Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9624 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9624 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27525/2022 R.G. proposto da:
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come in atti
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME e da ll’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come in atti
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Firenze n. 1946/2022,
pubblicata in data 8 settembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, deducendo di essere creditrice di NOME COGNOME, quale socio illimitatamente responsabile della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, il cui debito era stato accertato con sentenza n. 1092/16 del Tribunale di Livorno, conveniva in giudizio NOME COGNOME e la figlia NOME COGNOME al fine di sentire dichiarare la inefficacia , ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto di donazione del 20 dicembre 2011 con cui il convenuto aveva donato alla figlia, riservandosi l’usufrutto, i diritti immobiliari su alcuni beni siti in Campiglia Marittima.
Il Tribunale di Livorno, nel contraddittorio con i convenuti, i quali replicavano che, all’epoca dell’atto dispositivo, non erano a conoscenza del debito, accoglieva la domanda di parte attrice, osservando che: -si era in presenza di atto a titolo gratuito successivo al sorgere del credito; -la pretesa creditoria, sorta nell’ambito di un contratto di appalto concluso nel 2008, derivava dalla mancata esecuzione a regola d’arte dei lavori e dal conseguente risarcimento danni; -il convenuto era consapevole della potenzialità lesiva dell’atto dispositivo essendosi spogliato di tutti i suoi beni quando i vizi delle opere oggetto di appalto erano già stati accertati in sede di a.t.p. nel gennaio 2011.
I soccombenti hanno proposto gravame dinanzi alla Corte d’appello di Firenze che ha confermato la sentenza impugnata , ritenendo integrati sia l’elemento oggettivo dell’ eventus damni , in ragione della riduzione della garanzia patrimoniale generica del
debitore, che aveva trasferito la proprietà dei beni immobili e non aveva dimostrato la capacità degli ulteriori beni a soddisfare le pretese creditorie, sia l’elemento soggettivo della scientia damni , per essere il debitore consapevole di pregiudicare le ragioni creditorie, dato che il danno derivante dall’esecuzione delle opere affidate in appalto era emerso da un procedimento di a.t.p. promosso dalla creditrice, il cui esito era noto sin dal gennaio 2011, nonché dal procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla società creditrice nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e definito con sentenza n. 1092/2016 di condanna della stessa società al pagamento di complessivi euro 55.154,59.
La Corte ha, infine, precisato, con riguardo al beneficium excussionis fatto valere dagli appellanti, che esso operava solo in sede esecutiva, nel senso che il creditore sociale non poteva procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impediva al creditore di agire direttamente nei confronti del socio in sede di cognizione ordinaria.
Avverso la suddetta decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, con due motivi, cui resiste, con controricorso, COGNOME di COGNOME Gloria e RAGIONE_SOCIALE
È stata depositata proposta di definizione accelerata ex art. 380bis cod. proc. civ. e le parti ricorrenti hanno depositato istanza di decisione.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, deducendo ‹‹ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ›› ,
i ricorrenti lamentano che il giudice d’appello avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria ‘senza una reale connessione alla fattispecie’, limitandosi a richiamare un procedimento di accertamento tecnico preventivo che aveva riguardato la società RAGIONE_SOCIALE e non il socio illimitatamente responsabile della stessa società, che rispondeva solo a titolo residuale, e facendo un espresso richiamo all’art. 2304 cod. civ., che rafforzava la tesi difensiva dagli stessi prospettata.
1.1. La censura è inammissibile perché si pone al di fuori dei limiti imposti al sindacato di legittimità.
1.2. Dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 -applicabile ratione temporis , non trova più accesso al sindacato di legittimità il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze probatorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula iuris che non risulti totalmente avulsa dalla relazione logica tra premessa (in fatto) e conseguenza (in diritto) che deve giustificare il decisum .
Rimane, quindi, estranea al vizio di legittimità così riformato sia la censura di ‘contraddittorietà’ della motivazione peraltro attinente ad una incompatibilità logica intrinseca al testo motivazionale, che impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto (Cass., sez. U, 22/12/2010, n. 25984) -sia la censura che, anteriormente alla modifica della norma processuale, veicolava il vizio di ‘insufficienza’ dello svolgimento argomentat ivo, con il quale veniva imputato al giudice di merito di avere tratto, dal materiale probatorio esaminato, soltanto alcune delle conseguenze logiche che il complesso circostanziale avrebbe consentito di desumere, pervenendo ad un accertamento meramente parziale della res
litigiosa, ovvero di non avere considerato elementi costituenti fatti secondari che, seppure non decisivi, da soli, a fornire la prova contraria favorevole al ricorrente, tuttavia erano idonei ad inficiare o quanto meno a mettere in dubbio la efficacia dimostrativa attribuita ai diversi elementi indiziati utilizzati dal giudice a fondamento della decisione.
La nuova formulazione del vizio di legittimità ha, infatti, limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello alla sola ipotesi di ‹‹ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ›› , con la conseguenza che, al di fuori della indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e che si converte nella violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e determina la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Pertanto, laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di un diverso esito della controversia, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati perché non pertinenti o recessivi (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
Il controllo previsto dal nuovo n. 5) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, dunque, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza
(rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo: l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. Conseguentemente, la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
1.3. Venendo ora all’esame specifico del primo motivo del presente ricorso, va rilevato che le parti ricorrenti denunciano, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., l’«omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia », secondo la vecchia formulazione della disposizione: in realtà, così prospettano non un ‹‹ omesso esame ›› nei termini delineati dagli arresti sopra richiamati, bensì un “vizio di motivazione”, per aver il giudice di appello motivato affermando, erroneamente, che sarebbero sussistenti tutti i presupposti, oggettivo e soggettivo, dell’ actio pauliana e, peraltro, deducono che il giudice di merito non avrebbe considerato che il procedimento di a.t.p. era stato promosso nei confronti della debitrice società RAGIONE_SOCIALE e non nei confronti dell’odierno ricorrente , ma non riportano testualmente nel ricorso i “contenuti” degli atti del giudizio di merito che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi
dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di giudicare sulla congruità della valutazione del giudice a quo esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., sez. 2, 20/06/2024, n. 17005).
Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la decisione gravata per violazione ed errata applicazione dell’art. 2901 cod. civ., che viene così illustrata : ‘Si desume come il presupposto soggettivo della conoscenza del pregiudizio o della dolosa preordinazione debba sussistere in capo al debitore. È richiesto in capo al terzo acquirente, solo ed esclusivamente per gli atti a titolo oneroso. Nel caso di specie l’atto revocato è una donazione’ .
La censura è inammissibile per difetto di specificità, in quanto il vizio di violazione e falsa applicazione di legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con la indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. U, 28/10/2020, n. 23745; Cass., sez. 5, 06/07/2021, n. 18998).
I ricorrenti omettono di esplicitare le ragioni delle censure mosse all’operato del giudice d’appello, tanto più che questo ha analiticamente descritto í relativi passaggi decisionali, puntualizzando che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, per giungere alla declaratoria d’inefficacia dell’atto dispositivo a titolo gratuito e successivo al sorgere del credito, era sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la mera consapevolezza da parte di NOME COGNOME di arrecare pregiudizio alle ragioni della creditrice, la cui prova poteva
essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumesse rilevanza la conoscenza da parte della donataria.
La doglianza rivolta alla sentenza impugnata, che, per la sua genericità, non consente di cogliere la critica che si muove al percorso motivazionale della Corte territoriale, del tutto in linea con la giurisprudenza di legittimità, in definitiva costringe questa Corte ad ipotizzare un percorso esplorativo che esorbita dalle sue funzioni (v. la già citata Cass., sez. U, n. 23745/2020), sicché la censura in esame si risolve in un “non motivo”.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 27/12/2023, n. 36069).
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; al pagamento della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, terzo comma, c.p.c. in favore della controricorrente; della somma di euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione