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Azione revocatoria: creditore può agire dopo fallimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione revocatoria avviata da un creditore individuale rimane valida anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. La legittimazione del creditore coesiste con quella del curatore fallimentare, finché quest’ultimo non subentra nell’azione. Inoltre, la pendenza di una querela di falso sulla garanzia a fondamento del credito non comporta la sospensione necessaria del giudizio revocatorio, se il titolo di credito è divenuto definitivo.

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Azione Revocatoria e Fallimento: Il Creditore Può Ancora Agire?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per la tutela del credito: cosa succede a un’azione revocatoria quando il debitore viene dichiarato fallito? Molti credono che, con il fallimento, il singolo creditore perda il potere di agire, lasciando ogni iniziativa al curatore. La Suprema Corte, tuttavia, chiarisce i confini della legittimazione ad agire, offrendo spunti fondamentali sia per i creditori che per i debitori.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una serie di rapporti bancari tra una società e un istituto di credito, garantiti da fideiussioni personali rilasciate da due coniugi. A fronte dell’inadempimento, la banca otteneva decreti ingiuntivi per un credito consistente. Nel frattempo, i coniugi avevano costituito un fondo patrimoniale, vincolando alcuni immobili di loro proprietà.

Successivamente, la società e uno dei coniugi fideiussori venivano dichiarati falliti. Nonostante ciò, la banca decideva di avviare un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace nei suoi confronti l’atto di costituzione del fondo patrimoniale. Durante il giudizio, interveniva anche la Curatela fallimentare, facendo proprie le domande della banca. Parallelamente, l’altro coniuge fideiussore contestava la validità della propria firma sulla fideiussione attraverso una querela di falso.

I debitori sostenevano che la banca avesse perso la legittimazione ad agire a seguito della dichiarazione di fallimento e che il giudizio dovesse essere sospeso in attesa della decisione sulla querela di falso. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano queste tesi, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Azione Revocatoria del Creditore dopo il Fallimento

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla presunta inammissibilità dell’azione revocatoria promossa dal singolo creditore dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Secondo i ricorrenti, l’art. 66 della Legge Fallimentare attribuisce tale potere in via esclusiva al curatore.

La Corte di Cassazione ha rigettato questa interpretazione, confermando un orientamento ormai consolidato. Il fallimento non determina una perdita automatica della legittimazione attiva del singolo creditore. Al contrario, si crea una concorrenza di legittimazione tra il creditore e il curatore. Il creditore può iniziare e proseguire l’azione finché il curatore non decide di esercitare egli stesso tale potere, subentrando nel processo.

L’intervento della Curatela, avvenuto in un secondo momento, non rende quindi inammissibile la domanda originaria della banca. Esso si innesta su un’azione validamente proposta, con l’effetto di proseguirla nell’interesse della massa dei creditori.

La Richiesta di Sospensione per Querela di Falso

Il secondo motivo di ricorso riguardava la mancata sospensione del giudizio di revocatoria, richiesta in attesa della definizione del procedimento di querela di falso sulla fideiussione. Secondo i debitori, l’eventuale accertamento della falsità della firma avrebbe fatto crollare il fondamento stesso del credito e, di conseguenza, dell’azione revocatoria.

Anche su questo punto, la Suprema Corte ha dato torto ai ricorrenti. La sospensione necessaria del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., si applica solo quando la decisione di una causa dipende con efficacia di giudicato da quella di un’altra. In questo caso, il credito della banca era fondato su un decreto ingiuntivo divenuto definitivo per mancata opposizione. La pendenza della querela di falso non incide sulla validità attuale del titolo esecutivo, ma potrebbe, al massimo, fondare una successiva azione di revocazione straordinaria del decreto stesso (art. 395, n. 2, c.p.c.).

In altre parole, la querela di falso non paralizza l’efficacia del credito nel giudizio revocatorio, che può basarsi anche su presunzioni o indizi, a prescindere dalla definitiva esigibilità del credito.

Le Motivazioni della Cassazione

La decisione della Corte si fonda su due principi cardine.

Primo, il principio della legittimazione concorrente. La Corte, richiamando anche le Sezioni Unite, ribadisce che l’azione revocatoria ordinaria è uno strumento di tutela del singolo creditore che non viene meno con il fallimento. La procedura concorsuale introduce una nuova legittimazione, quella del curatore, che si affianca a quella individuale senza sopprimerla. Solo l’inerzia del curatore consente al creditore di proseguire autonomamente; se il curatore interviene, l’interesse del singolo cede il passo a quello della massa, e la sua domanda diventa improcedibile, ma ciò non invalida l’iniziativa originaria.

Secondo, il principio di autonomia dei giudizi. La Corte ha sottolineato che non esiste un rapporto di pregiudizialità tecnica e necessaria tra il giudizio di querela di falso e quello di revocatoria. Il decreto ingiuntivo definitivo costituisce un titolo valido ed efficace fino a un suo eventuale annullamento tramite strumenti specifici. Il giudice della revocatoria non è quindi tenuto ad attendere l’esito della querela per decidere sulla sussistenza del pregiudizio arrecato ai creditori dall’atto di disposizione patrimoniale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la posizione dei creditori, chiarendo che la dichiarazione di fallimento del debitore non è un ostacolo insormontabile per l’esercizio dell’azione revocatoria. I creditori mantengono la possibilità di agire per tutelare le proprie ragioni, anche se il debitore è insolvente. Inoltre, la decisione ribadisce che le strategie difensive basate sulla contestazione di documenti (come la querela di falso) non hanno un effetto sospensivo automatico su altre azioni legali, specialmente quando il credito è già stato accertato con un provvedimento definitivo. Questa pronuncia offre quindi una guida chiara sulla gestione delle tutele creditorie in scenari complessi di crisi d’impresa.

Un creditore può iniziare un’azione revocatoria dopo che il suo debitore è stato dichiarato fallito?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il fallimento non determina la perdita automatica della legittimazione del singolo creditore a promuovere l’azione revocatoria. La sua legittimazione concorre con quella del curatore fallimentare, almeno finché quest’ultimo non decide di agire.

L’intervento del curatore fallimentare in una causa revocatoria sana l’eventuale inammissibilità della domanda originaria del creditore?
La domanda del creditore, se promossa anche dopo il fallimento, è considerata ammissibile fin dall’inizio. L’intervento del curatore non ‘sana’ un vizio inesistente, ma si innesta su un’azione già validamente pendente per proseguirla nell’interesse della massa dei creditori.

La pendenza di una querela di falso contro una fideiussione obbliga il giudice a sospendere un’azione revocatoria basata su tale garanzia?
No. Se il credito è fondato su un titolo esecutivo divenuto definitivo (come un decreto ingiuntivo non opposto), la pendenza di una querela di falso sulla garanzia sottostante non comporta la sospensione necessaria del giudizio revocatorio. L’eventuale accertamento della falsità potrà, al più, essere usato per impugnare in via straordinaria il titolo esecutivo, ma non paralizza l’azione revocatoria in corso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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