Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25448 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29026/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende;
nonché contro
CURATELA FALLIMENTO VERAT F.LLI NOME E RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore fallimentare NOME COGNOME e del socio illimitatamente responsabile NOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in TRAPANI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
nonché contro
SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1614/2022 depositata il 29/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE aveva instaurato una serie di rapporti bancari con la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (già Banca Nuova S.p.A.), garantiti da fideiussioni rilasciate -secondo quanto sostenuto dall’istituto di credito(anche) dai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME per un importo complessivo di oltre € 2.200.000,00.
A fronte del mancato adempimento delle obbligazioni, la RAGIONE_SOCIALE otteneva due decreti ingiuntivi esecutivi nel 2013 per un credito totale di oltre € 370.000,00.
Nelle more, con atto notarile del 24.05.2010, i coniugi NOME e NOME costituivano fondo patrimoniale su immobili di loro proprietà.
In data 9.5.2014, interveniva la dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile NOME COGNOME.
Nel 2015, la Banca proponeva domanda di inefficacia ex art. 2901 c.c. del l’atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato dai coniugi NOMECOGNOME
Nel 2017 interveniva nel giudizio anche la Curatela del fallimento di NOME COGNOME facendo proprie le domande dell’istituto di credito.
Nel corso del giudizio la NOME proponeva querela di falso avverso la sottoscrizione della fideiussione rilasciata nel 2009, sulla quale si fondava il credito azionato nei suoi confronti, assumendone il carattere apocrifo.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza non definitiva n. 2334/2019, ne accertava la falsità.
Con sentenza n. 868/2018 il Tribunale di Trapani: dichiarava il difetto di legittimazione attiva della Banca nei confronti di NOME COGNOME, già dichiarato fallito; accoglieva la domanda revocatoria proposta dalla Curatela, dichiarando l’inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale; quanto a NOME COGNOME riteneva incontestata la sua qualità di debitrice, in forza di decreto ingiuntivo divenuto definitivo, ancorché fondato sulla fideiussione successivamente dichiarata falsa (con pronuncia non ancora passata in giudicato), riservando comunque all’interessata la possibilità di proporre eventuale azione di revocazione straordinaria ai sensi dell’art. 395, n. 2, c.p.c.
Con sentenza n. 1614/2022 la Corte d’ Appello di Palermo rigettava l’impugnazione, affermando che: l’azione revocatoria può essere promossa dal creditore individuale anche nei confronti di soggetto già dichiarato fallito, salva la concorrenza con l’azione revocatoria esercitata dalla Curatela; non sussiste incompatibilità tra l’azione revocatoria individuale e la disciplina concorsuale di cui all’art. 52 l. fall.; l’intervento della Curatela nel giudizio ha sanato ogni eventuale vizio di legittimazione attiva originaria della Banca; la definitività del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti di NOME COGNOME escludeva la possibilità di sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., anche in presenza di querela di falso ancora pendente.
La Corte confermava pertanto integralmente la sentenza di primo grado, disattendendo tutte le censure formulate dagli appellanti.
Avverso la suindicata sentenza della corte di merito la COGNOME e l’ COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resistono con separati controricorsi sia la CURATELA DEL FALLIMENTO ‘VERAT FRAGIONE_SOCIALELLI NOME RAGIONE_SOCIALE‘ e del socio illimitatamente responsabile NOME che la società RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE)
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2903 c.c., nonché degli artt. 66, 67 e 69bis della legge fallimentare, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto ammissibile l’azione revocatoria proposta da Banca Nuova S.p.A. nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento del debitore.
Espongono che la Banca aveva introdotto, nel 2015, un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. avverso l’atto di costituzione di fondo
patrimoniale stipulato nel 2010 dai coniugi COGNOME e COGNOME ma che tale iniziativa era divenuta inammissibile per effetto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento di NOME COGNOME, intervenuta il 9 maggio 2014. In forza dell’art. 66 l.f., l’azione revocatoria ordinaria, dopo la dichiarazione di fallimento, può essere esercitata esclusivamente dal curatore fallimentare, con la conseguente carenza di legittimazione attiva in capo al creditore individuale.
Sottolineano che il successivo intervento nel giudizio da parte della Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, avvenuto solo il 7 dicembre 2017, non avrebbe potuto sanare il vizio originario della domanda, né configurarsi come mera prosecuzione dell’azione intrapresa dalla Banca. L’azione del curatore, in quanto fondata su distinta legittimazione e diversa posizione processuale, doveva considerarsi come nuova domanda, da proporre nel rispetto dei termini previsti dall’ordinamento concorsuale.
Rilevano, a tal riguardo, che l’intervento della Curatela era avvenuto: oltre il termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2903 c.c., decorrente dalla data dell’atto dispositivo (24 maggio 2010) e della relativa trascrizione (1° giugno 2010); oltre il termine decadenziale triennale previsto dall’art. 69 -bis l.f., decorrente dalla dichiarazione di fallimento (9 maggio 2014).
Denunciano, pertanto, l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’azione revocatoria della Curatela e idoneo a superare i termini decadenziali e prescrizionali il suo intervento nel giudizio già pendente, sebbene la dichiarazione di fallimento fosse anteriore alla proposizione dell’azione da parte della Banca. Tale impostazione si porrebbe in contrasto con i principi affermati da questa Corte, secondo cui l’azione revocatoria esercitata da un creditore individuale successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore è improponibile ab origine, e il successivo intervento del curatore non può sanare tale vizio
(cfr. Cass., Sez. U., 20 novembre 2018, n. 30416; Cass., 22 dicembre 2021, n. 40745).
Lamentano che la domanda, dunque, doveva ritenersi improponibile ab origine e il successivo intervento della Curatela non poteva sanarla, ma andava considerato come domanda nuova, proposta tardivamente e quindi inammissibile.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.c. in riferimento alla posizione di NOME per l’omessa sospensione del giudizio di revocatoria in attesa della definizione del giudizio di querela di falso promosso da quest’ultima.
La pretesa creditoria della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della ricorrente si fonda infatti su un decreto ingiuntivo divenuto definitivo, emesso in forza di una fideiussione del 2009 che, tuttavia, è stata oggetto di querela di falso, pendente in appello, e che ha già condotto in primo grado alla declaratoria di falsità della sottoscrizione del COGNOME.
Poiché l’eventuale conferma della falsità della fideiussione comporterebbe la proponibilità dell’azione di revocazione straordinaria del decreto ingiuntivo e, di riflesso, l’inesistenza della pretesa creditoria su cui si fonda la domanda revocatoria, sussiste un evidente rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra i due giudizi. Pertanto, si sarebbe dovuto disporre la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c., al fine di evitare il rischio di un conflitto di giudicati.
La Corte d’Appello, non disponendo la sospensione, ha omesso di considerare che la validità della fideiussione -titolo su cui si fonda l’intera azione revocatoria è oggetto di accertamento in un distinto giudizio, con effetti potenzialmente assorbenti. Ne deriva la fondatezza della censura e l’erroneità della sentenza impugnata sotto tale profilo.
Il primo motivo è infondato.
Come correttamente affermato dalla Corte d’Appello di Palermo, l’azione revocatoria ordinaria proposta da Banca Nuova S.p.A. (oggi S.G.A. S.p.A.RAGIONE_SOCIALE resta ammissibile anche se promossa dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Infatti, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione -confermato anche dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 29420 e 29421 del 2008 -il fallimento non determina automaticamente la perdita della legittimazione del singolo creditore ad agire in revocatoria. Tale legittimazione permane finché il curatore fallimentare non esercita egli stesso l’azione. L’azione revocatoria ordinaria può essere validamente proseguita dal singolo creditore, anche dopo il fallimento del debitore, in quanto la sopravvenuta legittimazione del curatore non ha carattere esclusivo e non determina l’improseguibilità dell’azione individuale.
Pertanto, in caso di sopravvenuto fallimento del debitore dopo la sentenza di primo grado e di mancata costituzione del curatore nel giudizio d’appello, il creditore può, comunque, ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale e soddisfare il proprio credito mediante l’espropriazione forzata del bene oggetto della pronuncia.
Se il curatore resta inerte, il creditore conserva il diritto di proporre l’azione revocatoria in via autonoma (cfr. Cass. nn. 11763/2006, 29112/2007, 8984/2011; Cass. 5272/2008; Cass. 21810/2015; Cass. 29112/2017).
L’art. 66 L. Fall. riconosce al curatore la facoltà di promuovere l’azione revocatoria ordinaria, ma non esclude la concorrente legittimazione del creditore individuale, in assenza di una norma che attribuisca carattere esclusivo all’azione del curatore, come invece avviene in ipotesi tipiche (art. 2394-bis c.c.).
5.1.1. Quanto alla doglianza relativa alla pretesa prescrizione dell’azione esercitata dalla curatela fallimentare con l’intervento del 2017, essa risulta infondata, in quanto l’intervento si è innestato su
un’azione tempestivamente proposta dal creditore individuale nel 2015, con conseguente effetto interruttivo del termine prescrizionale (Cass. n. 10921/2002; Cass. 13862/2020). In ogni caso, l’eccezione è da ritenersi tardiva, in quanto non sollevata nelle prime difese utili ex art. 167 c.p.c.
Deve inoltre richiamarsi l’ulteriore principio per cui, una volta che il curatore dichiari di subentrare nell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 66 L. Fall., l’interesse ad agire del creditore originario viene meno, e la domanda da lui proposta diviene improcedibile (Cass., Sez. Un., n. 29420/2008), ma ciò non incide sull’ammissibilità iniziale della stessa. Ne consegue la correttezza della decisione della Corte territoriale nel ritenere ammissibile la revocatoria proposta da Banca Nuova S.p.A. e nel rigettare l’eccezione di decadenza e/o prescrizione sollevata nei confronti dell’intervento della curatela.
5.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Non ricorrono, nella fattispecie in esame, i presupposti per la sospensione necessaria del giudizio di revocatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la sospensione necessaria del processo è configurabile solo quando tra due giudizi pendenti vi sia un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico, tale che la decisione della causa pregiudiziale incida con efficacia di giudicato sull’altra, rendendone logicamente o giuridicamente impossibile la prosecuzione ( ex multis , Cass. 12710/2010; Cass. 8562/2009).
Nel caso di specie, sebbene la querela di falso proposta da NOME investa la validità della fideiussione posta a fondamento del decreto ingiuntivo azionato da S.GRAGIONE_SOCIALE, tale rapporto non determina un vincolo di necessaria pregiudizialità rispetto al giudizio di revocatoria.
Difatti, il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo per mancata opposizione, e la proposizione della querela di falso -pur
potenzialmente idonea a fondare una successiva revocazione straordinaria ai sensi dell’art. 395, n. 2, c.p.c. non incide attualmente sulla validità del titolo esecutivo, né paralizza l’efficacia probatoria del credito azionato nel presente giudizio. La pendenza della querela di falso, dunque, non determina alcuna sospensione automatica del giudizio, non comportando un pregiudizio attuale e necessario ai fini della decisione sulla revocatoria.
Del resto, la stessa natura del giudizio di revocatoria -che ha ad oggetto la verifica dell’effetto pregiudizievole dell’atto dispositivo rispetto ad un credito, a prescindere dalla sua definitiva esigibilità in via esecutiva -consente al giudice di valutare la sussistenza del credito anche in base a presunzioni o indizi, fermo restando che l’eventuale venir meno del titolo potrà giustificare una diversa iniziativa processuale.
Ne consegue che, correttamente, la Corte d’Appello ha escluso la sospensione del giudizio, e la doglianza sul punto deve essere rigettata.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo
a favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 28 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME