Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17476 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17476 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
legittimazione dell’azione revocatoria, la circostanza che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto la pendenza del giudizio di accertamento del credito vantato dalle originarie società attrici, non avvedendosi che il Tribunale di Ancona, con la sentenza n. 156 del 2020, aveva declinato la propria competenza in favore degli arbitri, non esclude il presupposto su cui poggia l’azione revocatoria , ossia il credito anche solo eventuale da tutelare vantato dalle originarie società attrici, e, soprattutto, non consente di affermare che, non pendendo (più) il giudizio dinanzi al Tribunale delle imprese di Ancona, potesse dichiararsi cessata la materia del contendere.
Con il terzo motivo, denunziando la ‹‹ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: omessa pronuncia su questioni decisive, mancanza della motivazione ›› , le ricorrenti addebitano alla Corte d’appello di avere omesso di esaminare e valutare ‘sia la domanda di riforma della sentenza di primo grado con statuizione di cessazione della materia del contendere per la sopravvenuta estinzione del bene oggetto del contratto di mantenimento, sia la domanda di rigetto dell’azione revocatoria in mancanza di un credito (almeno non manifestamente pretestuoso) da presidiare con la revocatoria’.
Rimarcano che la mancanza della qualità di creditrici in capo alle attrici non è stata valutata, come pure non sono stati presi in considerazione gli effetti prodotti dalla sentenza n. 156/2020 del
Tribunale delle Imprese di Ancona, passata in giudicato; che è stata parimenti trascurata la censura mossa alla sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva pronunciato la cessazione della materia del contendere anche in relazione al contratto di mantenimento, per essere venuto meno il bene (la quota della RAGIONE_SOCIALE) che ne costituiva l’oggetto.
Il motivo è infondato.
Al di là del riferimento in rubrica all’articolo 112 cod. proc. civ., erroneamente svolto in relazione al numero 3 e non al numero 4 dell’articolo 360, primo comma, cod. proc. civ., esso non contiene affatto una censura di omessa pronuncia.
Ad integrare gli estremi di tale vizio è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass., sez. 2, 04/10/2011, n. 20311; Cass., sez. 1, 20/09/2013, n. 21612; Cass., sez. 1, 11/09/2015, n. 17956; Cass., sez. 3, 06/11/2020, n. 24953; Cass., sez. 3, 29/01/2021, n. 2151).
È dunque palese che la censura proposta, volta a lamentare che la Corte d’appello abbia disatteso il motivo di impugnazione con cui si censurava la erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva pronunciato la cessazione della materia del contendere in relazione al contratto di mantenimento del 30 agosto 2013 e si contestava la qualità di creditrici in capo alle società che chiedevano la revoca degli atti dispositivi, non ha nulla a che vedere con il paradigma dell’articolo 112 cod. proc. civ., perché la decisione impugnata, adottata in contrasto con la tesi censoria fatta valere dalle odierne ricorrenti, ne ha ritenuto l’infondatezza .
Peraltro, non può sottacersi che la Corte d’appello, nel rigettare il
motivo di gravame, di cui si assume l’omesso esame, ha ben evidenziato che la ragione di credito vantata dalle attrici era di natura risarcitoria e che anche un credito eventuale e litigioso poteva essere posto a fondamento dell’azione revocatoria ( Cass., sez. U, n. 9440/2004, cit.), così da evidenziare anche l’irrilevanza, ai fini del decidere, della delibera di azzeramento della quota oggetto del contratto di mantenimento, considerato che il credito a tutela del quale si agiva in revocatoria aveva natura risarcitoria.
Con il quarto motivo, censurando la sentenza gravata per violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e 118 disp, att. cod. proc. civ., oltre che per omessa, insufficiente, apparente motivazione in relazione alla condanna delle spese di lite, le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe, erroneamente, disposto la compensazione delle spese relative al giudizio di primo grado tra le sorelle NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME, quali beneficiarie del trust , da un lato, e la RAGIONE_SOCIALE all’epoca in bonis , dall’altro, sebbene la loro domanda fosse stata accolta, come pure quelle del giudizio d’appello, pur a fronte del l’accoglimento dell’unico motivo di gravame dalle stesse proposto.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della RAGIONE_SOCIALE è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale -ed insindacabile – del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. , sez. 1, 04/08/2017, n. 19613; Cass., sez. 6- 3, 17/10/2017, n. 24502), con la conseguenza che il giudice di merito non è tenuto a motivare in
ordine alla insussistenza di giusti motivi (Cass., sez. 6 -3, 26/11/2020, n. 26912).
Con il quinto motivo, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, le ricorrenti lamentano che, nonostante il parziale accoglimento del gravame, la Corte d’appello avrebbe dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte degli appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello.
Il motivo è infondato, avendo la sentenza fatto corretta applicazione del meccanismo sanzionatorio del cd. raddoppio del contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1 -quater d.P.R. 30.5.2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, applicabile laddove l’impugnazione si concluda con una pronuncia di rigetto integrale, di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso (Cass., sez. U, 20/02/2020, n. 4315).
Difatti, la Corte d’appello ha respinto il gravame proposto da NOME e NOME COGNOME confermando la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. del contratto di mantenimento, con cui il primo aveva ceduto alla figlia le quote della società RAGIONE_SOCIALE cosicché la odierna ricorrente è risultata soccombente.
6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 16.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione