Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14104 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14104 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14285/2024 r.g. proposto da:
NOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Bergamo, INDIRIZZO
-ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore dott.ssa NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso dall’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Milano, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
e
MESSINESE COGNOME.
-intimato –
avverso la sentenza, n. cron. 26/2024, della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA depositata in data 08/01/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
15/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 4 luglio 2020, n. 908, il Tribunale di Bergamo accolse la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla quota di metà di proprietà di NOME COGNOME, revocando, ex art. 2901 cod. civ., l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, posto in essere da lei e dal marito NOME COGNOME (con rogito per Notaio COGNOME del 30 gennaio 2014), ed il conseguente conferimento degli immobili meglio specificati in atti.
1.1. Quel giudice: i ) ritenne provata l’esistenza del credito del Fallimento, per indebiti: i-a ) prelevamenti dal conto corrente della società, quando la Abbatecola ne era amministratrice unica (2011-2013); i-b ) utilizzi delle carte di credito prepagate intestate alla società; i-c ) versamenti all’amministratore di fatto NOME COGNOME Tanto per un totale di € 654.997,622; ii ) valorizzò la documentazione bancaria e contabile del Fallimento, attestante i bonifici della convenuta a favore di sé medesima nonché quelli disposti a beneficio dell’amministratore di fatto e l’utilizzo delle carte di credito. Il tutto senza che vi fossero legittime giustificazioni, ritenendo irrilevante che le carte di pagamento e le passwords per l’accesso al conto on line inte stato alla società fossero nella disponibilità del suddetto Visendi, rivestendo l’COGNOME la qualifica di amministratrice di diritto e, pertanto, responsabile ex art. 2476 cod. civ.; iii ) osservò che la prova documentale fosse del tutto sufficiente ad i ntegrare l’ eventus damni e, in particolare, a dimostrare che i coniugi, conferendo volontariamente nel fondo patrimoniale i beni immobili di cui erano comproprietari, fossero certamente consapevoli di pregiudicare le ragioni della società RAGIONE_SOCIALE, facendo venir meno la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 cod. civ. e non ritenendo necessaria, a tal fine, la totale compromissione del soddisfacimento del credito essendo sufficiente che lo stesso fosse reso più incerto o difficile; iv ) rimarcò, infine,
che la convenuta non avesse in alcun modo provato o comunque indicato altri beni di sua proprietà che potessero costituire garanzia patrimoniale a favore del credito allegato dal Fallimento attore.
Il gravame promosso dalla RAGIONE_SOCIALE contro tale decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Brescia, con sentenza dell’ 8 gennaio 2024, n. 26, resa nel contraddittorio con il RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia di NOME COGNOME.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, detta corte opinò essere « pacifico che l’appellante, quale amministratrice di diritto, abbia affidato all’amministratore di fatto ogni attività di gestione del patrimonio sociale, consentendo che lo stesso potesse utilizzare liberamente i conti bancari dell’impresa e le carte di cr edito a essi collegate, per effettuare versamenti a terzi e a sé stesso. Alla stregua di ciò, è del tutto irrilevante che la RAGIONE_SOCIALE non fosse edotta di tali utilizzi, avendone assunto la piena responsabilità ex art. 2476 c.c., come correttamente evidenziato dal primo giudice. La stessa appellante, nelle sue dichiarazioni al curatore in data 1/3/2017 , dopo avere dato conto che tutta l’attività della società era gestita dal Visendi mentre lei si occupava solo delle consulenze per le società clienti, ammette che le operazioni di prelievo e versamento erano effettuate da terzi (punto 5) e che le carte di credito attivate in capo alla società, pur intestate personalmente alla Abbatecola, erano in possesso dello stesso NOME COGNOME, del suo autista NOME COGNOME e del figlio del primo, NOME COGNOME. Ne deriva che ogni operazione che ha condotto agli ammanchi rilevati dal curatore è avvenuta con l’autorizzazione, esplicita o implicita, dell’a mministratrice di diritto che, per sua implicita ammissione, era una mera prestanome. Ne deriva la totale irrilevanza, ai fini del presente procedimento, di accertare chi effettuò in concreto le operazioni di distrazione suindicate, non avendo la RAGIONE_SOCIALE a neppure dedotto che l’amministrazione di fatto in capo ad altri avvenisse contro la sua volontà, essendo peraltro pienamente consapevole e consenziente che altri agivano in suo nome disponendo liberamente dei fondi della società ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME affidandosi ad un motivo. Ha resistito, con controricorso, il RAGIONE_SOCIALE mentre è rimasto solo intimato NOME COGNOME
3.1. È stata formulata, da parte del consigliere delegato, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, la ricorrente ha domandato la decisione della causa. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico formulato motivo, rubricato « Violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 2476 c.c., 2381 c.c. e 216 L.F., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte affermato l’esistenza del credito presupposto dell’azione revocatoria del Fallimento sulla ritenuta, errata, responsabilità dell’amministratore di diritto per presunta distrazione di somme dal conto della società, in assenza della prova da parte della Procedura, cu cui incombeva il relativo onere, della consapevolezza di tale condotta in capo all’amministratore », contesta alla corte territoriale di avere addebitato all’Abbatecola i fatti di distrazione allegati dal Fallimento, di cui alla fattispecie di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ex art. 216 l.fall., n. 1, senza fare corretta applicazione dei criteri di imputazione della relativa responsabilità, sotto il profilo soggettivo, allorquando l’amministratore di diritto non coincida con quello effettivo, come nella fattispecie.
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« L’unico formulato motivo si rivela inammissibile.
Esso, invero, mostra di non avere colto appieno la complessiva ratio decidendi della decisione impugnata, la quale, muovendo dal presupposto che ‘, secondo l’insegnamento della Corte di legittimità, in tema d’azione revocatoria rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore
abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudiz io d’accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori’, ha considerato, poi: i) essere ‘pacifico che l’appellante, quale amminist ratrice di diritto, abbia affidato all’amministratore di fatto ogni attività di gestione del patrimonio sociale, consentendo che lo stesso potesse utilizzare liberamente i conti bancari dell’impresa e le carte di credito a essi collegate, per effettuare versamenti a terzi e a sé stesso. Alla stregua di ciò, è del tutto irrilevante che la RAGIONE_SOCIALE non fosse edotta di tali utilizzi, avendone assunto la piena responsabilità ex art. 2476 c.c., come correttamente evidenziato dal primo giudice’; ii) che ‘La ste ssa appellante, nelle sue dichiarazioni al curatore in data 1/3/2017 , dopo avere dato conto che tutta l’attività della società era gestita dal COGNOME mentre lei si occupava solo delle consulenze per le società clienti, ammette che le operazioni di prelievo e versamento erano effettuate da terzi (punto 5) e che le carte di credito attivate in capo alla società, pur intestate personalmente alla Abbatecola, erano in possesso dello stesso NOME COGNOME, del suo autista NOME COGNOME e del figlio del primo, NOME COGNOME Ne deriva che ogni operazione che ha condotto agli ammanchi rilevati dal curatore è avvenuta con l’autorizzazione, esplicita o implicita, dell’amministratrice di diritto che, per sua implicita ammissione, era una mera prestanome. Ne deriva la totale irrilevanza, ai fini del presente procedimento, di accertare chi effettuò in concreto le operazioni di distrazione suindicate, non avendo la Abbatecola neppure dedotto che l’amministrazione di fatto in capo ad altri avvenisse contro la sua volontà, essendo peraltro pienamente consapevole e consenziente che altri agivano in suo nome disponendo liberamente dei fondi della società’; iii) che, nella specie, «Trattandosi di atto a titolo gratuito, viene in rilievo il solo stato soggettivo della disponente NOME COGNOME e non quello del marito, il cui atto dispositivo non è oggetto di questo procedimento e il cui stato soggettivo quale ‘terzo acquirente’ per il
fondo patrimoniale è irrilevante ex art. 2901, n. 1, c.c. Quanto all’appellante, infatti, alla fondatezza della domanda basta la prova, desumibile anche per presunzioni, della conoscenza del danno che ragionevolmente può derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell’atto, e non può du bitarsi che la stessa, conferendo tutti i suoi beni immobili nel fondo, fosse edotta della circostanza e con riferimento alle ragioni creditorie della società nei suoi confronti, le stesse che l’avevano convinta a: iii -a ) convocare un’assemblea dei soci il 30/11/2013; iii-b) dare le dimissioni il 16/1/2014, per poi procedere immediatamente dopo, il 30/1/2014, alla costituzione del fondo patrimoniale allo scopo di conferirvi i beni. La prossimità temporale degli atti rende irrilevante l’osservazione secondo cui, dagli ultimi bilanci, risulterebbe un ‘attivo sociale’ superiore al passivo, apparendo anzi del tutto verosimile che sia stata la situazione d’allarme generata dagli eventi del dicembre 2013, come descritti dall’app ellante al curatore nel citato verbale e riportati a pagg. 7/8 dell’appello, a determinarla alla costituzione del fondo. Per le stesse ragioni, non condivisibile è l’affermazione secondo cui il credito non esisterebbe, così come che il conferimento in fondo patrimoniale non concreterebbe frode ai creditori, essendo pacifico in giurisprudenza, come richiamata anche dal primo giudice, che esso è atto a titolo gratuito revocabile ‘.
Tanto premesso, la formulata censura mostra di non tenere conto che l’odierno giudizio, intrapreso dal Fallimento , ex art. 2901 cod. civ., al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia della costituzione di un fondo patrimoniale, è volto ad assicurare la conservazione dell’integrità del patrimonio della debitrice, quale garanzia generica delle ragioni del creditore, contro qualunque atto che determini o semplicemente aggravi il pericolo della sua insufficienza. In altri termini, come condivisibilmente sottolineato dalla difesa del controricorrente, ‘il diritto di credito che il Fallimento ha inteso tutelare con l’azione revocatoria consiste in una valida ‘aspettativa’, che non è stata considerata prima facie pretestuosa dai Giudici di merito, con una valutazione dei fatti che non è sindacabile in questa sede di legittimità, in un
contesto nel quale la responsabilità della signora COGNOME nella sua qualità di amministratore unico della società fallita, è risultata provata per tabulas’.
Giova ricordare, dunque, che: i) come ancora recentemente sancito d Cass. n. 28141 del 2023, ‘in tema di azione revocatoria ordinaria, l’art. 2901 c.c., accoglie una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, compresi quelli meramente eventuali; pertanto, ai fini dell’accoglimento di detta azione non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, essendo sufficiente una ragione di credito anche eventuale, e rilevano a tal fine anche i crediti litigiosi o comunque oggetto di contestazioni, purché non manifestamente fondate’; ii) Cass. n. 4212 del 2020, inoltre, ha puntualizzato che non vi è necessità ‘della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito, o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori’.
È palese, infine, che la ricorrente, nel concreto argomentare della sua doglianza, pretende, sostanzialmente, un accertamento di circostanze rilevanti per il giudizio diverso da quello compiuto dai giudici di merito, ai quali, invece, questo accertamento appartiene. Non resta, dunque, che prendere atto di tali accertamenti, di natura chiaramente fattuali (come tali insindacabili in questa sede se non sotto il profilo del vizio motivazionale, qui comunque non prospettato, e, in ogni caso, nei limiti di quanto ancora consente, in relazione a tale tipologia di vizio, dal novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.), rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame mostrano di non considerare che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a
motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, ‘in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’); ii) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018), nella specie, come si è già detto, nemmeno prospettato; iii) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di
merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 16118 e 19423 del 2024) ».
Il Collegio reputa affatto esaustive e condivisibili tali argomentazioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì evidenziando l’assoluta genericità del contenuto della memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. depositata dall’COGNOME, come tale concretamente inidonea ad indurre ad una loro rimeditazione.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi
dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la ricorrente suddetta va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 8.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e la condanna al pagamento, in favore del costituitosi RAGIONE_SOCIALE, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la medesima ricorrente al pagamento della somma di € 8.000 ,00 in favore del menzionato Fallimento, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di NOME COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME