Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15342 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15342 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19172-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difesao dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME giusta procura in calce al controricorso
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1360/2020 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 20/04/2020;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 9031 del 18 giugno 2015 rigettava la domanda di riduzione proposta da NOME nei confronti del fratello NOME per l’accertamento della lesione della quota di riserva spettantele sulla successione paterna, per effetto della donazione immobiliare effettuata in vita dal de cuius in favore del convenuto, con atto del 29 agosto 1997, e con dispensa da collazione.
Il Tribunale riteneva che l’attrice non avesse assolto all’onere di specificazione del contenuto della domanda di riduzione, avendo omesso di individuare con precisione i beni facenti parte del relictum ed il loro valore catastale ed avendo altresì omesso di determinare quantitativamente l’entità della lesione subita, i beni mobili caduti in successione ovvero le somme giacenti sul libretto postale intestato al de cuius. Inoltre, non erano stati prodotti titoli di proprietà dei beni dei quali aveva il de cuius disposto con testamento ovvero che erano caduti in successione ab intestato .
Avverso tale sentenza proponeva appello Scirocco Rosa cui resisteva il convenuto.
La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 1360 del 20 aprile 2020 ha accolto il gravame; dopo aver proceduto alla riunione fittizia, ha accertato che la quota di legittima dell’attrice era stata lesa per effetto della donazione, condannando il convenuto al
versamento della somma di € 35.088,65 a titolo di reintegra della quota di legittima, con gli interessi legali dall’apertura della successione.
La sentenza di seconde cure riteneva che, una volta ravvisata l’ammissibilità dell’azione di riduzione indirizzata verso la donazione e rivolta nei confronti di un coerede (il che escludeva la necessità della preventiva accettazione beneficiata), non fosse condivisibile l’esito cui era pervenuto il Tribunale.
Nella citazione risultava chiaramente indicata la donazione aggredita dall’attrice, venendo specificati i diritti immobiliari oggetto della stessa (risultando altresì specificato il titolo in base al quale il bene donato era pervenuto al donante). L’appartenenza del cespite al donante non era stata poi contestata da parte del convenuto, essendo stato posto in discussione solo il valore, che era stato poi accertato a mezzo di CTU.
In citazione erano stati altresì indicati gli altri beni destinati a comporre il relictum , e sulla base di tali allegazioni l’ausiliario di ufficio aveva potuto verificare la titolarità dei beni in capo al defunto genitore.
L’onere di allegazione incombente sul legittimario che agisce in riduzione può essere soddisfatto anche tramite presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, ed in tal senso andava valorizzata la consulenza di parte già allegata alla citazione nella quale erano puntualmente indicati i beni già assegnati ai due germani, il loro valore, onde poter riscontrare la verosimiglianza della denuncia circa l’intervenuta lesione.
Andava quindi esclusa la nullità dell’atto di citazione ed emergeva altresì che non fosse stato menomato il diritto di difesa del convenuto che aveva avuto modo di controdedurre in ordine alle allegazioni di parte attrice.
Una volta quindi esclusa la causa di invalidità della domanda originaria, dalla consulenza tecnica d’ufficio era stato possibile verificare come la donazione avesse effettivamente leso la quota di legittima dell’attrice, che andava reintegrata, alla luce di quanto già ricevuto, con una somma di denaro di importo corrispondente alla lesione riscontrata
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di due motivi.
NOME Rosa resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o errata applicazione degli artt. 556 e 564 c.c., nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, 163, 167 c.p.c.
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello ha inopinatamente riformato la decisione del Tribunale che era invece conforme alla costante giurisprudenza di legittimità che impone che il legittimario, oltre che addurre l’esistenza della lesione, debba altresì individuare i beni costituenti il relictum nonché il donatum , allegando tutti gli elementi utili per stabilire se sia intervenuta la lesione.
L’attrice non aveva adempiuto a tali oneri, in quanto non aveva dimostrato, tramite una visura ipotecaria, che vi fossero altri beni in successione ovvero oggetto di precedenti donazioni.
Né poteva supplirsi a tale originaria lacuna tramite le indagini esperite dal CTU al catasto, essendo invece sempre necessario ricorrere alle indagini preso i registri immobiliari.
Ne deriva che la CTU è stata ammessa al di fuori dei casi previsti dalla legge e con una funzione meramente esplorativa. Non può nemmeno essere invocato il principio di non contestazione, in quanto lo stesso non può supplire all’onere di puntuale allegazione che incombe sulla parte attrice, essendo poi necessario evidenziare che, in assenza di certezza circa la reale consistenza dell’asse, non poteva esigersi alcuna specifica possibilità di contestazione da parte del ricorrente.
Il secondo motivo denuncia la violazione e/o errata applicazione degli artt. 2729, 2697, 1350, 782 e 162 c.c. in quanto la Corte d’Appello ha ritenuto che la prova della lesione potesse essere raggiunta anche facendo ricorso a presunzioni connotate dai requisiti di cui all’art. 2729 c.c., trascurando tuttavia che non erano stati depositati i titoli di provenienza degli immobili caduti in successione né era stata mai acquisita una certificazione relativa alla situazione dei registri immobiliari.
Tale carenza non poteva essere superata facendosi richiamo al regime delle presunzioni, posto che, vertendosi in materia di diritti reali immobiliari, solo la documentazione poteva offrire certezza della titolarità dei beni in capo al de cuius.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
La sentenza impugnata non è censurabile, avendo deciso il caso sottoposto al suo esame, in conformità della più recente giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, proprio in relazione al contenuto dell’atto di citazione per l’azione di riduzione, è stato di recente affermato che (Cass. n. 18199/2020; conformi Cass. 19/1/2023, n. 1670 e Cass. 22/10/2021, n. 29583; Cass. n. 12503/2025) il legittimario, ancorché abbia l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare – anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti – tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva.
Inoltre è stato aggiunto che l’omessa allegazione nell’atto introduttivo di beni costituenti il ” relictum ” e di donazioni poste in essere in vita dal “de cuius”, anche in vista dell’imputazione “ex se”, ove la loro esistenza emerga (come nella specie) dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l’attività di allegazione e di prova. Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull’esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell’inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro
della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all’esito dell’istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l’esistenza della dedotta lesione (in senso sostanzialmente conforme Cass. n. 16535/2020).
Nella motivazione di Cass. n. 18199/2020, nel darsi atto del precedente orientamento (di cui era espressione Cass. n. 11432/1992), si è ritenuto necessario ribadire che, poiché la causa petendi dell’azione di riduzione presuppone, oltre all’allegazione della qualità di legittimario, la specificazione dei beni che costituiscono il relictum e l’individuazione delle diverse attribuzioni che invece costituirebbero il donatum , e ciò al duplice fine di assicurare la riunione fittizia e di assolvere all’onere di imputazione posto dall’art. 564 c.c. a carico di colui che agisce in riduzione, la precisazione di tali elementi si riverbera con immediatezza sul contenuto dell’atto di citazione, di talché eventuali omissioni o imprecisioni, in presenza di altri elementi probatori che depongano viceversa per la loro esistenza o individuazione ovvero a fronte di puntuali contestazioni delle controparti, potrebbero dar vita ad un’ipotesi di nullità della citazione ex art. 164 c.p.c. in relazione al requisito di cui al n. 4 dell’art. 163 c.p.c.
Tuttavia, se la puntuale individuazione delle componenti patrimoniali, sulla scorta delle quali procedere alla ricostruzione del relictum ed eventualmente del donatum, costituisce un’attività riservata alla fase introduttiva del giudizio che soffre delle preclusioni legate alla fissazione del thema decidendum ,
andava ricordato che (Cass. n. 28272/2018) nel giudizio di riduzione per lesione della legittima, come anche in quello di divisione, è esclusa la possibilità di allegare ovvero provare, per la prima volta in appello, l’esistenza di altri beni idonei ad incidere sulla determinazione del ” relictum ” e, conseguentemente, dell’effettiva entità della lesione, dovendo il potere di specificazione della domanda manifestarsi nel rispetto delle preclusioni previste dal codice di rito (in applicazione di tale principio, la Corte ha chiarito che, in appello, le richieste di ricostruzione del ” relictum ” e del ” donatum ” mediante l’inserimento di beni e liberalità o l’indicazione di pesi o debiti del “de cuius” sono ammissibili nei limiti consentiti dagli elementi tempestivamente acquisiti con l’osservanza delle summenzionate preclusioni, trattandosi di operazioni alle quali il giudice è tenuto d’ufficio). Tuttavia ben potrebbe la stessa allegazione da parte dei convenuti degli elementi patrimoniali da prendere in considerazione ai fini della riunione fittizia o in particolare in vista dell’imputazione ex se, ove connotata da specificità (ad esempio con la puntuale individuazione delle donazioni non indicate in citazione ovvero dei beni relitti del pari non indicati dall’attore), consentire al giudice di poter comunque procedere, se del caso avvalendosi anche di una CTU (che proprio perché chiamata a valutare ben individuati componenti patrimoniali non avrebbe carattere esplorativo) alla verifica della ricorrenza della lesione ovvero della corretta individuazione del soggetto destinato a subire le conseguenze derivanti dall’accoglimento dell’azione de qua (laddove, ad esempio, individuata una determinata donazione, come idonea a concretare la lesione, a seguito delle
allegazioni difensive del convenuto, connotate da precisione e specificità, emerga l’esistenza di donazioni posteriori che in ragione della regola dettata dall’art. 559 c.c., rendano la donazione in concreto aggredita immune dalle pretese del legittimario). E’ stato poi affermato che l’eventuale carenza di prova in merito all’effettiva esistenza delle componenti patrimoniali destinate ad incrementare il relictum ovvero il donatum determina invece il rigetto della domanda o il suo accoglimento in misura inferiore rispetto a quanto richiesto, risolvendosi appunto non più sul piano delle attività assertive e di allegazione ma sul diverso piano del soddisfacimento dell’onere della prova incombente su colui che agisce in giudizio. Una volta esclusa la necessità che nella citazione debbano indicarsi in dettaglio i valori dei beni costituenti il relictum e di quelli oggetto delle donazioni (dirette o indirette), con la necessità altresì di specificare con precisione l’ammontare della lesione vantata, occorrendo invece ribadire che l’onere di allegazione della parte effettivamente impone di offrire un quadro soddisfacente della situazione patrimoniale del de cuius ai fini del compimento delle operazioni di riunione fittizia e di imputazione, e ciò soprattutto nel caso in cui già gli elementi probatori addotti in giudizio denotino l’esistenza di beni costituenti il relictum ovvero il compimento di atti di liberalità da parte del de cuius, una volta soddisfatto tale onere (anche, come detto, per effetto, dell’attività di allegazione della altre parti del giudizio) deve reputarsi che l’attore soddisfi l’onere di specificità della domanda impostogli dalla legge una volta che, richiamata la misura della sua quota di legittima, quale dettata dalla legge, assuma che per
effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, residui una lesione. In tal senso non può però imporsi anche che la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione, sia ai fini della precisazione del relictum che del donatum , e che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici con una sua precisa indicazione numerica, essendo viceversa sufficiente che si sostenga che, proprio alla luce del complesso assetto patrimoniale del defunto, quale scaturente dalle vicende successorie, il valore attivo pervenuto al legittimario sia inferiore a quanto invece la legge gli riserva. Opinare diversamente significherebbe imporre al legittimario che agisce in riduzione di dover necessariamente esperire una preventiva perizia di parte ovvero di proporre discrezionali (se non addirittura arbitrari) valori per i vari beni implicati dalla vicenda, indicazioni tutte che comunque non rivestirebbero poi carattere vincolante nella successiva fase dinanzi al giudice, chiamato invece autonomamente (e di norma attraverso l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio) a riscontrare l’effettività della lesione dedotta e la sua precisa entità.
4.1 Tornando al caso in esame, come si rileva dalla lettura del ricorso, già nel corso del giudizio di primo grado era stata espletata una consulenza tecnica d’ufficio che aveva permesso di verificare se vi fosse stata o meno lesione della quota di riserva dell’attrice alla luce del valore dei beni caduti in successione e dei quali vi era menzione in testamento o comunque dei quali era
stata offerta la prova della loro esistenza, nonché del valore del bene donato. Quanto alla previsione di cui al secondo comma dell’art. 564 c.c., in citazione non era stata allegata l’esistenza di altre donazioni o liberalità ricevute in vita dal de cuius (precisazione questa che impedisce di poter ravvisare la carenza di attività assertiva o di allegazione nella fase introduttiva del giudizio, idonea a ripercuotersi sulla corretta attività di accertamento da espletare nel corso del giudizio, che invece ricorrerebbe ove il silenzio impedisse di far rientrare tra le indagini svolte nel giudizio quelle in grado di immutare il risultato concreto dell’azione esperita, come nel caso in cui, ad esempio, si fosse taciuta l’esistenza di donazioni effettivamente da imputare alla quota della legittimaria), né il convenuto, odierno ricorrente, oggi adduce che siano state taciute altre donazioni effettivamente compiute in favore della sorella.
Va a tal fine ribadito che il silenzio serbato in citazione circa l’esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni, ove sia dovuto al convincimento della parte dell’inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, non può solo per questo legittimare il rigetto della domanda, che è invece consentito se, all’esito dell’istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l’esistenza della dedotta lesione.
4.2 Richiamati i principi espressi da questa Corte risulta evidente come la sentenza impugnata abbia fatto piana e corretta applicazione degli stessi, avendo, appunto, riscontrato una più che adeguata individuazione dei beni destinati a comporre il relictum ed il donatum , ed avendo valorizzato la mancata
allegazione da parte del convenuto di altre componenti patrimoniali, di talché, avuto anche riguardo al contenuto della perizia di parte allegata già all’atto di citazione, ha sostenuto che fosse doveroso per il giudice, anche avvalendosi di una CTU, verificare la sussistenza delle lamentata lesione.
Né appare fondata la doglianza in relazione al diverso profilo attinente alla omessa produzione della documentazione ipocatastale.
Cass. n. 10067/2020 ha infatti affermato il principio secondo cui nei giudizi di scioglimento della comunione, la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c. per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l’intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell’opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell’immobile comune, sebbene le informazioni richieste dal predetto articolo si debbano necessariamente acquisire a tutela del terzo acquirente, ma a tale esigenza sovraintende d’ufficio il giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita.
Il principio è stato poi ribadito in motivazione da Cass. n. 21716/2020, che ha specificamente esaminato proprio le questioni poste dal motivo in esame, in relazione ai profili che investono le regole di riparto dell’onere della prova.
A tal fine è stata valorizzata l’importanza del principio di non contestazione, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 2951/2016) secondo cui, se è pur vero che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto, essendo la sua carenza, sia attiva che passiva rilevabile di ufficio dal giudice, ciò presuppone che risulti dagli atti di causa. Inoltre, ancorché le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore abbiano natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, restano ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.
Sebbene sia auspicabile che il giudice investito della domanda di scioglimento della comunione (ovvero, come nella specie, di riduzione) verifichi in limine litis l’effettiva titolarità del diritto di comproprietà in capo ai condividenti o al de cuius (e ciò preferibilmente mediante l’acquisizione dei titoli di provenienza, corredati anche dalla documentazione ipocatastale, che consente di verificare se nelle more siano intervenute delle modifiche del regime proprietario rispetto alla data cui risale il titolo di provenienza), ove però le parti convenute in giudizio non contestino l’effettiva appartenenza dei beni ai soggetti evocati in
giudizio, ed ove, come nella specie, anche dalle indagini svolte dal consulente tecnico d’ufficio, non emergano dubbi o incertezze circa la titolarità dei beni comuni e donati in capo alle stesse parti, la contestazione, in assenza di una puntuale allegazione di elementi probatori che denotino l’erroneità del convincimento del giudice circa la situazione di comproprietà, è inammissibile, in quanto formulata, anche in relazione alla pretesa violazione del principio del litisconsorzio necessario, in via del tutto ipotetica, ed in contrasto, quanto a tale ultimo profilo, al principio secondo cui colui che eccepisce il difetto di integrità del contraddittorio, è tenuto puntualmente ad individuare le altre parti necessarie che siano state illegittimamente pretermesse dalla partecipazione al giudizio (Cass. n. 19400/2019). Né vale addurre la considerazione secondo cui, in assenza della produzione dei titoli e della certificazione ipocatastale (la cui acquisizione a cura delle parti in sede di merito risponde, è opportuno ribadirlo, a commendevoli esigenze di prudenza e di agevolazione dell’accertamento probatorio, onde prevenire il rischio che in prosieguo di giudizio possa essere riscontrata l’esistenza di altri soggetti parti necessarie del giudizio di divisione) vi sarebbe il rischio che la divisione o la riduzione intervenga tra parti non legittimate, con il sacrificio del diritto di comproprietà alieno, atteso che tale sacrificio trova adeguata tutela sul piano processuale tramite il rimedio dell’opposizione di terzo, alla quale possono ricorrere il terzo pregiudicato ovvero il litisconsorte pretermesso, rischio ancor meno presente per l’azione di riduzione, atteso il carattere personale della relativa azione. Ove il giudice di merito, sulla scorta dell’atteggiamento processuale di
non contestazione delle parti evocate in giudizio ovvero sulla base di altri elementi di carattere probatorio, quali possono essere anche le verifiche condotte dall’ausiliario d’ufficio, si convinca della titolarità del diritto di proprietà in capo alle parti effettivamente presenti nel giudizio, al fine di far valere la violazione del principio del litisconsorzio necessario, non basta, come avvenuto nella fattispecie, limitarsi ad allegare la sola circostanza della mancata acquisizione dei titoli di proprietà ovvero della documentazione ipocatastale, ma è invece necessario addurre, con la specifica individuazione della parte pretermessa, che la divisione si è svolta senza la partecipazione di tutte le parti necessarie ovvero che ha avuto ad oggetto beni in realtà esclusi dal relictum ovvero dal donatum .
Ne deriva che la produzione della documentazione ipocatastale ovvero della relazione sostitutiva notarile si impone nel solo caso, nella vicenda non presentatosi, in cui si debba procedere alla vendita del bene ritenuto non comodamente divisibile, e che non ricorra la violazione delle regole in materia di onere della prova, avendo i giudici di merito ritenuto, anche alla luce dell’atteggiamento processuale tenuto dalle parti, che fosse incontestata la titolarità dei beni relitti in capo al de cuius.
Il ricorso va quindi rigettato, ed al rigetto consegue la condanna al rimborso dele spese del presente giudizio come liquidate in dispositivo, con attribuzione ai difensori antistatari.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso dele spese in favore della controricorrente, che liquida in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, se dovuti, con attribuzione ai difensori anticipatari;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2025