Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27476/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende con l’avvocato COGNOME NOME, domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrenti – contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME domiciliata ex lege all’indirizzo Pec in atti.
–
contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 690/2022 depositata il 12/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza n. 690 del 12 aprile 2022, con cui la Corte d’Appello di Firenze ha integralmente rigettato l’appello, da loro proposto, avverso la sentenza con cui il Tribunale di Firenze, rigettata la domanda riconvenzionale di dichiarazione di simulazione assoluta della donazione, dichiarava inefficace ex art. 2091 cod. civ. – nei confronti dell’attrice COGNOME NOME, ex moglie di COGNOME NOME NOME l’atto di retrocessione dal COGNOME NOME al padre COGNOME NOME di un immobile oggetto di precedente donazione.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La resistente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritti e dei contratti ex art. 360 n. 3 cpc. in merito all’ammissibilità dell’azione revocatoria -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.’.
Censurano l’impugnata sentenza là dove ha affermato la revocabilità dell’atto dispositivo ‘perché produce l’effetto di far retrocedere il bene immobile che per effetto del decesso dell’usufruttuaria era divenuto nel frattempo di piena proprietà del donatario COGNOME Gilbertoal patrimonio del donante, facendolo ‘uscire’ da quello del donatario e sottraendolo così alla possibile esecuzione forzata dell’attrice’.
Lamentano che la corte di merito avrebbe dovuto prendere in considerazione l’atto di ricognizione di simulazione assoluta della
donazione ed avrebbe pertanto dovuto rigettare l’azione revocatoria, dato che il bene oggetto di donazione non era mai entrato nel patrimonio del debitore COGNOME NOME se non a livello simulato, per cui nessuna diminuzione o alterazione della garanzia patrimoniale e nessun pregiudizio alle ragioni creditorie si sarebbero verificati.
Lamentano, infine, che la corte di merito avrebbe dovuto considerare che il credito, in relazione al quale l’azione revocatoria era stata esperita, doveva ancora essere accertato nel giudizio di divorzio pendente tra COGNOME NOME e COGNOME NOME e, per l’effetto, avrebbe pertanto dovuto o rilevare l’inesistenza dei presupposti dell’azione pauliana oppure, perlomeno, sospendere il giudizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 295 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. I ricorrenti si limitano, anzitutto, a riproporre le censure già svolte in sede di appello e, nel contempo, ignorano la motivazione svolta dall’impugnata sentenza.
Secondo consolidato orientamento di questa Suprema Corte, con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (v. Cass., 24/09/2018, n. 22478).
La censura, infatti, deve essere supportata da una critica concreta delle soluzioni adottate dal giudice di merito, attraverso contestazioni specifiche e puntuali. È necessario un confronto analitico tra le soluzioni giuridiche adottate dal giudice e quelle
proposte nel motivo di ricorso, e non è sufficiente una semplice contrapposizione tra le conclusioni del ricorrente e la motivazione della sentenza impugnata. In assenza di tale approccio critico e comparativo, il motivo di ricorso risulta inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c., impedendo alla Corte di Cassazione di svolgere il proprio ruolo istituzionale di verifica della fondatezza della violazione lamentata (v. di recente Cass., n. 5202/2025).
Con il motivo, così inammissibilmente dedotto, i ricorrenti finiscono per contrapporre una loro diversa ricostruzione dei fatti e della prova, sia sull’oggetto dell’azione revocatoria ex adverso esperita, sia sui presupposti della stessa, finendo sostanzialmente per sollecitare a questa Suprema Corte un sindacato riservato al solo giudice di merito e del tutto estraneo al giudizio di legittimità (v. tra le tante Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., Sez. Un., 25/10/2013, n. 24148; Cass., 23/05/2014, n. 11511; Cass., 13/06/2014, n. 13485).
1.3. L’ulteriore censura, poi, secondo cui l’esistenza di un credito litigioso avrebbe dovuto comportare la sospensione necessaria del giudizio revocatorio è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis cod. proc. civ.
Il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo non offre elementi idonei a far mutare tale orientamento.
Va quindi riaffermato il principio, cui si intende dare continuità, secondo cui ‘Il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, sicché il relativo giudizio non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 cod. proc. civ. in rapporto
alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poiché tale accertamento non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito’ (Cass., 05/02/2019, n. 3369; Cass., 19/02/2020, n. 4212; Cass., Sez. Un., n. 9440/2004).
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano ‘Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 4 e 5 c.p.c. Violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., III c., c.p.c. e dell’art. 24 Cost.’.
Censurano l’impugnata sentenza là dove ha confermato la statuizione con cui il tribunale li ha condannati ai sensi e per gli effetti dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. e rilevano di essersi soltanto difesi in giudizio, senza alcuna malafede processuale.
2.1. Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti si limitano a riproporre la loro tesi difensiva in maniera oppositiva e contrapposta alla motivata decisione della corte d’appello.
Inoltre, posto che questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che lo scopo dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. – applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza e che configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, cod. proc. civ., e con queste cumulabile – è quello di sanzionare l’aver abusato dello strumento processuale e, dunque, di sanzionare una condotta che sia -oggettivamentevalutabile alla stregua di ‘abuso del processo’, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente ( v. Cass., 24/09/2020, n. 20018;
Cass. Sez. Un., 16/09/2021, n. 25041; Cass., 04/08 2021, n. 22208; Cass., Sez. Un., 20/04/2018, n. 9912), l’impugnata sentenza -là dove rileva che ‘le ragioni della condanna disposta dal Giudice di primo grado sono specifiche, ossia: assoluta inconsistenza delle argomentazioni dei convenuti, formulazione di difese coincidenti per il tramite di distinti difensori e il carattere dilatorio della resistenza in giudizio; avverso tali motivazioni gli appellanti non hanno contrapposto adeguate censure, richiamando giurisprudenza di merito superata dalle più recenti pronunce di legittimità’ -ha motivato in scrupolosa applicazione al suindicato principio di diritto.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano ‘Art. 360 co. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione dell’art. 136 comma 2 d.p.r. 115/2002) i presupposti di legge per la revoca dell’ammissione del patrocinio a spese dello stato’.
Lamentano che erroneamente la Corte d’Appello di Firenze ha affermato che, nella loro qualità di appellanti, non avrebbero potuto impugnare con l’atto di appello la pronuncia di primo grado che revocava l’ammissione al gratuito patrocinio.
3.1. Il motivo è infondato.
Si fonda, oltre che sulla proposizione di difese puramente fattuali che non possono essere oggetto di sindacato di legittimità, su un arresto, espressamente richiamato (Cass., n. 7191/2016), che è rimasto isolato a fronte del prevalente orientamento di legittimità, cui si intende qui dare continuità, secondo cui il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio è, sempre e soltanto, opponibile con lo speciale procedimento dell’art. 170 d.p.r. 115/2002, sia se disposto con separato decreto, sia se emesso con la sentenza che definisce il giudizio (v. Cass., 03/06/2020, n. 10487; Cass., 28/07/2020, n. n.16117; Cass., 06/12/2017, n. 29228).
Con l’impugnata sentenza, quindi, la corte di merito si è
correttamente pronunciata in puntuale applicazione del suindicato principio di diritto.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza