Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17479 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
diverso da quello richiesto ( petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato) (Cass., sez. 1, 11/04/2018, n. 9002; Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048).
Il vizio di mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., riguarda, dunque, soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass., sez. 2, 26/01/2021, n.
1616).
A pag. 5 della motivazione della sentenza la Corte territoriale, nell’escludere che il Tribunale avesse violato l’art. 112 cod. proc. civ., ha ben evidenziato che la declaratoria d’inefficacia concerne va esclusivamente l’atto pubblico che contemplava il conferimento dei beni immobili posto in essere da NOME COGNOME a favore della società RAGIONE_SOCIALE, cosicché deve escludersi che i giudici d’appello abbiano pronunciato su u na domanda diversa da quella proposta e che la motivazione sia, sul punto, omessa o carente, risultando anzi chiaramente illustrate le ragioni della decisione.
Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per violazione dell’art. 2901 cod. civ., in punto di sussistenza del requisito soggettivo della azione revocatoria, e deducendo la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 c.p.c. e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., le ricorrenti lamentano che la ricostruzione della vicenda fattuale operata dai giudici di merito non corrisponde alla realtà e che l’atto di conferimento dei beni nella società RAGIONE_SOCIALE precedeva l’insorgenza del credito, rappresentato dal rilascio dei titoli cambiari, unitamente alla somma in contanti ed alla conseguente rinuncia all’esecuzione. Rappresentano che i crediti, per i quali le appellate erano intervenute nell’esecuzione , erano stati estinti a seguito dell’accordo intervenuto tra le parti ed erano stati sostituiti da un’altra obbligazione , consistente nella rinunzia alle azioni esecutive e nel conseguente rilascio di titoli cambiari tra le parti; trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, le originarie parti attrici avrebbero dovuto dimostrare il dolo specifico del debitore, nonché la complicità del terzo, ma tale prova non era stata offerta e neppure era stata dimostrata l’eventuale conoscenza in capo al terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori.
Con il terzo motivo le ricorrenti denunziano la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2901 cod. civ. in punto di sussistenza del requisito oggettivo dell’azione revocatoria e contestano alla Corte d’appello di avere sostenuto che la presenza nell’esecuzion e immobiliare di un creditore ipotecario (RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE), che vantava un credito tale da coprire l’intero valore degli immobili stessi, non escludesse l’ eventus damni ; sostengono che l’atto di conferimento di beni immobili non rappresenta, di per sé, un pericolo per la garanzia patrimoniale offerta dal debitore, in quanto quest’ultimo, dopo l’atto dispositivo, era rimasto titolare delle proprie quote, che rappresentavano il 50 per cento degli immobili, suscettibili di azioni recuperatorie, e che le controparti non avevano subito un pregiudizio, in quanto non avrebbero potuto ottenere dalla conclusione della procedura esecutiva più di quanto avevano ricavato.
3.1. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, perché sostanzialmente volti a denunciare la mancanza dei presupposti per l’esperibilità della domanda, sono inammissibili.
3.2. Osserva, anzitutto, il Collegio che la motivazione è solo apparente o contraddittoria quando benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione e venga meno alla finalità sua propria, che è quella di ‹‹ esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga con un certo procedimento enunciativo, logico a ‘spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ›› (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232).
La motivazione della impugnata sentenza non rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamati, perché si pone sicuramente al di sopra del ‘minimo costituzionale’ e consente di comprendere le ragioni per cui i giud ici d’appello sono pervenuti al
loro convincimento. Non è, pertanto, configurabile il vizio di cui all’art. 132, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ.
3.3. Inoltre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 cod. proc. civ., mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove (Cass., sez. U, n. 20867 del 2020).
La censura, per come formulata, non risulta dedotta nel rispetto dei criteri indicati dalle Sezioni Unite da ultimo richiamate.
3.4. Pure non si sottraggono alla declaratoria di inammissibilità i restanti profili di doglianza fatti valere con i motivi in esame, perché, nella sostanza, volti a rimettere in discussione il merito della controversia e la valutazione delle risultanze probatorie.
3.4.1. Con specifico riferimento all’elemento oggettivo dell’ eventus damni , la Corte territoriale non si è discostata dall’indirizzo di questa Corte, per cui l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da
assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come eventus damni , atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Cass., sez. 6 – 3, 08/08/2018, n. 20671; Cass., sez. 6 – 3, 12/03/2018, n. 5860; Cass., sez. 3, 25/05/2017, n. 13172, Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892). È stato opportunamente chiarito, del resto, che «condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità» (Cass., sez. 2, 29/03/1999, n. 2971; Cass., n. 11892/16, cit.).
D’altro canto, l’azione revocatoria opera a tutela dell’effettività della responsabilità patrimoniale del debitore, ma non produce effetti recuperatori o restitutori, al patrimonio del medesimo, del bene dismesso, tali da richiederne la libertà e capienza, poiché determina solo l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso. Ne consegue che la presenza di ipoteche sull’immobile trasferito con l’atto oggetto di revoca non esclude, di per sé, un pregiudizio per il creditore (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o
estintive ad opera sia del debitore che di terzi (Cass., sez. 3, 13/08/2015, n. 16793; Cass., n. 11892/16, cit.; Cass., n. 40745/21, cit.). Il che esclude, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, che, ai fini della sussistenza dell’ eventus damni , il creditore che agisca in revocatoria debba dimostrare l’effettiva e concreta probabilità di realizzo del proprio credito sul bene oggetto dell’atto di disposizione
3.4.2. Quanto, poi, alla dedotta insussistenza del requisito soggettivo richiesto d all’art. 2901 cod. civ., va rammentato che, vertendosi in ipotesi di atto a titolo gratuito successivo al sorgere del credito, derivando le ragioni creditorie dal mancato pagamento della fornitura di merci effettuata a favore della società di cui il COGNOME era titolare, correttamente la Corte ha ritenuto sufficiente la consapevolezza in capo al debitore di diminuire il proprio patrimonio, ricavandola sia dal fatto che il COGNOME aveva disposto di tutti i suoi beni, sia dal fatto che l’accordo transattivo raggiunto tra il debitore e le società creditrici, pur a fronte della rinuncia da parte di queste ultime alle azioni esecutive intraprese, non aveva consentito il recupero del credito perché le nuove cambiali (emesse in data 23 settembre 2009), unitamente agli assegni dell’importo di euro 9000,00, non erano state pagate, ma anzi aveva consentito al COGNOME di traferire i suoi beni immobili alla sorella, così rendendoli non aggredibili.
Alla valutazione dei suddetti elementi presuntivi, svolta dal giudice d’appello, le ricorrenti contrappongono una diversa ricostruzione della vicenda fattuale, assumendo la natura novativa dell’accordo raggiunto tra le parti – invero esclusa dalla decisione gravata – dal quale sarebbe derivata l’estinzione del precedente credito, ma, in tal modo, non deducono un vizio di violazione di legge, ma sollecitano un diverso apprezzamento delle medesime circostanze
di fatto, già dedotte nel giudizio di merito e disattese, dovendosi anche ribadire che l’accertamento relativo alla natura ed alla portata dell’accordo transattivo (novativo o meno) integra un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., sez. L, 14/06/2006, n. 13717).
4. Con il quarto motivo, denunciando la violazione dell’art. 2901, terzo comma, cod. civ., nonché degli artt. 115 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., le ricorrenti impugnano la decisione nella parte in cui ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazio ne della norma invocata, che esclude dall’operatività dell’azione revocatoria gli atti dispositivi compiuti dal debitore per adempiere un debito scaduto.
Inammissibile è anche il quarto motivo.
Giova rammentare che l’art. 2901, terzo comma, cod. civ. è interpretato nel senso che la parte che lo invoca deve dare adeguata prova i) della sussistenza di un ‘rapporto di strumentalità necessaria’ tra l’atto dispositivo e la soddisfazione di quel determinato credito; ii) della qualità del debito come ‘scaduto’; iii) che l’atto dispositivo fosse il ‘solo mezzo’ per pagare il creditore (Cass., sez. 6 -3, 09/11/2021, n. 32835; Cass., sez. 6 -3, 07/09/2020, n. 18597; Cass., sez. 3, 28/02/2019, n. 5806; Cass., sez. 3, 20/04/2018, n. 9816).
La Corte territoriale ha disatteso l’assunto delle ricorrenti secondo cui l’atto di cui si chiede la revoca sarebbe stato posto in essere al fine di ottenere una provvista di denaro da utilizzare per pagare i propri debiti, accertando, al riguardo, che ‹‹ non vi è prova del finanziamento che l’appellante allega di avere ottenuto grazie alla liberazione degli immobili pignorati ››, e che, se pure l’avesse ottenuto, ‹‹ non vi è prova che sia stato utilizzato per estinguere il debito nei confronti delle creditrici, che risulta(va) ancora in essere ›› ;
puntualizzando, altresì, che ‹‹spetta a chi eccepisce l’irrevocabilità dell’atto fornire la prova non solo dell’intervenuto pag amento del debito scaduto, ma anche della necessità dell’atto di alienazione quale unico mezzo con cui il debitore, privo di altre risorse, poteva far ricorso per reperire la liquidità occorrente all’adempimento del debito ›› .
Per confutare tale accertamento le ricorrenti sostengono che le conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello sarebbero smentite dalle risultanze processuali, dalle quali sarebbe emersa prova della correlazione tra il conferimento dei beni immobili, già sottoposti ad esecuzione, e l’azione intrapresa per ottenere il finanziamento necessario a soddisfare il maggior numero di creditori, che sarebbero stati effettivamente soddisfatti, tanto che avevano rinunciato alle azioni esecutive. Ma, sul punto, la censura, oltre a non risultare rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., perché si richiamano atti e documenti del giudizio di merito, il cui contenuto non viene riprodotto in giudizio quanto meno nelle parti rilevanti (cfr. Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469), è anche, nella sostanza, volta a sollecitare a questa Corte un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, già valutate dai giudici di appello e disattese con motivazione, sia pure sintetica, congrua e scevra da vizi logici, con la quale si è, al contrario, sottolineato che il debito nei confronti delle creditrici non risultava estinto e che difettava la prova che l’atto dispositivo costituisse l’unico mezzo utile per l’adempimento del debito scaduto.
Ne segue che neppure è ravvisabile il denunciato vizio di cui all’art. 115 cod. proc. civ., avendo i giudici di appello valutato le prove messe a loro disposizione dalle parti.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità,
non avendo le intimate svolto attività difensiva.
Va disposta la condanna delle ricorrenti al solidale pagamento della somma, liquidata come in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al solidale pagamento della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione