Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19099 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19099 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15895/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difeao dall’avvocato NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2607/2023 depositata il 12/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–NOME COGNOME ha lavorato alle dipendenze di NOME COGNOME per diversi anni.
Alla fine del rapporto di lavoro, la COGNOME ha rivendicato differenze retributive e contributi previdenziali, fino a quel momento omessi. Ha dunque ottenuto una sentenza, dal giudice del lavoro, che ha riconosciuto il diritto ad una somma di 127.229,60 euro.
–NOME COGNOME, datrice di lavoro, ha nel frattempo, alienato un suo bene immobile a NOME COGNOME ed ha in tal modo indotto la COGNOME ad agire in giudizio per ottenere la revocatoria e dunque la dichiarazione di inefficacia dell’atto.
-La convenuta si è costituita, ed, oltre a contestare nel merito la domanda, ha chiesto la sospensione del giudizio, in attesa della definizione della controversia di lavoro, nella quale ella aveva interposto appello avverso la decisione di primo grado.
-Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda dichiarando inefficace l’atto di vendita. E la decisione è stata confermata dalla Corte di appello.
3 -Ricorrono COGNOME e COGNOME con quattro motivi. La COGNOME si è costituita con controricorso ed ha chiesto il rigetto.
Ragioni della decisione
-I fatti, più precisamente, sono questi: nel 2008 la dipendente presenta dimissioni e rivendica differenze retributive, per vie formali. In quello stesso anno, la datrice di lavoro vende l’immobile a suo marito. Poco dopo inizia una causa di lavoro, che si conclude nel 2011 con la sentenza, prima ricordata, con la quale il Tribunale
riconosce alla dipendente il diritto alle differenze retributive. La sentenza viene impugnata, ma sia l’appello che il ricorso per cassazione vengono rigettati. E dunque, il credito di lavoro diventa giudicato.
1.1 -Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 132 c.p.c. e dunque nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione.
Secondo i ricorrenti la motivazione non tanto e non solo è carente nel contenuto quanto nella stessa esistenza grafica: i giudici di appello si sarebbero limitati a dire in modo assertivo che l’attrice aveva un credito che giustificava la revocatoria.
Ma senza dare conto di tale asserzione. Né la motivazione può consistere nell’accenno alla situazione controversa del credito, che tale non era, avendo la ricorrente sempre contestato di essere debitrice.
Il motivo è infondato.
La stessa ricorrente ripercorre la giurisprudenza di questa Corte sulla questione della motivazione sufficiente, la quale, come è noto, è tale ove si possano comunque ricavare le ragioni in base alle quali è presa la decisione.
A pagina 13 della sentenza, sia pure in maniera succinta, quelle ragioni emergono: dicono i giudici di appello che il credito litigioso è sufficiente a giustificare una revocatoria, e che dunque anche se il credito era contestato e la stessa sentenza che lo aveva riconosciuto era stata impugnata, ciò non impediva all’asserito creditore di poter agire in revocatoria. Dunque, la ratio decidendi è espressa: anche un credito litigioso, e dunque contestato, può giustificare una azione a sua tutela, mediante revocatoria dell’atto del debitore.
2. -Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c.
La tesi è la seguente.
Al momento dell’alienazione (2008) non era ancora sorto alcun credito, poiché la sentenza che lo riconosce è del 2011, e non erano neanche state presentate le dimissioni a quella data, con la conseguenza che non esisteva alcun credito, neanche litigioso al momento dell’atto revocato.
In ultima analisi, secondo i ricorrenti, ‘ non è, dunque, condivisibile la statuizione con la quale la corte d’appello ha ritenuto sussistente un credito solo sul rilievo che in seguito lo stesso sarebbe stato ‘consacrato in crediti esigibili’, laddove invece alcun credito era mai sorto prima ‘.
Il motivo è infondato.
Infatti, il credito sorge con il contratto, non al momento della sua rivendicazione.
E’ principio di diritto che ‘ Nel caso di credito litigioso, comunque idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, per stabilire se esso sia o meno sorto anteriormente all’atto di disposizione del patrimonio è necessario fare riferimento alla data del contratto, ove sia un credito di fonte contrattuale, o a quella dell’illecito, qualora si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito ‘ (Cass. 11121/ 2020).
Poco rileva dunque che nel 2008, anno dell’atto di disposizione, non vi fosse stata ancora alcuna formale rivendicazione del credito. Quel credito, infatti, era sorto con la conclusione dell’accordo, che dava diritto al lavoratore al corrispettivo, o comunque era sorto con l’effettuazione della prestazione. E dunque prima dell’atto di vendita.
3. -Con il terzo motivo si prospetta omesso esame, non di un fatto controverso, ma della documentazione depositata.
Sostengono i ricorrenti che, se il giudice di merito avesse adeguatamente valutato tutti i documenti versati in atti, avrebbe concluso che, al momento delle dimissioni, la lavoratrice non aveva fatto alcuna formale rivendicazione dei suoi crediti.
Ove avesse tenuto conto di tale documentazione la corte di merito avrebbe deciso diversamente.
Il motivo è inammissibile.
Intanto postula un omesso esame di documenti probatori e dunque non già di un fatto. E comunque anche se cosi fosse, non è chiarito quale tale fatto sia, o meglio, quale la sua decisività, vale a dire perché, ove il giudice avesse tenuto conto dei documenti, avrebbe dovuto decidere diversamente, ed in ordine a quale punto.
Ove anche si ipotizzasse che il punto sia quello della insorgenza del credito, vale quanto detto sopra: non conta il momento in cui il credito è rivendicato ma conta il momento di perfezionamento del contratto.
-Con il quarto motivo si prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c.
La censura attiene alla scientia damni .
I ricorrenti sostengono che la corte di merito ha presunto la consapevolezza dell’acquirente dal fatto che la vendita avrebbe arrecato danno al creditore dalla sola e semplice circostanza che l’acquirente era il marito della alienante, nonché debitrice della attrice in revocatoria.
Ed assumono una sorta di violazione delle regole sul procedimento presuntivo.
Il motivo è infondato.
Non contiene alcuna ragione specifica a contestare la ratio decidendi , limitandosi ad asserire che un solo elemento non basta ad indurre una presunzione.
Non adduce ossia alcun elemento dal quale ricavare che la presunzione su cui ha fatto affidamento la Corte di Appello è errata, o vi si è fatto ricorso in modo illegittimo.
La censura deve attingere i criteri di valutazione della presunzione.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente COGNOME, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00 euro, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 16/5/2025