Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21026 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21026 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 882/2024 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA RAGIONE_SOCIALE ARNALDO INDIRIZZO BRESCIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME PARERE NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 789/2023 depositata il 24/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–NOME COGNOME si è trovato ad essere debitore di Nuova Banca delle Marche, per scoperto di conto corrente.
La banca ha ottenuto un decreto ingiuntivo per 21.906,00 euro, nel 2012.
Già nel 2011 il COGNOME aveva costituito un fondo patrimoniale insieme alla moglie, ed aveva venduto alcuni suoi beni al fratello NOME
La banca ha dunque agito per la revocatoria di tali atti di disposizione davanti al Tribunale di Teramo, dove i convenuti si sono costituiti e dove il fratello acquirente ha eccepito di avere effettivamente versato il prezzo e di non essere stato a conoscenza della situazione debitoria del congiunto venditore.
Nel frattempo, la banca ha ceduto il credito a RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale ha accolto la revocatoria.
-Avverso tale decisone sono stati proposti due distinti appelli, uno dei due coniugi e l’altro dell’acquirente, poi riuniti.
Gli appellanti, oltre a ribadire le difese volte a contestare i presupposti della revocatoria, hanno altresì censurato la decisione di primo grado per avere ritenuto la legittimazione attiva di Purple, come si è detto subentrata nel credito, contestando sia la prova della cessione del credito, sia la stessa successione nell’azione.
La Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado.
-Propone ricorso per cassazione l’acquirente, NOME COGNOME con due motivi illustrati da memoria. Degli intimati si è costituita solo la RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
-Con il primo motivo si prospetta violazione sia dell’articolo 58 TUB che dell’articolo 111 cpc nonché degli articoli 75 e 345 cpc, che infine dell’articolo 2967 c.c.
Le censure sono plurime.
In primo luogo, il ricorrente contesta che vi fosse prova dell’avvenuta cessione del credito. La Corte di Appello aveva indotto che il credito era stata effettivamente ceduto sia dal provvedimento (di cessione in blocco) pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sia da alcuni provvedimenti della Banca d’Italia con i quali si precisava che in quella cessione in blocco era compreso il credito per cui è causa, sia infine da atti notarili che pure fornivano quella precisazione.
Secondo il ricorrente quei documenti, intanto, erano stati depositati tardivamente, in quanto essendo la questione della legittimazione attiva una questione costitutiva della domanda, la sua prova è soggetta alle normali preclusioni. Inoltre, non indicavano affatto che vi era stata cessione e soprattutto che vi era stata altresì successione nell’azione.
Il motivo è infondato.
Intanto, è corretta la ratio della decisione impugnata nella parte in cui ritiene non tardiva la documentazione prodotta, posto che la legittimazione attiva è, si, soggetta all’onere della prova, ma è verificabile d’ufficio e dunque in qualsiasi momento del giudizio.
Inoltre, il motivo è inammissibile nella parte in cui censura la valutazione delle prove documentali, ossia il loro significato
probatorio. Se pure posta nei termini di una violazione di legge o di un omesso esame, il ricorrente censura la valutazione che la Corte di Appello ha dato dei documenti che dimostrano l’avvenuta cessione del credito, ed oppone a quella valutazione una diversa lettura, formulando quindi censura, di fatto, alla discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove, che non è proponibile in sede di legittimità se non per difetto di motivazione: i giudici di merito hanno dato invece ampia giustificazione del perché quell’insieme di documenti dimostra l’avvenuta cessione (pp. 5 -6 della sentenza).
Quanto alla censura secondo cui l’avvenuta cessione del credito non dimostra successione nell’azione di revocatoria, essa è da un lato inammissibile, poiché anche tale effetto è stato accertato dai giudici di merito, sulla base della interpretazione dell’atto decisione (da cui risulta anche la successione nella azioni a tutela del medesimo), e dunque si mira a censurare un accertamento in fatto; ma soprattutto è infondata posto che è principio di diritto che ‘ In tema di azione revocatoria, qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell’art. 111 c.p.c. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex art. 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore -che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell’azione esercitata) -di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del debitore’ (Cass. 5649/ 2023; Cass. 7395/ 2024; Cass. 20315/ 2022).
2. -Con il secondo motivo si prospetta violazione sia dell’articolo 2901 c.c. che delle norme in tema di presunzioni ( art. 2727 e ss), che di quelle in tema di prova (art. 2967 c.c.) che infine omesso esame.
La questione attiene alla prova della scientia damni .
I giudici di merito l’hanno ravvisata nel fatto che l’acquirente era fratello del venditore e che tra l’altro con costui coabitava: due
elementi da cui hanno indotto che doveva sapere delle difficoltà economiche del congiunto.
Secondo il ricorrente questi due elementi non hanno sufficiente gravità indiziaria, e non erano di tale natura da potersene indurre che l’acquirente sapesse del danno che la vendita arrecava al creditore. Ciò in quanto vi erano elementi di segno contrario, ossia motivazione dell’acquisto, caratteristiche dell’immobile, integrale pagamento del prezzo, che dimostravano l’opposto.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, non censura in modo adeguato il ragionamento presuntivo seguito dai giudici di merito, nel senso che pur, opponendo agli elementi indiziari da quei giudici utilizzati, altri elementi, non dice alcunché sulla portata di quest’ultimi, ossia sul perché dovrebbero scardinare gli indizi posti a base della decisione:
il ricorrente si limita apoditticamente a citarli, ma senza illustrarne la natura indiziaria.
In secondo luogo, l’accertamento die giudici di merito è accertamento in fatto, che può essere censurato solo per difetto assoluto di motivazione.
Il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
osì deciso in Roma, il 16/6/2025