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Azione revocatoria: credito anteriore alla sentenza

La Corte di Cassazione conferma la revoca di una vendita immobiliare tra coniugi. Una ex datrice di lavoro aveva venduto un bene al marito dopo la fine del rapporto con una dipendente, la quale vantava crediti retributivi. La Corte stabilisce che ai fini dell’azione revocatoria, il credito del lavoratore sorge con il rapporto di lavoro e non con la sentenza che lo accerta, rendendo l’atto di vendita posteriore e quindi revocabile.

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Azione Revocatoria: il Credito Esiste Prima della Sentenza che lo Accerta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per la tutela dei creditori: il momento esatto in cui sorge un credito ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria. La decisione chiarisce che, in un rapporto di lavoro, il credito retributivo nasce con lo svolgimento della prestazione e non con la successiva sentenza del giudice. Questa precisazione è fondamentale quando un debitore tenta di spogliarsi dei propri beni per sottrarli alla garanzia del creditore.

I fatti di causa

Una lavoratrice, al termine di un rapporto di lavoro durato diversi anni, agiva in giudizio per ottenere il pagamento di differenze retributive e contributi omessi. Nel corso della causa, la sua ex datrice di lavoro vendeva un immobile di sua proprietà al proprio marito. Ottenuta una sentenza favorevole che le riconosceva un cospicuo credito, la lavoratrice avviava un’altra causa, questa volta per ottenere la dichiarazione di inefficacia di quella vendita immobiliare tramite l’azione revocatoria, sostenendo che fosse stata posta in essere al solo fine di pregiudicare le sue ragioni.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda della lavoratrice. La coppia, soccombente, ricorreva quindi in Cassazione, basando la propria difesa su quattro motivi principali, tra cui la presunta insussistenza del credito al momento della vendita e la mancanza di prova della consapevolezza del danno da parte del marito acquirente.

L’analisi della Corte e l’azione revocatoria

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. L’argomentazione centrale dei ricorrenti era che, al momento della vendita dell’immobile (avvenuta nel 2008), non esisteva ancora un credito certo, poiché la sentenza che lo riconosceva era successiva (del 2011). La Suprema Corte ha smontato questa tesi richiamando un principio consolidato.

Quando nasce il credito ai fini dell’azione revocatoria?

Il punto focale della decisione risiede nell’articolo 2901 del Codice Civile. La Corte ha ribadito che, per i crediti di natura contrattuale, come quelli derivanti da un rapporto di lavoro, il credito sorge al momento della conclusione del contratto o, al più tardi, con l’esecuzione della prestazione lavorativa. Non è necessario attendere la rivendicazione formale o l’accertamento giudiziale. Di conseguenza, il credito della lavoratrice era già sorto, sebbene ancora “litigioso”, ben prima dell’atto di vendita del 2008. Questo lo qualifica come credito anteriore, rendendo l’azione revocatoria più agevole per il creditore.

La consapevolezza del danno (‘scientia damni’)

Un altro motivo di ricorso riguardava la cosiddetta scientia damni, ossia la consapevolezza da parte dell’acquirente (il marito) del pregiudizio che l’atto arrecava alla creditrice. I ricorrenti lamentavano che i giudici avessero presunto tale consapevolezza basandosi unicamente sul rapporto di coniugio tra venditrice e acquirente. La Cassazione ha ritenuto infondata anche questa censura, spiegando che la presunzione è un mezzo di prova valido. In assenza di elementi concreti forniti dai ricorrenti per smentire tale presunzione, la Corte d’Appello ha legittimamente ritenuto che il legame familiare fosse un elemento sufficiente a dimostrare che l’acquirente fosse a conoscenza della situazione debitoria della moglie e del conseguente danno per la creditrice.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara interpretazione dell’articolo 2901 c.c. e della giurisprudenza in materia. In primo luogo, viene stabilito che un credito, anche se litigioso, è sufficiente a legittimare l’azione revocatoria. La ratio decidendi è proteggere la garanzia patrimoniale del creditore fin dal sorgere del suo diritto, non dal momento del suo accertamento formale. In secondo luogo, la Corte afferma che la data di riferimento per stabilire se il credito sia anteriore o posteriore all’atto dispositivo è quella in cui il diritto è sorto (in questo caso, durante il rapporto di lavoro), non quella della sua rivendicazione. Infine, riguardo alla scientia damni, si conferma che il giudice di merito può legittimamente basarsi su presunzioni, come lo stretto rapporto familiare tra le parti dell’atto, per ritenere provata la consapevolezza del pregiudizio.

le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti implicazioni pratiche. Per i creditori, rafforza la tutela, consentendo di agire in revocatoria anche per crediti non ancora accertati da una sentenza, purché sorti anteriormente all’atto dannoso. Per i debitori, costituisce un monito: gli atti di disposizione patrimoniale, specialmente se compiuti a favore di familiari, possono essere facilmente dichiarati inefficaci se si dimostra che sono stati posti in essere per eludere le pretese dei creditori. La decisione sottolinea che il sistema legale offre strumenti efficaci per impedire che il debitore si spogli dei propri beni in modo fraudolento, garantendo che il creditore possa soddisfare le proprie legittime pretese.

Per esercitare l’azione revocatoria, il credito deve essere accertato da una sentenza definitiva?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha chiarito che anche un credito litigioso, cioè un credito contestato e non ancora accertato da una sentenza, è sufficiente per giustificare l’azione revocatoria a tutela delle ragioni del creditore.

In un rapporto di lavoro, da quale momento esiste il credito del dipendente ai fini della revocatoria?
Il credito sorge con la conclusione del contratto di lavoro o con l’esecuzione della prestazione lavorativa, non al momento della richiesta formale di pagamento o della sentenza che lo riconosce. Pertanto, un atto di vendita compiuto dal datore di lavoro dopo l’esecuzione della prestazione è considerato posteriore al sorgere del credito.

Come si può dimostrare che l’acquirente di un bene era consapevole di danneggiare il creditore?
La consapevolezza del danno (scientia damni) può essere provata anche tramite presunzioni. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che lo stretto rapporto di parentela (marito e moglie) tra il venditore-debitore e l’acquirente fosse un elemento sufficiente per presumere che l’acquirente fosse a conoscenza della situazione debitoria e del pregiudizio arrecato al creditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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