Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20328 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20328 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17551/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, in forza di mandato in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Palermo n. 538/2021, pubblicata in data 9 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMENOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 2151/2016, il Tribunale di Palermo, in accoglimento della domanda avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, dichiarava l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ. degli atti del 30 maggio 2009 e del 19 ottobre 2009 con cui NOME COGNOME aveva donato beni immobili ai figli NOME NOME NOME COGNOME.
Avverso la sentenza hanno proposto autonomi gravami, da una parte, NOME COGNOME, deducendo, preliminarmente, la nullità della notifica della citazione di primo grado e, nel merito, l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 cod. civ. e, dall’altro, NOME ed NOME COGNOME.
Riuniti i due giudizi, la Corte d’appello adita li ha rigettati, disattendendo la preliminare eccezione di nullità dell’atto di citazione di primo grado e reputando sussistenti i requisiti per l’utile esercizio dell’azione revocatoria.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso, con due motivi, per la cassazione della sentenza d’appello.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
In prossimità dell’adunanza camerale la controricorrente ha
depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹vizio di violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui all’art. 139 c.p.c. -Nullità assoluta ex art. 160 c.p.c. del processo di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio nei confronti del sig. COGNOME NOME››, per avere la Corte d’appello ritenuto rituale la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado nei confronti di NOME COGNOME.
Rappresentano che la notifica era stata effettuata nelle mani di NOME COGNOME – residente in INDIRIZZO – figlio del ricorrente ma con lui non convivente sin dall’anno 2005, anziché presso la residenza del destinatario, sita in INDIRIZZO, e che, a causa di un disguido, NOME COGNOME non aveva informato il padre dell’atto ricevuto ; soggiungono che, sebbene fosse stata sporta querela di falso, i giudici d’appello avevano ritenuto ritualmente instaurato il contraddittorio.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Come è stato accertato dai giudici d’appello sulla base della relata di notifica e dell’avviso di ricevimento, la consegna dell’atto è stata effettuata a COGNOME NOME presso la sua residenza in INDIRIZZO, nelle mani del figlio NOME COGNOME, ‹‹ familiare convivente ›› che ha sottoscritto per accettazione, e non al diverso indirizzo di residenza di NOME COGNOME (INDIRIZZO, cosicché risulta rispettato il disposto di cui all’art. 139 cod. proc. civ.
Difatti, la consegna del piego raccomandato a mani di familiare dichiaratosi convivente con il destinatario determina la presunzione che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, mentre il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal
consegnatario dell’atto, con conseguente onere della prova contraria a carico del destinatario.
Sul punto, è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che ‹‹ In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare “a persona di famiglia”, secondo il disposto dell’art. 139 cod. proc. dv., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – né l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo ›› (così, Cass., sez. 6 – L, 15/10/2010, n. 21362; Cass., sez. 1, 25/07/2013, n. 18085; Cass., sez. 5, 29/11/2017, n. 28591; Cass., sez. L, 05/04/2018, n. 8418; Cass., sez. 1, 28/04/2021, n. 11228).
In sostanza, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il vincolo presuntivo di cui al secondo comma dell’art. 139 cod. proc. civ., allorquando l’atto da notificare sia consegnato a persona che, pur non avendo uno stabile rapporto di convivenza con il notificando, sia a lui legato da vincolo di parentela, che giustifichi la presunzione di sollecita consegna; presunzione superabile da parte del notificando, che assuma di non avere ricevuto l’atto, con la dimostrazione della presenza occasionale e temporanea del familiare consegnatario (così Cass., sez. U, 20/04/2000, n. 187; Cass., sez. 1, 08/01/1997, n. 73). Peraltro, il testo della disposizione non impone alcuna indicazione, nella formula notificatoria, della convivenza, posto che, come più
volte da questa Corte precisato, viene instaurata la presunzione della convivenza temporanea del familiare nella abitazione del destinatario per il solo fatto che detto familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l’atto (cfr.: Cass., sez. 1, 20/02/1998, n. 1843; Cass., n. 7544/97; Cass., n. 615/95; Cass., n. 6100/94; Cass., n. 2348/94), presunzione certamente superabile da prova contraria fornita dall’interessato (e ad oggetto la carenza di alcuna pur temporanea convivenza) e sulla quale il legislatore ha fondato l’ulteriore presunzione normativa, quella di consegna immediata dell’atto al suo destinatario da parte del ridetto familiare.
Da tali principi non si è discostata la sentenza impugnata, in difetto di prova contraria non offerta dal ricorrente, che neppure ha dimostrato, come rilevato dalla Corte territoriale a pag. 6 della sentenza impugnata, di avere presentato querela di falso.
Con il secondo motivo s i denunzia ‹‹Vizio di violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., del disposto di cui all’art. 2901 cod. civ. -in particolare falsa e/o erronea interpretazione ed applicazione dei presupposti della scientia damni e dell’ eventus damni , per dichiarare l’inefficacia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE degli atti di donazione per cui è causa›› .
Assumono i ricorrenti che la Corte d’appello a bbia errato nel ritenere che gli atti dispositivi fossero successivi rispetto alla data in cui è sorto il credito e che, di conseguenza, spettava alla RAGIONE_SOCIALE dimostrare che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento. Evidenziano che i giudici di merito hanno basato la cd. scientia damni sulla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE, già in data 9 gennaio 2006, aveva notificato a NOME COGNOME un atto di citazione con cui aveva chiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla detenzione di un capannone di sua proprietà, ma che tale circostanza non poteva supportare l’esistenza di una
posizione debitoria a quella data, in quanto in quel periodo il COGNOME deteneva l’immobile in forza di un legittimo provvedimento giudiziario.
2.1. La censura è inammissibile, perché investe l’accertamento di fatto circa la posteriorità degli atti dispositivi svolto dalla Corte d’appello, che ha rilevato, in esito all’esame della documentazione acquisita agli atti del giudizio, che il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE trovava titolo in una pretesa risarcitoria derivante dalla illecita detenzione, da parte di NOME COGNOME, di un capannone industriale, di proprietà della stessa RAGIONE_SOCIALE, protrattasi dal giugno del 2002 sino al febbraio 2006, e che già in data 9 gennaio 2006 la RAGIONE_SOCIALE aveva notificato al COGNOME atto di citazione chiedendo il risarcimento dei danni per illegittima detenzione dell’immobile; a fronte di tale ricostruzione fattuale, la Corte ha concluso che, al momento della stipulazione degli atti di donazione (2009), NOME COGNOME fosse evidentemente ben consapevole di essere ‹‹ potenziale debitore ›› della RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Il suddetto percorso argomentativo è del tutto conforme all’orientamento di questa Corte, che ha più volte ribadito che, in tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori (tra le tante, Cass., sez. 6 – 3, 4212 del 19/02/2020).
Del tutto correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha affermato che ‹‹…l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, essendo sufficiente una ragione di debito anche eventuale ›› e che il requisito dell’anteriorità, rispetto all’atto impugnato, del credito a tutela del quale la predetta azione viene esperita, deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorga e non a quello del suo accertamento giudiziale (Cass., sez. 3, 27/06/2002, n. 9349; Cass., sez. 3, 15/02/2011, n. 3676; Cass., sez. 6 -3, 09/10/2015, n. 20376).
L’esistenza di un a posizione debitoria in capo ad NOME COGNOME, affermata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello, non può, d’altro canto, essere rimessa in questa sede in discussione sulla base della diversa ricostruzione della vicenda fattuale prospettata dagli odierni ricorrenti, che assumono che il COGNOME deteneva il capannone della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‹ sulla scorta di un legittimo provvedimento giudiziario ›› , essendo precluso a questa Corte il riesame del merito.
Perdono, di conseguenza, rilevanza le ulteriori considerazioni svolte dai ricorrenti che attengono al requisito soggettivo richiesto in ipotesi di atto di disposizione anteriore al sorgere del credito ed alle presunte ragioni per le quali sarebbero stati posti in essere gli atti di donazione.
Parimenti inammissibili sono le contestazioni che afferiscono al presupposto dell’ eventus damni , non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (quale, nella specie, gli atti di donazione) e tenuto conto che l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza
dell’ eventus damni (Cass., sez. 2, 03/02/2015, n. 1902), prova che il giud ice del merito, respingendo l’appello, non ha ritenuto offerta.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La formulazione di motivi manifestamente inammissibili integra il requisito della colpa grave per l’applicazione dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. 6 -1, 04/09/2020, n. 18512); la liquidazione del danno deve essere effettuata in misura pari a quella delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; nonché della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione