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Azione revocatoria e conferimento d’azienda in società

Un creditore ha utilizzato con successo l’azione revocatoria per rendere inefficace il trasferimento di un ramo d’azienda da parte di una società debitrice a un’altra entità di nuova costituzione, creata per pregiudicare le sue ragioni. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che il conferimento di beni in società è un atto dispositivo soggetto ad azione revocatoria. La Corte ha inoltre precisato che l’interpretazione della domanda giudiziale spetta al giudice di merito e ha respinto sia il ricorso principale delle società che quello incidentale del creditore relativo alle spese legali.

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Azione Revocatoria e Conferimento d’Azienda: la Tutela del Creditore

L’azione revocatoria rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dei creditori per proteggere le proprie ragioni contro gli atti fraudolenti dei debitori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come questo strumento possa essere utilizzato anche in complesse operazioni societarie, come il conferimento di un ramo d’azienda in una nuova società. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

Il Contesto: un Debito Rilevante e un Trasferimento di Attivi

La vicenda trae origine da un cospicuo credito, superiore a 570.000 euro, vantato da un soggetto nei confronti di una società a responsabilità limitata. Dopo la notifica dell’atto di precetto, che intimava il pagamento, la società debitrice ha posto in essere due operazioni strategiche: ha partecipato alla costituzione di una nuova società in accomandita semplice (S.a.S.), di cui deteneva il 98%, e ha contestualmente conferito in quest’ultima un ramo d’azienda significativo, comprensivo di crediti, macchinari e attrezzature.

Il creditore, ritenendo che tali operazioni avessero il solo scopo di svuotare il patrimonio della società debitrice e di pregiudicare il soddisfacimento del suo credito, ha avviato un’azione legale.

L’Azione Revocatoria e le Decisioni dei Giudici di Merito

Il creditore ha agito in giudizio chiedendo, tramite l’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 del codice civile, che l’atto di costituzione della nuova società e il conseguente conferimento del ramo d’azienda fossero dichiarati inefficaci nei suoi confronti. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno accolto la sua domanda.

I giudici hanno ritenuto che le operazioni fossero state realizzate con l’intento di ledere le ragioni creditorie. Le società hanno impugnato la decisione, sostenendo, tra le altre cose, che la domanda del creditore fosse diretta solo contro l’atto costitutivo della nuova S.a.S. (un atto non dispositivo e quindi non revocabile) e non contro l’atto di conferimento dei beni. La Corte d’Appello ha respinto questa tesi, interpretando la domanda del creditore come estesa a tutta l’operazione pregiudizievole.

La Decisione della Cassazione sull’Azione Revocatoria

La controversia è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha esaminato sia il ricorso principale delle società debitrici sia un ricorso incidentale del creditore relativo alla liquidazione delle spese legali.

L’interpretazione della domanda giudiziale

La Suprema Corte ha rigettato il motivo principale del ricorso delle società. Ha ribadito un principio fondamentale: l’interpretazione della domanda giudiziale è un compito che spetta al giudice del merito. Tale interpretazione può essere contestata in Cassazione solo se si dimostra una violazione delle norme sull’ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c. e segg.), onere che le società ricorrenti non hanno assolto. In sostanza, la Corte ha confermato che il giudice d’appello aveva correttamente interpretato la volontà del creditore di attaccare l’intera operazione dispositiva, ovvero il conferimento dei beni, e non solo il mero atto formale di costituzione della società.

La questione delle spese legali

Anche il ricorso incidentale del creditore è stato respinto. Egli lamentava la mancata liquidazione separata delle spese relative alla fase cautelare del giudizio. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente interpretato la sentenza di primo grado, considerando tali spese implicitamente incluse nella liquidazione complessiva, che era stata aumentata proprio per tener conto di quella fase. Il creditore avrebbe dovuto contestare specificamente l’interpretazione della sentenza fornita dal giudice d’appello, cosa che non ha fatto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su consolidati principi procedurali. In primo luogo, l’ambito del giudizio (thema decidendum) è definito dalla domanda dell’attore, ma la sua interpretazione è prerogativa del giudice di merito. Per censurare tale interpretazione in sede di legittimità, non è sufficiente lamentare un’errata valutazione, ma è necessario dimostrare la violazione di specifici criteri legali di interpretazione, fornendo tutti gli elementi necessari (come il testo integrale dell’atto di citazione). In secondo luogo, il conferimento di beni in società è a tutti gli effetti un atto dispositivo del patrimonio, che riduce la garanzia patrimoniale del debitore conferente e, come tale, è pienamente assoggettabile all’azione revocatoria se ne sussistono i presupposti, senza che la disciplina sulla nullità delle società (art. 2332 c.c.) possa essere di ostacolo.

Le Conclusioni

La decisione in esame riafferma la forza dell’azione revocatoria come strumento di tutela per i creditori di fronte a operazioni societarie complesse volte a sottrarre beni alla loro garanzia. La Corte chiarisce che ciò che conta è la sostanza dell’atto, ossia l’effetto dispositivo sul patrimonio, e non la sua forma giuridica. Per le imprese, ciò significa che la creazione di nuove strutture societarie per trasferirvi asset non è una strategia immune da rischi se pregiudica i diritti di terzi. Per i creditori, è una conferma della possibilità di vedere tutelate le proprie ragioni anche contro manovre societarie elusive.

È possibile utilizzare l’azione revocatoria contro il conferimento di un ramo d’azienda in una nuova società?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che il conferimento di beni in una società è un atto dispositivo del patrimonio del conferente. Se tale atto arreca pregiudizio alle ragioni di un creditore, può essere dichiarato inefficace nei suoi confronti tramite l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 del codice civile.

Cosa succede se un creditore chiede la revoca della costituzione di una società ma intende in realtà attaccare il conferimento di beni fatto a quella società?
L’interpretazione della domanda giudiziale spetta al giudice di merito. Come stabilito in questo caso, se dal contesto dell’atto di citazione emerge chiaramente che l’obiettivo del creditore è rendere inefficace l’atto dispositivo (il conferimento dei beni) e non solo l’atto formale di costituzione, il giudice può correttamente estendere la sua pronuncia all’intera operazione pregiudizievole senza incorrere nel vizio di ultrapetizione.

La mancata liquidazione separata delle spese di una fase cautelare è un motivo valido per un ricorso in Cassazione?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il giudice d’appello avesse legittimamente interpretato la decisione di primo grado, concludendo che le spese della fase cautelare erano state liquidate implicitamente attraverso un aumento forfettario delle spese complessive. Per contestare tale decisione in Cassazione, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare specificamente l’interpretazione della sentenza fornita dal giudice d’appello, pena l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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