SENTENZA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI N. 6378 2025 – N. R.G. 00000253 2021 DEPOSITO MINUTA 09 12 2025 PUBBLICAZIONE 09 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
SECONDA SEZIONE CIVILE
APPELLANTI
In persona dei magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente/rel.
dott.ssa NOME COGNOME Consigliere
dott.ssa NOME COGNOME Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al R.G.N. 253/2021, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del tribunale di Napoli-sezione distaccata di Ischia n. 130/2020 pubblicata il 16.11.2020 e notificata l’8.12.2020, vertente
TRA
(c.f.
)
e
(c.f.
) rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
NOME (c.f.
) presso il cui studio elettivamente domiciliano in
Forio (Na), alla INDIRIZZO;
Pec
– fax NUMERO_TELEFONO;
CONTRO
(c.f.
) rappresentato e difeso dall’ Avv.
AVV_NOTAIO NOME (c.f.
) e elettivamente domiciliato presso il suo studio
in Forio, alla INDIRIZZO;
C.F.
C.F.
C.F.
C.F.
C.F.
Pec
– fax NUMERO_TELEFONO;
RAGIONI DI FETTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.1. Con sentenza n. 130/2020, pubblicata il 16.11.2020 e notificata a mezzo pec in data 8.12.2020, il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda ex art. 2901 c.c. proposta da contro e e, per l’effetto, dichiarava privi di effetti nei confronti dell’attore gli atti di donazione stipulati dai convenuti, con distinti rogiti del notaio l’1.10.2010 (rep. 7627, racc. 2852; rep. 7628, racc. 2853); dichiarava la sentenza soggetta a trascrizione presso i registri immobiliari; condannava i convenuti, in solido fra loro, alla refusione delle spese di lite in favore dell’attore, liquidate in complessivi € 4.200,00 per compensi e € 243,60 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, IVA e CPA.
1.2. Nello specifico, , con atto di citazione notificato il 16.9.2015, aveva esposto: di essere creditore di della somma di € 9.480,00 a titolo di corrispettivo della fornitura di materiale edile eseguita da marzo 2007 a febbraio 2008, credito che era stato accertato con sentenza n. 10954/2015 del Tribunale di Napoli; che , con due distinti atti di donazione stipulati l’1.10.2010, successivi alla sua esposizione debitoria, aveva trasferito gratuitamente al figlio il suo intero patrimonio immobiliare nonché l’azienda denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, rendendo così più difficoltosa l’escussione del patrimonio dell’obbligato.
1.3. I convenuti avevano resistito alla domanda deducendo l’insussistenza della scientia damni , stante l’anteriorità delle donazioni rispetto all’inizio del giudizio in cui era stato acclarato il credito del nonché dell’ eventus damni , assumendo che il debitore era titolare di un residuo patrimonio mobiliare idoneo a garantire la soddisfazione del credito dell’attore.
1.4 All’esito dell’istruttoria svolta mediante escussione testimoniale, il tribunale accoglieva la domanda ritenendo sussis tenti tutti i presupposti dell’azione revocatoria e segnatamente: l’esistenza del credito a garanzia del quale era stata proposta la domanda, acclarato con sentenza n. 10954/15 del tribunale di Napoli-sezione distaccata di Ischia;
l’anteriorità del credito rispetto agli atti revocandi, dovendosi aver riguardo alla data in cui era sorta l’obbligazione di pagamento ( 2007 e 2008), stante l’effetto dichiarativo della suddetta pronuncia giudiziale; l’ eventus damni , poiché con le donazioni il debitore si era spogliato del suo patrimonio immobiliare, rimanendo titolare solo di beni mobili registrati (tre autovetture e due motocicli) di incerto e comunque esiguo valore, inidonei a garantire la soddisfazione del credito dell’attore per la loro vetustà e di incerto realizzo in caso di espropriazione forzata , al contrario dei beni dei quali il convenuto si era spogliato che rappresentavano, sia per la loro tipologia che per il loro valore, una garanzia patrimoniale di gran lunga più solida; la scientia damni il capo al debitore, che, avendo ricevuto negli anni 2007 e 2008 la merce compravenduta senza pagarne il prezzo, era ben consapevole nel 2010 della propria esposizione debitoria, essendo irrilevante che l’intento dello stesso non fosse quello di frodare i creditori ma piuttosto quello di trasmettere la propria azienda al figlio -reputato più idoneo a gestirla -in quanto per l’accoglimento dell’azione revocatoria di atti a titolo gratuito, successivi al sorgere del credito, era sufficiente la mera consapevolezza di recare pregiudizio alle ragioni creditorie
2.
Avverso tale decisione hanno proposto appello e
chiedendo, in via cautelare, la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado, e, nel merito, il rigetto dell’azione revocatoria, articolando due motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo , gli appellanti lamentano ‘ l’illegittima limitazione del diritto di difesa’ per erronea applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c. in quanto all’udienza del 16.11.2020 il primo giudice aveva pronunciato la sentenza senza prima invitare le parti alla discussione della causa, finendo, così, per impedire loro di esplicare e consolidare le rispettive posizioni processuali.
2.2. Con il secondo motivo , gli appellanti denunciano ‘l’insussistenza degli elementi costitutivi dell’azione revocatoria’ .
In ordine al requisito del consilium fraudis , assumono che erroneamente il primo giudice avrebbe omesso di considerare una serie di elementi presuntivi atti a dimostrare che all’epoca delle donazioni il sig. fosse del tutto inconsapevole della sussistenza credito dell’attore.
Al riguardo evidenziato che: a) donava, nel 2010, il patrimonio familiare al figlio, , per le documentate patologie che non gli permettevano più di gestire le attività di famiglia; b) era irragionevole pensare che le donazioni, di valore superiore a quattro milioni di euro, erano volte a sottrarsi ad un debito, relativamente esiguo, di € 10.000,00; c) all’epoca in cui venivano sottoscritti gli atti impugnati (anno 2010), non esisteva alcuna azione sul credito vantato da controparte, in quanto, solo nel 2012, il aveva agito per il proprio credito, di cui il contestava l’esistenza, in quanto convinto dell’infondatezza del credito domandato. Infatti, così come affermato dal teste intorno al 2010, il , dopo aver consegnato somme di denaro al veniva rassicurato dall’appellato sul fatto che era ‘Tutto a posto’ e che, quindi, nulla era più dovuto.
Assumono, altresì, non essere stato provato neanche l’ eventus damni poiché l’appellato non aveva dimostrato che il patrimonio residuo di fosse inidoneo a soddisfare la pretesa creditoria, tra l’altro relativamente esigua (€ 10.000), e non risultava che avesse almeno tentato di rivalersi sul proprio creditore aggredendo esecutivamente detto patrimonio residuo. Lamentano, quindi, che l’azione revocatoria nel caso di specie era un rimedio del tutto irragionevole e sproporzionato rispetto alla pretesa creditoria.
Si è costituito in giudizio eccependo l’inammissibilità e/o improcedibilità dell’appello e nel merito, instando per il suo rigetto; vinte le spese del grado con attribuzione al difensore antistatario.
E’ stata dichiarata inammissibile l’istanza inibitoria e non è stata svolta attività istruttoria. Indi la causa, trasmessa a questa sezione a seguito di scardinamento dalla sezione V originaria assegnataria, è stata riservata in decisione allo spirare dei termini ex art. 190 c.p.c. assegnati con ordinanza del 21.5. 2025 in esito all’udienza di pari data celebrata in forma cartolare ex art. 127 ter c.p.c.
Preliminarmente, all’esito della verifica d’ufficio, va dato atto della tempestività dell’impugnazione.
Al riguardo, dall’esame degli atti risulta che: la sentenza n. 130/2020, è stata pubblicata il 16.11.2020; è stata notificata l’8.12.2020; l’atto d’appello è stato notificato a mezzo pec il 5.1.2021.
Risulta, pertanto, rispettato il termine breve di decadenza di trenta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c.
Sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 342 c.p.c. formulata dall’appellato.
L’impugnazione in esame è regolata dall’art. 342 c.p.c. come modificato sia dall’art. 54 D.L. n. 83 del 2012, sia dalla legge di conversione n. 134 del 2012, in vigore dall’11 settembre 2012 e applicabile ‘ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto’.
In particolare, l’art. 342 c.p.c. così recita: ‘L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata’.
In definitiva, per effetto della novella, bisogna indicare nell’atto di appello esattamente quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e, per tali parti, indicare quali modifiche si richiedono rispetto a quanto ha formato oggetto della ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice.
Va nondimeno chiarito, al fine di evitare di ricadere in pronunce di tipo esclusivamente formalistico, che occorre che il giudice verifichi in concreto il rispetto della norma.
In particolare, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. n. 27199/2017) l’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.
Lo scrutinio imposto dalla disposizione in commento sortisce, per la censura in esame, esito positivo, dal momento che l’appellante ha, in ossequio al disposto dell’art. 342 c.p.c. nella formulazione vigente, chiaramente indicato le parti della sentenza che intende censurare e le ragioni per le quali confuta la motivazione del primo giudice.
Tanto debitamente premesso, il gravame proposto è infondato e va respinto.
7.1 Con la prima ragione l’appellante lamenta una illegittima limitazione del diritto di difesa stante l’applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c., nonché, la successiva sostituzione della discussione orale con il deposito delle note scritte ex art. 83, co. 7, lett. h), D.L. n. 18/2020.
L’appellante ritiene che ‘una più estensiva esposizione delle tesi difensive sarebbe stata riservata ad atti successivi, ossia comparse e note conclusionali…’, mancate nel caso di specie. Difatti, conclusa l’istruttoria la causa veniva rinviata ex art. 281 sexies c.p.c. per la discussione orale.
La censura è priva di fondamento.
La ‘semplificazione’ prevista dal citato art. 281 sexies c.p.c. consiste proprio in quanto lamentato dall’appellante, ossia nel venir meno delle comparse conclusionali in favore della discussione orale ogni qualvolta il Giudice lo ritenga opportuno.
Il motivo di censura può interpretarsi come segue: gli impugnanti sostengono, nella sostanza, che la sentenza impugnata sarebbe viziata in quanto la decisione è stata pronunciata all’esito di una fase di trattazione orale, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., svoltasi in base alle previsioni di cui all’art. 83, comma 7, lettera h, del decreto -legge 17
marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, senza comparizione personale dei difensori, ma con mera autorizzazione alle parti al deposito di note scritte fino a cinque giorni prima della data dell’udienza stessa (16.11.2020), contenenti le sole istanze e conclusioni.
Tale modalità di svolgimento, secondo la prospettazione dei deducenti, non avrebbe adeguatamente assicurato la pienezza del diritto di difesa in quanto l’utilizzo delle note scritte ai sensi dell’art. 83 cit, era stato limitato dal primo giudice alle sole istanze e conclusioni e, dunque, avrebbe impedito la più estensiva esposizione delle tesi difensive, tipica della discussione orale o delle comparse e/o note conclusionali.
La censura è infondata.
Dall’esame del fascicolo d’ufficio telematico del primo grado e da quanto riferito dagli stessi appellanti, risulta che con provvedimento reso dal giudice istruttore all’udienza del 13.11.2019 la causa è stata rinviata ex art. 281 sexies cpc all’udienza del 6.7.2020 per poi essere rinviata all ‘ udienza del 16.11.2020, durante il periodo di emergenza pandemica, nella vigenza della formulazione dell’art. 83 del decreto -legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, come modificato dall’art. 221 del DL n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020.
Secondo la suddetta disposizione i capi degli uffici giudiziari potevano, tra l’altro, adottare una serie di misure al fine di contenere gli effetti della pandemia, tra cui (in base al comma 7, lettera h) disporre «lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».
Dal contenuto dell’ordinanza del 6.7.2020 risulta che il Presidente del Tribunale di Napoli avesse autorizzato tale forma di svolgimento delle udienze civili, giusta decreto n. 2353/20. E’ pacifico, poi, che l’udienza di trattazione orale di cui all’art. 281 sexies c.p.c. non richieda di regola la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti.
Le superiori considerazioni consentono di affermare che le modalità di svolgimento dell’udienza in «forma scritta» disposte dal primo giudice sono, diversamente da quanto opinato dagli appellanti, pienamente conformi alle previsioni della già richiamata disposizione di cui all’art. 83, comma 7, lettera h, del decreto -legge 17 marzo 2020 n. 18,convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, nella
Tale disposizione si limitava a prevedere il possibile svolgimento delle udienze civili non richiedenti la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante «lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza dei provvedimento del giudice», su autorizzazione o provvedimento del singolo capo dell’ufficio.
Come sopra rilevato, nella specie, oltre a sussistere tale autorizzazione o provvedimento del capo dell’ufficio, l’udienza in concreto svolta mediante il deposito di note scritte (cioè quella di discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.) certamente non è tra quelle che richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti.
Ne consegue che il ricorso a tale modalità decisoria non è affatto incompatibile con l’udienza cartolare, come invece opinato dagli appellanti.
Secondo questi ultimi, poi, il contenuto delle note scritte disposto in concreto dal giudice (autorizzazione alle parti a depositare brevi note scritte cinque giorni prima dell’udienza, contenenti le sole istanze e conclusioni) non avrebbe adeguatamente garantito la pienezza del diritto di difesa non assicurando alle parti la possibilità di una più estensiva esposizione delle tesi difensive, come sarebbe avvenuto in caso di discussione effettivamente orale ovvero nel caso fosse stato consentito di depositare comparse o note conclusionali.
Anche tale argomento non è condivisibile.
Invero, giova osservare che, secondo la disposizione emergenziale ratione temporis applicabile, era prevista la possibilità per le parti, di fronte al provvedimento del giudice di individuazione delle modalità di svolgimento dell’udienza in forma scritta, di pretenderne lo svolgimento in forma orale, presentando istanza entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento stesso.
Facoltà che gli appellanti non hanno inteso esercitare, depositando, invece, in data 10.11.2020 note scritte che, peraltro, hanno un ampio contenuto difensivo, non limitato alle sole istanze e conclusioni.
Ritiene questa Corte territoriale, pertanto, che il diritto di difesa sia stato, nella specie, adeguatamente assicurato, nelle eccezionali forme previste dalla legge per il periodo di emergenza epidemiologica.
7.2 Con il secondo motivo gli appellanti censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui il Giudice di prime cure ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti prescritti dall’art. 2901 c.c. ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria.
Anche tale mezzo è infondato.
7.2.1. Giova precisare, al fine di valutare l’effettiva rilevanza delle questioni prospettate dagli impugnanti, che l’azione revocatoria è uno strumento per la tutela (indiretta) del diritto del creditore, poiché svolge la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata a quest’ultimo dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito (cfr. Cass. civ., del 23 settembre 2004, n. 19131).
In particolare, si tratta di un’azione di inefficacia relativa dell’atto impugnato, la cui validità, quindi, non è posta in discussione: con essa si domanda solamente che l’atto impugnato, ancorché valido, sia dichiarato inefficace nei confronti del creditore agente. Sicché il bene non ritorna nel patrimonio dell’alienante, ma resta soggetto all’aggressione del creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni (cfr. ex multis, Cass. civ., sent. nn. 5455/2003, 7127/2001, 1804/2000).
L’art. 2901 c.c., infatti, dispone che il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore reca pregiudizio alle sue ragioni (nel concorso dei requisiti previsti).
La citata norma, peraltro, come costantemente chiarito dalla Suprema Corte, non distingue tra le varie categorie di crediti e le relative fonti, ed accoglie una nozione molto ampia di credito, comprensiva della ragione od aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, di liquidità e di esigibilità: ciò, in linea con la specifica funzione della revocatoria, che, come si è già detto, non ha intenti restauratori nei confronti del debitore ovvero del creditore istante, ma tende unicamente a restituire la garanzia generica assicurata a tutti i creditori e, quindi, anche a quelli meramente eventuali (cfr. sostanzialmente in tal senso, ex plurimis, Cassazione Civile, sentenze nn. 3981/2003, 14166/2001, 12672/2001,
12144/99; Cass. sez. 3, sentenza n. 24757 del 07/10/2008; Cass. sez. 3, sentenza n. 5359 del 05/03/2009).
Nel caso sub specie, sussiste l’esposizione debitoria di che risulta essere acclarata con sentenza passata in giudicato (sentenza emessa in data 29.07.2015 mai impugnata).
Non colgono, poi, nel segno le doglianze formulate dalla parte appellante, in tema di inesistenza della pretesa creditoria al momento della sottoscrizione degli atti revocandi, in quanto la sentenza che ha accertato il credito del ha efficacia dichiarativa rispetto alla pretesa al pagamento sorto, ex art. 1498 co. 2 c.c., al momento della consegna della merce.
Sotto il profilo soggettivo, a nulla rilevano le difese proposte dagli appellanti circa le diverse finalità che hanno spinto a trasferire il suo patrimonio immobiliare in favore del figlio . Invero, quanto richiesto dall’art. 2901 c.c. è la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (c.d. scientia damni), la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis) né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
Pertanto, trattandosi di atti a titolo gratuito stipulati successivamente al sorgere del credito, occorre unicamente verificare il grado di consapevolezza del disponente circa l’idoneità degli atti a pregiudicare le ragioni di credito: consapevolezza sicuramente ricorrente nel caso di specie, ove solo si consideri che, come ammesso dagli stessi appellanti, i beni in questione costituiscono l’intero patrimonio immobiliare nella disponibilità del donante, a cui vanno aggiunti soltanto pochi beni mobili registrati.
Questo Collegio, inoltre, in conformità a quanto sostenuto dal Giudicante di primo grado ritiene la testimonianza di irrilevante per escludere la scientia damni , atteso che le risultanze della stessa- tese a dimostrare che avesse onorato il suo debito e fosse convinto di nulla dovere più al è superata dalla
sentenza del tribunale ischitano sopra menzionata, che ha, invece, accertato la debenza della somma di € 9480,00 per forniture non pagate.
Per quanto attiene, invece, alle censure mosse alla sentenza di primo grado relativamente all’esistenza dell’ eventus damni ex art. 2901 c.c. questa Corte aderisce all’insegnamento costante e consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, esprimendosi in termini di pregiudizio, il legislatore ha voluto alludere ad un significato dell’ eventus damni che va oltre il concetto di danno per comprendere anche quello di semplice pericolo di danno (cfr., ex plurimis, Cass. civ., del 2 aprile 2004, n. 6511; Cass. civ. del 15 giugno 1995, n. 6777). Ciò perché al creditore non interessa soltanto la conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche il mantenimento di uno stato di maggiore fruttuosità ed agevolezza dell’azione esecutiva susseguente all’utile esperimento dell’azione.
Si ritiene, pertanto, che il pregiudizio ( eventus damni ) può essere costituito da una variazione sia quantitativa che qualitativa del patrimonio del debitore, purché ciò comporti una maggiore difficoltà od incertezza nella esazione coattiva del credito oppure ne comprometta la fruttuosità (cfr. Cass. civ., del 4. Luglio 2006, n. 15265, in motivazione; Cass. civ., del 29 ottobre 1999, n. 12144; Cass. civ., del 8 luglio 1998, n. 6676; Cass. civ. del 6 maggio 1998, n. 4578).
In buona sostanza, affinché possa ritenersi l’esistenza del pregiudizio, non occorre alcuna valutazione sul danno, essendo sufficiente la dimostrazione da parte del creditore istante della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile quanto eventuale infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore.
In questa prospettiva, l’onere probatorio del creditore che agisce in revocatoria si restringe alla dimostrazione della variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio del debitore senza estendersi a quella dell’entità e natura del patrimonio stesso dopo l’atto di disposizione, non trovandosi il creditore nelle condizioni di valutarne compiutamente le caratteristiche.
La prova è libera nel senso che può essere fornita con ogni mezzo, non escluse le presunzioni.
È, invece, onere del debitore che voglia sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria provare che, nonostante l’atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà (cfr. Cass. civ., del 6 maggio 1998, n. 4578).
Evenienza da escludersi nella fattispecie in esame: sebbene gli appellanti abbiano allegato l’esistenza di altri beni su cui la parte creditrice potrebbe agire in via esecutiva, il Giudice di prime cure ha ben motivato con riferimento ai singoli beni esistenti nel patrimonio del debitore (cfr. pag 4 e 5 della sentenza impugnata con riferimento ai diversi beni mobili registrati intestati a ), escludendo che per qualità e valore siano idonei al soddisfacimento delle ragioni creditorie, sulla base di argomenti che gli appellanti non hanno aggredito con argomenti atti ad incrinare e superare l’iter -logico giuridico posto a fondamento della decisione.
Laddove, poi, gli appellanti riferiscono di liquidità sufficienti ad estinguere il debito, sì da rendere non necessaria una eventuale esecuzione immobiliare a seguito di revocatoria, trattasi di circostanza solo dedotta ma non provata e che, inoltre, non escluderebbe l’ eventus damni , considerata la maggiore ‘volatilità’ del denaro rispetto ai beni immobili.
Né tanto meno assume rilevanza, ai fini della domanda revocatoria, l’inesistenza di un preventivo infruttuoso tentativo di esecuzione diversa da quella immobiliare come prospettato da parte appellante, non essendo questa una condizione della domanda ex art. 2901 c.c., la cui finalità è proprio quella di consentire, in caso di inadempimento spontaneo del debitore, la possibilità per il creditore di soddisfarsi in via esecutiva sui beni nelle more sottratti alla sua garanzia patrimoniale.
Va, pertanto, confermata la valutazione del primo giudice circa la ricorrenza dell’ eventus damni , essendo residuati nel patrimonio del debitore pochi beni mobili di valore minimo e, per loro vetustà, di incerto realizzo in caso di espropriazione forzata.
Nel pervenire a tale soluzione il giudice di prime cure ha aderito all’interpretazione accreditata in giurisprudenza secondo cui, per la ricorrenza del prefato requisito, non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, potendo assumere rilievo modifiche peggiorative del patrimonio non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche sotto quello qualitativo, tali -queste ultime -da rendere più incerta o più difficile la soddisfazione coattiva del credito.
In conclusione, l’appello va integralmente respinto.
La soccombenza degli appellanti ne comporta la condanna, in solido, alle spese del presente grado in favore dell’appellato, che si liquidano come in dispositivo, sulla base parametrica degli importi di cui al D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod., tenuto conto del valore della causa (valore del credito per il quale si agisce in revocatoria: scaglione da € 5.201,00 ad € 26.000,00) e delle fasi in cui l’attività processuale è stata effettivamente svolta ( studio, introduttiva e decisoria).
Essendo stato rigettato l’appello, deve darsi atto del ricorso dei presupposti di cui al l’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (comma inserito dall’ art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ed applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di tale legge) per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente giudizio, a carico degli appellanti, in solido.
P.Q.M .
La Corte d’appello di Napoli, 2^ sezione civile, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, sull’appello proposto da e avverso la sentenza n. 130/2020 del Tribunale di Napoli, pubblicata il 16.11.2020 e notificata l’8.12.2020, così definitivamente provvede:
Rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
Condanna gli appellanti, in solido fra loro, alla refusione delle spese di lite relative al presente grado in favore dell’appellato che liquida, nel complessivo importo di € 3966,00 per compenso professionale, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario;
Dà atto del ricorso dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente giudizio, a carico degli appellanti, in solido tra loro.
Così deciso in Napoli, li 5.11.2025
Il Presidente est.
AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME
Sentenza redatta con la collaborazione della dott.ssa NOME COGNOMECOGNOME Magistrato Ordinario in Tirocinio