Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16845 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16845 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15518/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale in atti
-ricorrente – contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale in atti
-controricorrente – nonché nei confronti di
COGNOME NOME COGNOME
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’ appello di Salerno n. 19/2023, pubblicata in data 12 gennaio 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 marzo 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME deducendo di vantare un credito, nei confronti di NOME COGNOME, pari ad euro 50.000,00, in forza di decreto ingiuntivo reso dal Tribunale di Salerno, conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di far dichiarare l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto di donazione del 28 aprile 2014, con cui il primo aveva donato ai figli la nuda proprietà ed alla moglie l’usufrutto dell’immobile sito in Salerno, INDIRIZZO COGNOME, n. 7.
Esponeva, in particolare, che essendo socio, unitamente a NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE, aveva prestato fideiussione a garanzia di un mutuo contratto dalla società con la Cassa Rurale e Artigiana -Banca di Credito Cooperativo di Battipaglia e Montecorvino Rovella; stante l’inadempimento della debitrice principale, aveva versato quanto dovuto all’istituto di credito, ma aveva inutilmente richiesto all’altro garante la restituzione del 50 per cento della somma versata.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 18/2021, pubblicata il 5 gennaio 2021, accoglieva la domanda revocatoria, rilevando la sussistenza di tutti i presupposti per l’esercizio dell’azione.
La sentenza, impugnata da NOME e NOME COGNOME, è stata
confermata dalla Corte d’appello di Salerno, la quale, dopo avere fatto propria la valutazione di inammissibilità delle richieste istruttorie formulate, resa dal giudice di primo grado, ha escluso che l’atto di donazione, di cui si faceva menzione nell’accordo di separazione tra i coniugi COGNOME, costituisse esecuzione degli obblighi patrimoniali assunti in sede di separazione, dal momento che nell’accordo di separazione non era stata prevista una clausola contenente l’impegno di uno dei coniugi di trasferire, a favore dei figli, la piena proprietà dell’immobile in assolvimento degli obblighi di mantenimento, essendo anzi previsto, nell’atto di donazione, che questa dovesse intendersi ‘fatta a titolo di anticipata successione’ ; ritenuti, inoltre, integrati i requisiti dell’ eventus damni e del consilium fraudis , ha pure negato che la documentazione prodotta -visura storica allegata alla memoria istruttoria in primo grado -fosse idonea a dimostrare l’esistenza di un patrimonio residuo capace di soddisfare le ragioni di credito, evidenziando, sul punto, che l’immobile oggetto di donazione era stato edificato proprio sul terreno sul quale NOME COGNOME asseriva di vantare un diritto in ragione di 22,18/1000 della piena proprietà, il che imponeva di ritenere che con la donazione fosse stato tra sferito l’unico bene immobile posto a garanzia delle pretese creditorie.
NOME e NOME COGNOME propongono ricorso per la cassazione della suddetta sentenza, affidato a due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto difese in questa sede.
È stata depositata proposta di definizione accelerata del giudizio, a seguito della quale i ricorrenti hanno formulato istanza di decisione.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale i ricorrenti
hanno depositato memoria illustrativa e ‘istanza di integrazione documentale’, allegando copia della visura ipotecaria aggiornata al 15 maggio 2018 riguardante la situazione di COGNOME NOME.
Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, deducendo ‘violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 2901 c.c.’, i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello abbia ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria.
Deducono , in particolare, che il giudice d’appello avrebbe:
omesso di considerare che l’esistenza del diritto di credito posto a fondamento dell’azione revocatoria era stata negata dalla sentenza n. 2832/2022 del Tribunale di Salerno, che aveva revocato il decreto ingiuntivo in forza del quale il Sica aveva agito;
erroneamente valutato la valenza probatoria della certificazione ipocatastale allegata alla memoria istruttoria depositata nel giudizio di primo grado, aggiornata al 15 maggio 2018, attestante che NOME COGNOME aveva donato l’immobile, ma non il terreno di cui era comproprietario, che era rimasto sempre nella sua titolarità ed era idoneo a soddisfare eventuali pretese creditorie;
trascurato c he NOME COGNOME aveva donato l’immobile ai figli in un momento anteriore al sorgere del credito azionato dal Sica nel 2016 e che l’atto dispositivo rappresentava una delle condizioni della separazione tra i coniugi ed era stato posto in essere allo scopo di adempiere il dovere di mantenimento dei figli;
erroneamente ritenuto raggiunta la prova della consapevole volontà in capo al disponente di pregiudicare le ragioni creditorie.
1.1. La censura è inammissibile sotto tutti i profili di doglianza sopra sintetizzati.
1.2. Con riguardo al primo, è sufficiente ribadire, in conformità al
consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, che, l’art. 2901 cod. civ. accoglie una nozione lata di “credito”, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, che non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, compresi quelli meramente eventuali (Cass., sez. U, 18/05/2004, n. 9440; Cass., sez. 3, 13/09/2019, n. 22859; Cass., sez. 3, 15/05/2018, n. 11755; Cass., sez. 3, 06/10/2023, n. 28141); pertanto, correttamente, la Corte d’appello ha ritenuto sussistente in capo a NOME COGNOME una ragione di credito, seppure litigiosa, anche dopo la pronuncia della sentenza n. 2832/2022, pronunciata dal Tribunale di Salerno, non emergendo dal ricorso che l’accertamento in essa contenuto sia coperto da giudicato.
1.3. Anche la doglianza concernente la documentazione afferente la proprietà, in capo a NOME COGNOME, di un terreno, è inammissibile.
I l regime probatorio dell’ actio pauliana impone al creditore di provare l’ eventus damni , ossia il pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo alle ragioni creditorie, mentre pone a carico del debitore quello di dimostrare che il patrimonio residuo è idoneo a soddisfare le pretese della controparte (tra le tante, Cass., sez. 3, 09/10/2023, n. 28286; Cass., sez. 6 -3, 18/06/2019, n. 16221).
La Corte d’appello ha ritenuto tale onere non assolto, puntualizzando al riguardo che la documentazione allegata nel giudizio di primo grado -visura storica – attestava che il terreno, che gli allora appellanti, odierni ricorrenti, asserivano essere di proprietà del disponente (identificato al foglio 36, particella 787), risultava a carico di NOME COGNOME sino alla data del 6 maggio 2014 e che, ‹‹ in
ogni caso, l’immobile oggetto della donazione risulta(va) edificato proprio su tale terreno, come risulta(va) dall’atto di donazione pag. 2 lett. b) ›› . La c ritica mossa in questa sede all’ accertamento svolto dal giudice di merito, dopo essersi soffermata sulla differenza fra visure catastali e visure ipocatastali, ripropone, pur sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, questioni meramente fattuali, contrapponendo una diversa lettura della medesima documentazione già sottoposta all’esame del giudice d’appello e da questi ritenuta inidonea a supportare la tesi difensiva.
1.4. Parimenti inammissibile è il motivo in disamina anche là dove si attinge il capo della decisione gravata che qualifica come gratuito l’atto dispositivo e riconosce l’esistenza del requisito soggettivo in capo al disponente.
1.4.1. Anzitutto, manca tanto l’allegazione dell’avvenuta deduzione, dinanzi al giudice di merito, della questione afferente l’anteriorità o posteriorità dell’atto dispositivo rispetto al sorgere del credito, quanto l’indicazione degli atti specifici dei gradi precedenti in cui quella questione sia stata a quegli sottoposta, onde dare modo a questa Corte -cui sono proposte questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa; in mancanza di ottemperanza ad un tale onere, è inevitabile la sanzione di inammissibilità per novità della censura, di cui non si fa menzione della sentenza qui gravata, perché sollevata per la prima volta in sede di legittimità (Cass., sez. 6 -3, 10/08/2017, n. 19988; per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass., 02/04/2004, n. 6542; Cass., 10/05/2005, n. 9765; Cass., 12/07/2005, n. 14599; Cass., 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass.
05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).
1.4.2. In secondo luogo, la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché non si confronta minimamente con la motivazione offerta dalla Corte territoriale, ma si limita a riproporre puramente e semplicemente le medesime questioni già da questa esaminate, disinteressandosi del tutto delle argomentazioni al riguardo svolte in sentenza.
Si tratta, dunque, di motivo inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione. Si deve al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendo, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche Cass., sez. U, 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Cass., sez. U, 05/08/2016, n. 16598; Cass., sez. 3,
15/04/2021, n. 9951; Cass., sez. 3, 05/07/2019, n. 18066; Cass., sez. 3, 13/03/2009, n. 6184; Cass., sez. 3, 10/03/2006, n. 5244; Cass., sez. 3, 04/03/2005, n. 4741).
1.5. La Corte d’appello ha escluso che l’atto dispositivo possa farsi rientrare fra le condizioni della separazione, in assenza della previsione nell’accordo raggiunto in sede di separazione di una sistemazione ‘solutoria -compensativa’ finalizzata a soddisfare l’obbligo di mantenimento imposto al coniuge in favore dei figli ; pertanto, le argomentazioni reiterate dai ricorrenti in questa sede non sono volte a denunciare un vizio di violazione di legge, ma sono, nella sostanza, finalizzate a sollecitare a questa Corte un riesame del merito, non consentito.
Dovendosi, dunque, ritenere che l’atto dispositivo costituisce atto a titolo gratuito, svincolato dalle condizioni della separazione, successivo al sorgere del credito, correttamente il giudice d’appello, con riguardo al requisito soggettivo, ha ritenuto sufficiente la sola consapevolezza in capo al disponente del danno che l’atto avrebbe potuto arrecare alle ragioni creditorie, conformandosi pienamente a consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., sez. 6 – 3, 03/07/2018, n. 17336; Cass., sez. 1, 02/04/2021, n. 9192; Cass., sez. U, n. 1898/2025) e il motivo, che di quelle motivazioni come detto si disinteressa, non propone argomenti che possano indurre a rivedere o anche solo a ulteriormente argomentarne la conferma.
Con il secondo motivo, denunciando la ‘violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in ordine alla mancata ammissione della attività istruttoria e verifica dei documenti’, i ricorrenti censurano la decisione impugnata per non avere ammesso le richieste istruttorie formulate, adducendo che, ove esse fossero
state accolte , l’esito del giudizio sarebbe stato diverso.
2.1. Una tale complessa doglianza è inammissibile, perché non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.2. La Corte territoriale, avallando la decisione di primo grado, ha reputato irrilevanti sia le circostanze su cui verteva la prova testimoniale, sia quelle su cui avrebbe dovuto essere assunto l’interrogatorio formale. Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico» (così, Cass., sez. L, 21/11/2022, n. 34189; Cass., sez. 2, 10/09/2004, n. 18222).
Inoltre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 cod. proc. civ. (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove).
I l giudice d’appello ha fondato la decisione sulle allegazioni e le
prove messe a disposizione dalle parti, non trascurando di prendere in esame anche la prova documentale offerta, debitamente richiamata, cosicché anche sotto tale profilo la critica rivolta alla sentenza impugnata incorre nella declaratoria d’inammissibilità .
Inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis .1. cod. proc. civ., è anche la dedotta violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., dovendosi rammentare che essa è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395).
3. Il ricorso è, quindi, inammissibile.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore del controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; al pagamento della somma di euro 4.000,00 ex art. 96, terzo comma, c.p.c. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, della somma di
euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione