Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19100 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19100 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14140/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO.B INT.1, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE, COGNOMERAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLOdi VENEZIA n. 2805/2022 depositata il 30/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -Il sig. NOME COGNOME ha assistito, nella sua qualità di avvocato, il sig. NOME COGNOME in un arbitrato che quest’ultimo aveva con la società RAGIONE_SOCIALE
L’arbitrato si è concluso con un lodo che ha riconosciuto al COGNOME una certa somma di denaro, oltre 20 mila euro di spese legali direttamente in favore del difensore che le aveva anticipate.
L’Agnello ha poi ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti dei clienti per circa 70 mila euro, somma che costituiva il complessivo ammontare dell’onorario.
-In seguito, però, il Chiesini ha concluso una transazione con la società con la quale era intervenuto l’arbitrato, accollandosi il debito di entrambi verso il difensore, rinunciando ad un sequestro che, a garanzia dei suoi crediti, aveva ottenuto su beni della società e rinunciando altresì alla istanza di fallimento.
Conclusa la transazione, e liberati i beni immobili dalle ipoteche e dal sequestro, la società ha venduto tali beni al sig. NOME COGNOME COGNOME a fronte di un corrispettivo di 290 mila euro.
–COGNOME ha agito in giudizio per ottenere la revocatoria di tutti i precedenti atti dispositivi.
Entrambi i convenuti, sia la società RAGIONE_SOCIALE che l’Udali, si sono costituiti: la società ha opposto che la vendita dei beni
immobili era programmata da tempo, in quanto da alcuni anni vi erano trattative e dunque non era finalizzata ad eludere le ragioni del creditore.
Per contro, l’Udali, che pure ha contestato i presupposti della revocatoria, ha chiesto, in caso di suo accoglimento, la restituzione, da parte della società, dei 290 mila euro pagati a corrispettivo di quei beni immobili.
3. -Il Tribunale di Verona ha dichiarato inefficace, nei confronti dell’attore, l’atto di transazione, mentre ha rigettato la domanda di revocatoria escludendo che vi fosse consapevolezza del danno arrecato al creditore da parte dell’acquirente.
L’avvocato ha proposto appello per ottenere la revocatoria anche dell’atto di vendita, ed il cliente ha riproposto appello incidentale, ossia: nel caso di accoglimento della revocatoria ha chiesto che la società fosse obbligata a restituire il corrispettivo.
La corte d’appello ha parzialmente accolto l’appello ed ha dichiarato l’inefficacia dell’atto di trasferimento.
Ricorre qui l’acquirente del bene, l’COGNOME, con quattro motivi, di cui chiede il rigetto l’COGNOME con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
1. -La ratio della decisione impugnata.
Si discute qui della vendita degli immobili da parte della società RAGIONE_SOCIALEdebitrice dell’Agnello) all’Udali.
I giudici di merito hanno ritenuto che costui fosse consapevole del danno arrecato al creditore attraverso l’acquisto del bene, e ciò in quanto sugli immobili erano iscritti una ipoteca ed un sequestro, sebbene a favore di un creditore diverso da quello che ha agito in revocatoria, segno che quei beni erano comunque vincolati alla garanzia di un qualche creditore.
Hanno ritenuto irrilevante che le parti avessero previsto, nel preliminare, che il definitivo non poteva stipularsi se non previa cancellazione di quei vincoli.
Cosi motivano: ‘ Tuttavia, deve osservarsi, che se tale clausola costituisce una garanzia per il promissario acquirente, non essendo il medesimo vincolato all’acquisto se non in seguito alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, tuttavia la presenza di un’ipoteca ed a maggior ragione di un sequestro giudiziario avrebbero dovuto suscitare in lui un’attenzione particolare, proprio al fine di evitare che il contratto di compravendita, che il medesimo si stava obbligando a concludere, potesse essere lesivo delle ragioni creditorie di qualsiasi creditore, che avesse ottenuto tale provvedimento giudiziale a tutela e garanzia dell’adempimento di un proprio credito ‘.
Inoltre, la corte di merito trae altro elemento a sostegno della consapevolezza nella circostanza che il prezzo era stato ridotto nel giro di poco tempo.
1. -Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 2901 c.c. e 2727 e 2729 c.c.
Secondo il ricorrente la corte di merito avrebbe erroneamente presunto la consapevolezza da parte dell’acquirente, di ledere le ragioni del creditore, dalla circostanza che il bene oggetto di compravendita era gravato da ipoteca e da sequestro conservativo: oneri questi che avrebbero dovuto indurlo a sospettare del fatto che esistevano creditori che avevano vincolato quel bene.
Secondo il ricorrente, tuttavia, la Corte di Appello, pur avendo tenuto in considerazione questi dati, non ne ha apprezzati altri, ed in particolare non ha tenuto conto del fatto che le trattative, in modo formale e serio, erano iniziate ben prima che fossero iscritte ipoteca e sequestro, e dunque non ha tenuto conto che la volontà di acquistare era maturata quando il bene era ancora libero.
In altri termini ‘ la volontà dell’odierno ricorrente di procedere all’acquisto dell’immobile, pertanto, ha avuto origine e impulso in epoca antecedente alla trascrizione pregiudizievole con la correlativa inesistenza della mala fede dello stess o’.
Inoltre, la Corte di merito non avrebbe dato rilievo, o meglio, avrebbe dato il rilievo sbagliato, alla circostanza pure pacifica che le parti si erano impegnate a cancellare i vincoli gravanti sul bene entro la stipula del definitivo. Circostanza che dimostra la volontà di acquistare il bene solo se libero e dunque solo se soddisfatti i creditori che avevano imposto le garanzie sul bene stesso.
2. -Con il secondo motivo si denuncia anche esso violazione degli articoli 2901 c.c. e 2727 e 2729 c.c.
Esso attiene al secondo elemento presuntivo della scientia damni . Come si è accennato prima, la Corte di appello ha ritenuto che l’acquirente era consapevole del danno che arrecava al creditore del venditore per il fatto che durante le trattative il prezzo era stato notevolmente abbassato: fissato in un primo momento a 300 mila euro, era stato poi ridotto, in una seconda trattativa a 280 mila, ed infine definito a 290 mila.
Osserva il ricorrente che ‘ La prova della scientia damni in capo al terzo acquirente non può essere ricavata -attraverso il ragionamento logico seguito dalla Corte di Appello di Venezia -dalla dedotta irrisorietà del prezzo di vendita del bene avendo i documenti in atti (richiamati dalla stessa Corte di Appello) accertato un divario di appena € 20.000,00 ‘.
In conclusione, il ricorrente censura questa ratio decidendi in quanto il ragionamento del giudice di merito appare avere sussunto ‘ erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti i quali, viceversa, non risultino essere rispondenti a quei requisiti ‘.
3. -Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo e controverso.
Assume di avere allegato alcuni elementi che, se presi in considerazione, avrebbero potuto portare ad una decisione opposta, ossia avrebbero condotto ad una diversa conclusione del ragionamento presuntivo.
Ed in particolare, assume di avere allegato (e documentato) che egli aveva acquistato l’immobile: a) solo per mezzo di un incarico dato ad un agente immobiliare; b) incarico non fittizio, ma remunerato; c) avendo comunque corrisposto, come è pacifico, il prezzo di acquisto.
Si tratterebbe di elementi da cui era facilmente desumibile l’assenza di scientia damni , in quanto l’individuazione dell’immobile da acquistare era stata fatta dall’agente immobiliare e non dal ricorrente che dunque non aveva previamente concordato il tutto con il venditore.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono inammissibili.
Il terzo motivo, sebbene prospetti formalmente un omesso esame, è connesso con gli altri due, in quanto l’omissione di cui il ricorrente si duole, riguarda per l’appunto uno degli elementi presuntivi da cui ricavare il fatto ignoto, da cui risalire alla scientia damni.
Ciò premesso, innanzitutto, è regola di giudizio, nel ragionamento presuntivo, che il giudice di merito debba procedere ad un primo vaglio finalizzato a selezionare gli elementi presuntivi utili, cioè gli indizi, i fatti noti che consentono di indurre quello ignoto, ed in tale fase egli non deve trascurare fatti rilevanti da quel punto di vista e dunque giudicare sulla base di alcuni soltanto e non di altri; poi, fatta la selezione degli elementi indiziari, ossia degli elementi che possono indicare il fatto ignoto, deve verificare se, ancorché non aventi valore indiziario ove singolarmente considerati, essi lo abbiano nel loro insieme, ossia considerati in combinazione gli uni con gli altri (Cass. 9059/ 2018; Cass. 27410/ 2019).
Una tale valutazione risulta invero che sia stata fatta dal giudice di merito, il quale ha tenuto conto di ogni elemento utile alla formulazione della ipotesi di giudizio: che l’acquirente potesse o devesse sapere.
Ciò fatto, è altresì principio di diritto quello secondo cui ‘In tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito’. (Cass. 27266/ 2023).
-Con il quarto motivo si prospetta violazione degli articoli 99 c.p.c., 112 c.p.c., 1453 c.c.
Il ricorrente, con appello incidentale, aveva chiesto che, nel caso fosse confermata l’inefficacia del suo acquisto, per effetto della revocatoria, allora gli venisse restituito il prezzo pagato, comprensivo delle spese vive sostenute per la trattativa e la stipula.
La corte d’appello ha ritenuto di dover rigettare la domanda, sul presupposto che questa richiesta, ossia la restituzione di quanto pagato, presupponesse la risoluzione del contratto, che non era mai stata chiesta.
In altri termini, secondo i giudici di merito, ‘ La domanda di restituzione del prezzo non può essere accolta perché la dichiarazione di inefficacia dell’atto non risolve il contratto di compravendita, ma lo rende inefficace per il solo creditore, quindi non può disporsi alcuna restituzione del prezzo non essendo stata richiesta dall’Udali la risoluzione del predetto contratto’.
Il ricorrente contesta questa ratio sostenendo di non aver fatto una domanda di risarcimento avente titolo nella risoluzione, ossia conseguente alla risoluzione, tale da presupporre, per l’appunto,
che il contratto venga risolto, ma di aver fatto una domanda di restituzione di somme in quanto ‘ la corresponsione del prezzo in favore della parte venditrice ….. risulta essere priva di causa e tanto in dipendenza del venir meno del sinallagma contrattuale ‘.
Il motivo è infondato.
Se è vero che la domanda di restituzione non presuppone necessariamente quella di risoluzione e che dunque non si può rigettare la prima dicendo che occorreva proporre necessariamente la seconda, trattandosi di due domande diverse (Cass. 23416/ 2022), è pur vero però che la revocatoria comporta solo l’inefficacia dell’atto verso il terzo: l’atto rimane valido tra le parti.
Se l’acquirente ritiene che tale effetto (ossia il suo acquisto non è opponibile al terzo) costituisca inadempimento, allora ha l’onere di esperire i rimedi conseguenti.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo n favore del controricorrente COGNOME seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 16/5/2025