglia Tarricone;
doveva essere rigettata, infine, la domanda per il risarcimento del danno proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE perché priva di ogni allegazione probatoria circa gli elementi costitutivi del supposto illecito;
la Corte di appello rigettava il gravame osservando in particolare che:
il difetto d’interesse del creditore individuale a coltivare l’azione revocatoria sarebbe stato riconoscibile in ipotesi di effettivo
subentro degli organi fallimentari nella prosecuzione dell’azione e, quindi, solo nel caso in cui sui beni oggetto di revocatoria individuale avessero agito gli organi del fallimento, laddove l’interesse e la legittimazione ad agire del creditore individuale doveva invece ritenersi concreto ed attuale quando, come nel caso, l’amministrazione fallimentare avesse manifestato disinteresse a coltivare l’azione revocatoria;
i crediti tributari erano anteriori all’atto revocando, non rilevando la successiva attività di accertamento;
l’evento di danno era integrato anche solo dalla maggiore difficoltà nel recupero dei crediti;
il patrimonio residuo era risultato incapiente stante l’assenza di cespiti quale attestata dall’Agenzia del Territorio, posto che le allegazioni sul punto dalla debitrice, inerenti a macchinari e altri beni di proprietà, erano rimaste generiche quanto a individuazione e specifica del valore economico, sicché non poteva attribuirsi alcuna portata alla mancata contestazione avversaria, mentre non era utilizzabile, al riguardo, il bilancio prodotto tardivamente solo in appello;
la consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori sussisteva per le condivise motivazioni del giudice di prime cure;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE articolando quattro motivi, corredati da memoria;
resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione degli artt. 132, 360, n. 5, cod. proc. civ., 111, Cost., poiché la Corte di appello avrebbe immotivatamente obliterato che la deducente non aveva insistito sull’immediata efficacia della discussa sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata in Svizzera, bensì sulla perdita della capacità anche processuale della società RAGIONE_SOCIALE conseguente all’estinzione a sua volta correlata alla cancellazione
della stessa, che avrebbe dovuto imporre la dichiarazione d’improcedibilità del giudizio;
con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 132, 360, n. 5, cod. proc. civ., 111, Cost., poiché la Corte di appello avrebbe immotivatamente obliterato che la società RAGIONE_SOCIALE aveva potuto acquistare il cespite immobiliare dalla società Tarricone poiché a quest’ultima società il Consorzio aveva dapprima deliberato la vendita, sicché il passaggio nella titolarità della debitrice era stato solo formale e dipendente da iniziali scelte imprenditoriali altrui e diverse, senza che si potesse parlare di depauperamento della garanzia patrimoniale della successiva venditrice;
con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’inesistenza del depauperamento patrimoniale secondo quanto descritto nella precedente censura;
con il quarto motivo si prospetta e falsa applicazione dell’art. 115, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe mancato di considerare che l’allegazione di altri beni su cui poter soddisfare i crediti era stata effettuata rinviando ai bilanci, che la rendevano specifica, essendo quelli consultabili da chiunque, sicché la successiva mancanza di contestazione specifica da parte dell’agente per la riscossione avrebbe dovuto imporre conclusioni differenti anche sul punto della verifica di sussistenza dell’evento di danno.
Considerato che
il primo motivo di ricorso, quale formulato, è inammissibile;
la cancellazione della società (dedotta solo in comparsa conclusionale di seconde cure anche se indicata come documentata in sede di costituzione appello) da cui si chiede di far derivare l’estinzione del soggetto che, in tesi, avrebbe dovuto determinare non un’improcedibilità non prevista che si sarebbe tradotta in un
inammissibile non liquet , quanto, in tesi, un’ulteriore interruzione processuale -è allegata come dipendente dalla stessa procedura concorsuale nel momento della sua chiusura senza specificazione di esistenza di soggetti ritornati in bonis (pag. 16 del ricorso), dunque quale segmento conclusivo ed effetto di quella, per quanto si può comprendere, posto che non viene riportato il compiuto tenore del provvedimento, con un primo profilo d’inammissibilità per aspecificità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);
la ragione decisoria della Corte territoriale è stata poggiata, come visto, sull’inerzia degli organi fallimentari, legittimante la persistente iniziativa, anche nei confronti della società fallita, dell’iniziativa del singolo creditore nel caso pubblico;
la censura in scrutinio non si misura compiutamente, pertanto, con tale ratio decidendi , che presuppone la già intervenuta e riconosciuta perdita della capacità processuale della società COGNOME per l’apertura della procedura concorsuale, cui era conseguita interruzione e riassunzione nei confronti degli organi fallimentari ritenuti inerti, senza, quindi, che potessero avere più effetto, riguardo alla società, i provvedimenti pronunciati nell’ambito della procedura fallimentare medesima, neppure quello dell’allegata chiusura del fallimento nonostante la lite pendente, con correlata cancellazione dell’ente già fallito dal registro sociale;
nell’ordinamento italiano prima della novella legislativa del 2015 è stato ritenuto che alla chiusura del fallimento, in ipotesi di giudizio pendente, conseguisse la perdita della capacità processuale del Curatore con subentro dei soci ritornati in bonis , mentre, dopo la novella in parola, si è rimarcato che il Curatore conserva la legittimazione processuale anche dopo la chiusura della procedura concorsuale ciò nondimeno disposta, a mente dell’ipotesi di cui all’art. 118, ultimo comma, legge fall., «anche nei successivi stati e gradi del giudizio, fino alla definitiva conclusione della lite» (v., ad
esempio, rispettivamente, Cass., 12/10/2018, n. 25603, e Cass., 22/05/2019, n. 13921, pag. 9);
la censura nulla idoneamente dice in ordine a tali profili correlati alla società RAGIONE_SOCIALE che definisce «di diritto italiano avente sede legale a Zurigo» (pag. 4), e in particolare:
nulla specifica in ordine al contenuto e anche alla definitività del decreto di chiusura del fallimento cui la cancellazione dell’ente è stata, secondo quanto visto, prospettata come relativa;
nulla specifica in odine all’esistenza di soci tornati in bonis ;
deduce, come anticipato, una non pertinente improcedibilità della domanda;
non si misura con il tempo d’indicata documentazione della cancellazione dal Registro delle imprese svizzero -prospettata come rilevante ai sensi dell’art. 25, legge n. 218 del 1995, e dunque, per l’effetto e il momento in tesi ulteriormente interruttivo, ai sensi dell’art. 300, quarto comma, cod. proc. civ. -successiva all’entrata in vigore della novella del 2015 (art. 118, legge fall., e 23, comma 7, d.l. n. 83 del 2015, quale convertito), atteso che, attingendo alla sentenza di appello (pag. 4), quest’ultimo gravame è stato proposto nell’ottobre 2015;
neppure localizza come necessario la produzione in giudizio dell’estratto del suddetto Registro (Cass., 27/12/2019, n. 34469), se non con generico rimando agli atti del fascicolo di secondo grado;
il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
la Corte di appello, seppure implicitamente, ha semplicemente tenuto conto del fatto storico necessario al suo scrutinio, posto che il cespite era comunque stato acquisito dalla
società RAGIONE_SOCIALE, per poi essere rivenduto, con conseguente e ricostruito depauperamento patrimoniale rilevante ai fini pauliani;
il preteso omesso esame di altri fatti storici è poi precluso dalla doppia conforme di rigetto, secondo quanto previsto dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., in continuità con le prescrizioni già rinvenibili nell’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ.;
il quarto motivo è inammissibile;
la censura fa riferimento a bilanci che la Corte di appello ha dichiarato tardivamente prodotti, senza che, come logico, possa rilevare alcuna conoscibilità esterna a quella processuale;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 19.000,00, oltre a spese eventualmente prenotate a debito, in favore della controricorrente ADER.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16/5/2025