Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 371 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 371 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27048/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n.1177/2018 depositata l’ 11.6.2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.12.2023
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione dell’11.4.2007 COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Cosenza COGNOME NOME ed i figli dello stesso, COGNOME NOME e COGNOME NOME, sostenendo di essere proprietari di terreni siti in Acri (CS), contrada INDIRIZZO, (in particolare COGNOME NOME delle particelle 341 e 343 del foglio 33 del NCT e COGNOME NOME della particella 7 del foglio 33 del NCT), per averli ricevuti per donazione dai loro genitori, COGNOME NOME e NOME NOME, rispettivamente con atto del notaio NOME COGNOME del 18.9.1967, e con atto del 24.10.1971, terreni che i genitori avevano goduto in via esclusiva coltivandoli ininterrottamente dopo averli acquistati dai signori COGNOME il 15.9.1954 e sui quali era stato posto alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo un vincolo forestale di rimboschimento
Lamentavano i COGNOME che COGNOME NOME nel 2003 aveva effettuato arbitrariamente un frazionamento dei terreni (n.3559/2003), separando dai terreni di COGNOME Gennaro le nuove particelle 545 e 546, e dal terreno di COGNOME NOME la nuova particella 549, per cui gli attori che nulla sapevano di tale frazionamento, si erano ritrovati ad essere intestatari delle nuove particelle 547 e 549 COGNOME NOME, e della nuova particella 523 COGNOME NOME, nuove particelle che avevano una superficie notevolmente ridotta rispetto alle originarie particelle delle quali i
COGNOME erano proprietari per donazione dei loro genitori; che tale riduzione di superficie corrispondeva alle nuove particelle che erano state donate il 2.9.2003 per atto del notaio NOME COGNOME da COGNOME NOME, dichiaratosene proprietario per usucapione, a COGNOME NOME (particelle 546 e 548 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri) ed a COGNOME NOME (particelle 522 e 545 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri).
I COGNOME dichiaravano di avere diritto ed interesse al recupero ed al ripristino di quanto artificiosamente e dolosamente loro sottratto dal vicino confinante COGNOME NOME e chiedevano l’annullamento della donazione del 2.9.2003 relativa a beni non di proprietà del donante con accertamento della loro proprietà esclusiva sul terreno arbitrariamente frazionato, nonché l’annullamento di tale frazionamento e delle conseguenti volture e trascrizioni, o più semplicemente anche la voltura in loro favore delle nuove particelle donate a NOME e COGNOME NOME, nonché il risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano nel giudizio di primo grado i COGNOME che qualificata l’avversa azione come rivendica, ne chiedevano il rigetto, in quanto i COGNOME non avevano fornito prova della riferibilità dei loro titoli di acquisto ai terreni oggetto di causa, né dell’acquisto della proprietà a titolo originario, essendo stati i terreni da sempre pacificamente, pubblicamente ed indisturbatamente posseduti uti dominus da COGNOME NOME, che li aveva poi donati ai figli.
Il Tribunale di Cosenza con la sentenza n. 1799/2014 del 20.10.2014 accertava l’inesistenza del diritto di proprietà di COGNOME NOME sulle particelle occupate da alberi di pino e non coltivabili donate ai figli (particelle 522, 545, 546 e 548 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri) derivate da frazionamento della proprietà dei COGNOME, dichiarava la conseguente nullità dell’atto di donazione del 2.9.2003 e rigettava per difetto di prova la domanda di risarcimento danni avanzata dai COGNOME, e riconosceva la proprietà
esclusiva di quelle particelle in capo ai Bifano sulla base dei titoli di acquisto a titolo derivativo prodotti.
Impugnata la sentenza di primo grado dai COGNOME che lamentavano che il giudice di primo grado pur avendo i COGNOME esercitato un’azione di rivendicazione, riconoscendo che il possesso dei terreni di causa era esercitato dai COGNOME, non avesse richiesto la prova da parte loro dell’acquisto della proprietà a titolo originario (probatio diabolica ) , ritenendo sufficiente la mera sequenza documentata di atti di acquisto a titolo derivativo, peraltro neppure univocamente riferibili ai terreni oggetto di causa, la Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1177/2018 dell’8.5/11.6.2018, rigettava l’appello e condannava i COGNOME al pagamento delle spese di secondo grado in favore dei COGNOME, che avevano contrastato l’impugnazione. Avverso tale sentenza, notificata il 13.6.2018, hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a COGNOME NOME e COGNOME NOME il 12.9.2018, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a due motivi, e resistono COGNOME NOME e COGNOME NOME notificato il 19/23.10.2018.
I soli COGNOME hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. La causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 19.12.2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va premesso che non é applicabile nel giudizio di cassazione l’istituto dell’interruzione per morte della parte, per cui va respinta l’istanza dei COGNOME avanzata nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. di interruzione del giudizio per morte di COGNOME NOME, che insieme ai figli NOME e COGNOME NOME ha proposto il ricorso in Cassazione. Dal momento che la morte di COGNOME NOME segnalata è intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, a contraddittorio già instaurato, va infatti ribadito il principio che ” al
giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo ” (Cass. sez. lav. 29.1.2016 n. 1757; Cass. Sez. 3, n. 8377 del 9/7/1992).
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c..
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello di Catanzaro nel rispondere al loro primo motivo di appello, inerente all’erronea applicazione da parte del Tribunale di Cosenza del principio dell’onere probatorio valevole per l’azione di rivendicazione, abbia erroneamente ritenuto pacifico tra le parti che non fosse stata esercitata un’azione di rivendicazione, in quanto i COGNOME non avevano avanzato alcuna pretesa restitutoria nelle conclusioni (pur avendo i COGNOME indicato a pagina 3 della citazione di avere ‘ pieno diritto ed interesse al recupero ed al ripristino in quanto artificiosamente e dolosamente sottratto dal vicino confinante ‘ riconoscendo il possesso attuale dei COGNOME, e concluso anche per l’accertamento della loro proprietà esclusiva sulle particelle oggetto di causa donate da COGNOME NOME ai figli NOME e NOME NOME), e che si sia conseguentemente pronunciata oltre che sull’annullamento della donazione del 2.9.2003 per inesistenza della proprietà per usucapione del donante COGNOME NOME e quindi dei donatari suoi figli sulle particelle 522, 545, 546 e 548 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri (CS), sulle statuizioni conseguenziali, e sul rigetto della domanda risarcitoria dei COGNOME, solo su un’azione dei medesimi di accertamento negativo della proprietà di quelle particelle, presupponente unicamente la sussistenza di un titolo di legittimazione attiva (individuato nell’atto
di acquisto dei terreni per le donazioni del 18.9.1967 e del 24.10.1971 dai genitori NOME NOME e NOME NOME, che a loro volta avevano acquistato i terreni dai Servidio il 15.9.1954), e non sulla loro azione di rivendicazione, o comunque di accertamento positivo della loro proprietà, azioni richiedenti sotto il profilo probatorio la dimostrazione di un acquisto a titolo originario per usucapione ventennale, e non del solo acquisto a titolo derivativo.
Come riconosciuto recentemente dall’ordinanza n. 33910 del 5.12.2023 della Corte di Cassazione, l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce un’operazione riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento, risolvendosi in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, purché risulti congruamente ed adeguatamente motivato sulla base di una valutazione complessiva degli atti, senza che ne risultino alterati il senso letterale ed il contenuto sostanziale, che trovano espressione nei fatti allegati e nelle ragioni prospettate a sostegno della pretesa avanzata, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (vedi nello stesso senso Cass. sez. lav. 24.7.2012 n.12944; Cass. sez. lav. 9.9.2008 n. 22893; Cass. 30.8.2007 n. 18310 Cass. 16.12.2005, n. 27789; Cass. 20.10.2005, n. 20322). Nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è infatti condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa a quella proposta (Cass. ord. 5.12.2023 n. 33910; Cass. 21.5.2019 n. 13602; Cass. sez. lav. 13.12.2005 n. 27428; Cass. 29.4.2004 n.8225). Nell’individuazione
di tali limiti occorre peraltro tenere conto della diversità dei compiti assegnati rispettivamente al giudice di merito ed a quello di legittimità, e segnatamente della spettanza a quest’ultimo di un’attività di controllo, che non gli consente d’invadere la sfera riservata al primo, se non nella misura in cui lo stesso abbia omesso di fornire qualsiasi interpretazione della domanda o di dare adeguatamente conto delle ragioni del proprio convincimento. E’ in quest’ottica che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di dover distinguere tra l’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’omesso esame di una domanda o la pronuncia su una domanda non proposta, e quella in cui si censuri l’interpretazione della domanda stessa fornita dal giudice di merito. Si è infatti precisato che solo nel primo caso la censura riflette un error in procedendo , e precisamente la violazione dell’art. 112 c.p.c., per difetto della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con il conseguente riconoscimento a questa Corte del potere -dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta, mentre nel secondo caso, essendo in contestazione il contenuto o l’ampiezza della domanda, come individuati dal giudice di merito, ciò che viene in considerazione è la ricostruzione in concreto dell’intento perseguito dalla parte, la quale attiene al momento logico della decisione, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della correttezza della motivazione (Cass. ord. 5.12.2023 n. 3391; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 11.3.2011 n.5876; Cass. sez. lav. 24.7.2008 n. 20373).
Nella medesima prospettiva, è stato chiarito che, ove il giudice di merito abbia motivatamente affermato o escluso che una determinata domanda sia stata avanzata e sia compresa nel thema decidendum , tale statuizione, ancorché erronea, non è censurabile rispettivamente per ultra -petizione o per omessa pronuncia, dal momento che, essendo stata comunque fornita una giustificazione
a sostegno della predetta affermazione, la sussistenza del vizio lamentato non può essere logicamente riconosciuta prima che venga accertata l’erroneità di quella motivazione (Cass. 13.8.2018 n. 20718; Cass. sez. lav. 27.10.2015 n. 21874; Cass. sez. lav. 21.2.2006, n. 3702).
Nel caso di specie i ricorrenti, pur avendo fatto riferimento nella rubrica alla violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c., e quindi alla nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in sostanza si sono lamentati che l’impugnata sentenza abbia qualificato l’azione dei COGNOME come azione di accertamento negativo della proprietà dei COGNOME sulle particelle oggetto di causa con una motivazione errata e non conforme agli atti di causa, omettendo di effettuare una valutazione complessiva degli atti e delle conclusioni precisate dai COGNOME, ed alterando così il senso letterale ed il contenuto sostanziale delle domande da essi avanzate.
Il motivo, così interpretato, risulta fondato, in quanto i COGNOME, che alla pagina 3 dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado avevano indicato che avevano ‘ pieno diritto ed interesse al recupero ed al ripristino di quanto artificiosamente e dolosamente sottratto dal vicino confinante ‘, e che avevano ammesso che al momento dell’introduzione del giudizio i terreni oggetto di causa erano nel possesso dei COGNOME, nelle conclusioni non si erano limitati a chiedere che fosse dichiarato nullo, o comunque annullato l’atto di donazione a rogito del notaio NOME COGNOME col quale il 2.9.2003 COGNOME NOME aveva donato ai figli NOME e COGNOME NOME le particelle 546, 548, 522 e 545 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri dichiarandosene falsamente proprietario per usucapione, ma avevano altresì chiesto che fosse accertata erga omnes la loro proprietà esclusiva di tali terreni, poi riconosciutagli dal Tribunale di Cosenza, confermato dalla Corte
d’Appello di Catanzaro, ed avevano chiesto che i COGNOME fossero condannati al risarcimento dei danni subiti per la sottrazione di quei terreni, pur essendo stata respinta tale domanda per difetto di prova.
La proposizione da parte dei COGNOME di un’autonoma domanda di accertamento della loro proprietà esclusiva delle particelle 546, 548, 522 e 545 del foglio 33 del NCT del Comune di Acri, peraltro contrastata dai COGNOME, che per ammissione degli attori erano nel possesso di quelle particelle al momento dell’introduzione del giudizio e non avevano neppure acquistato i terreni in questione dai COGNOME, é stata totalmente ignorata dall’impugnata sentenza nel compiere la qualificazione dell’azione esercitata dai COGNOME come mera azione di accertamento negativo della proprietà dei COGNOME, in quanto tale non assimilabile all’azione di rivendicazione (che richiede oltre all’accertamento della proprietà anche il recupero del bene non posseduto) sul piano dell’onere probatorio. E’ evidente che se si chiede da parte degli attori di accertare con efficacia di giudicato la proprietà su determinati beni immobili riconoscendo di non esserne in possesso, non si sta esercitando una mera azione di accertamento negativo del diritto altrui su tali beni, ed il titolo di proprietà vantato dagli attori non costituisce un mero titolo di legittimazione all’azione presupposto del thema decidendum , ma diventa esso stesso controverso, rendendo necessario, per l’accoglimento della domanda di accertamento della proprietà esclusiva, fornire la prova di un acquisto della proprietà a titolo originario (tipicamente l’usucapione ventennale) e non solo a titolo derivativo, a meno che non esista un dante causa comune alle parti che fosse in precedenza pacificamente proprietario dei beni (ipotesi che non ricorre nella fattispecie in esame).
E’ stato effettivamente affermato in passato da questa Corte che colui il quale proponga un’azione di mero accertamento della proprietà di un bene non abbia l’onere della ” probatio diabolica “,
ma soltanto quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, quando l’azione non miri alla modifica di uno stato di fatto, bensì unicamente all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito (Cass. 14.4.2005 n. 7777; Cass. 9.6.2000 n. 7894; Cass. 4.12.1997, n. 12300), ma tale orientamento é ormai superato dalle più recenti ed ormai prevalenti pronunce, con le quali si è negata ogni attenuazione dell’onere probatorio del titolo del preteso dominio della proprietà, rispetto all’azione di rivendica, per chi proponga un’azione di accertamento della proprietà di un bene (Cass. ord. 21.11.2023 n. 32264; Cass. ord. 3.8.2022 n. 24050; Cass. n. 1210/2017; Cass. 22.1.2000 n. 696; Cass. n. 1210/2017). Quest’ultima più rigorosa interpretazione trova del resto conforto pure negli argomenti posti dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 28 marzo 2014 n.7305, nel senso di non ammettere alcuna elusione dall’onere della probatio diabolica ogni qual volta sia proposta un’azione, quale appare pure quella di accertamento, che trovi il proprio fondamento comunque nel diritto di proprietà tutelato erga omnes , del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione.
L’accoglimento del primo motivo, comportante la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità, rende superfluo l’esame del secondo motivo di ricorso, col quale in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. é stata lamentata la violazione dell’art. 948 cod. civ. (azione di rivendicazione) e l’insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al fatto che se la Corte d’Appello di Catanzaro avesse correttamente interpretato l’azione esercitata dai COGNOME, come azione di rivendicazione, perché volta al recupero del possesso dei terreni controversi, i COGNOME avrebbero dovuto fornire la cosiddetta probatio diabolica, ossia la prova di una sequenza di atti di acquisto
a titolo derivativo fino all’acquisto a titolo originario dei terreni medesimi.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, che provvederà anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 19.12.2023