Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8477 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8477 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10589/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE ammessa in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 14 -3-2019, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
NOME COGNOME c.f. CRECLR53P54H501D, TZOITIS NICOLAS, c.f. TZTNLS49H16Z115W, TZOITIS ALEXIA, c.f. TZTLXA84M44H501H, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME controricorrenti
avverso la sentenza n.6051/2018 della Corte d’ appello di Roma, depositata in data 1-10-2018, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12-32025 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato
OGGETTO:
azione di riduzione
RG. 10589/2019
C.C. 12-3-2025
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 6051/2018 depositata in data 1-102018 ha rigettato l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza n. 5804/2013 del Tribunale di Roma, che già aveva rigettato le domande nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME proposte da NOME COGNOME la quale aveva agito al fine di ottenere l’accertamento che l’atto di compravendita di immobile eseguit o dai genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 11-4-1979 a favore della figlia NOMECOGNOME che l’atto di compravendita eseguito in data 6-101994 dal padre in favore del genero NOME COGNOME e della nipote NOME COGNOME e che l’atto di compravendita eseguito il 22-11-1989 dalla madre in favore della figlia NOME dissimulavano donazioni e al fine di ottenere il riconoscimento della sua quota ereditaria in accoglimento dell’azione di riduzione.
La sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello con il quale NOME COGNOME aveva censurato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda di riduzione proposta nei confronti di NOME e NOME COGNOME in quanto l’erede non totalmente pretermesso, come l’appellante, era tenuto ad accettare l’eredità con beneficio di inventario qualora avesse agito nei confronti di soggetti non coeredi. Ha dichiarato che, ritenuta improponibile l’azione di riduzione nei confronti di NOME e NOME COGNOME erano inammissibili per carenza di interesse i motivi relativi all’azione di simulazione formulata nei confronti degli stessi COGNOME.
Con riguardo alla domanda di simulazione proposta nei confronti di NOME COGNOME ha dichiarato che la stessa non era fondata in quanto si basava su un asserito prezzo di favore, ma l’appartamento era stato rivenduto dalla madre alla figlia NOME allo stesso prezzo di acquisto e non era vero che non era stata data la prova del pagamento del prezzo, in quanto il prezzo era stato pagato con assegni circolari; ha altresì
dichiarato inammissibile la doglianza con la quale l’appellante lamentava la mancata ammissione delle istanze istruttorie. Di seguito la sentenza ha rigettato il motivo di appello con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto la domanda di riduzione nei confronti di NOME COGNOME formulata genericamente, richiamando Cass. 1357/2017 in ordine all’onere di indicare la lesione della quota di legittima violata. Ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del grad o.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.
All’esito della camera di consiglio del 12-3-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso è intitolato ‘ illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.564 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.’ e con esso la ricorrente lamenta che sia stato rigettato il suo motivo di appello avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di riduzione; dichiara che sia nel corso del giudizio di primo grado che nel corso del giudizio di secondo grado aveva evidenziato la propria qualità di legittimaria pretermessa e aveva dedotto e provato che l’azione era diretta ad accertare l’interposizione fittizia nei confronti dei coeredi; ciò in quanto aveva dedotto, con riguardo all’atto del 6 -10-1994 del padre a favore del genero e della nipote minore, che il prezzo della cessione non era stato versato
contestualmente, il prezzo non era congruo, l’atto era stato eseguito in assenza di testimoni, la minore era causalmente in possesso di somma pari alla metà del prezzo, l’autorizzazione del giudice tutelare era stata richiesta evidenziando il favorevole rapporto valore-prezzo e nel corpo dell’atto si dava solo atto della ricezione del prezzo, senza fornire p rova dell’incasso degli assegni.
1.1.Il motivo è inammissibile laddove pare sostenere che l’attrice NOME COGNOME aveva agito in qualità di legittimaria totalmente pretermessa.
In primo luogo, l’affermazione è incompatibile con l’allegazione della stessa ricorrente secondo la quale nella denuncia di successione del padre era indicato un saldo positivo del conto corrente allo stesso intestato; infatti , seppure la ricorrente lamenti l’ ‘inverosimile scarsa capienza’ del patrimonio, si tratta di dato in sé sufficiente a escludere che si verta nell’ipotesi di totale mancanza di patrimonio relitto, necessaria al fine di ritenere il legittimario chiamato all’eredità totalmente pretermesso.
Inoltre, la stessa sentenza impugnata (pag. 2) ha espressamente dichiarato che il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’azione di riduzione in quanto proposta dall’erede non totalmente pretermesso nei confronti di soggetti non coeredi, quali erano NOME e NOME COGNOME in mancanza di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario . A fronte di questo contenuto della pronuncia di primo grado e di secondo grado, al fine di ritenere che fosse stata devoluta alla cognizione del giudice d’appello la questione dell’es clusione dall’obbligo di accettare l’eredità con beneficio di inventario in ragione del fatto che l’attrice era legittimaria totalmente pretermessa, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre di avere proposto il proprio motivo di appello almeno lamentando che il giudice di primo grado non aveva considerato che l’attrice era legittimaria totalmente pretermessa. Al contrario, secondo
quanto si legge nella sentenza impugnata, senza che la ricorrente deduca alcunché di segno diverso, il motivo di appello era stato proposto esclusivamente sostenendo che l’accettazione beneficiata non è necessaria quando l’azione di simulazione tenda ad accertare un’interpretazione fittizia nei confronti di uno o più coeredi . Quindi, l’accertamento del giudice di primo grado in ordine al fatto che l’attrice non era legittimaria totalmente pretermessa è passato in giudicato e non è ulteriormente discutibile; con la conseguenza che esattamente la domanda di riduzione con riguardo all’atto del 1994 del padre a favore del genero e della nipote non è stata esaminata nel merito, in applicazione del principio posto dall’art. 564 co1. cod. civ., secondo il quale il legittimario che non ha accettato l’eredità con beneficio di inventario non può proporre l’azione di riduzione nei confronti di soggetti non coeredi.
1.2.Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui critica la sentenza impugnata per avere escluso che ricorresse nell’atto del 1994 una ipotesi di interposizione fittizia, e cioè che il destinatario effettivo della donazione dissimulata fosse la figlia del disponente.
In primo luogo, la sentenza impugnata ha evidenziato (pag. 3 in alto) che il fatto relativo all’interposizione fittizia , prima che indimostrato, non era mai stato dedotto prima. La ricorrente neppure censura in modo specifico tale statuizione e, al contrario, per dimostrarn e l’erroneità , avrebbe dovuto dedurre in quali atti e in quali termini avesse sostenuto l’esistenza di una ipotesi di interposizione fittizia perché, in mancanza, il motivo è inammissibile ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. per difetto di specificità; ciò in quanto l’ allegazione del fatto che beneficiaria effettiva della donazione dissimulata era persona diversa rispetto al genero e alla nipote del disponente, destinatari del trasferimento di proprietà del l’immobile , non poteva
ritenersi compresa nella domanda volta a sostenere che la vendita al genero e alla nipote dissimulasse donazione a loro favore.
Inoltre, al fine di contestare la statuizione della sentenza impugnata secondo la quale l’interp osizione fittizia non era neppure provata, la ricorrente individua gli elementi che, secondo la sua tesi, dimostrano l’interposizione fittizia . Le deduzioni si risolvono in una critica all’apprezzamento delle risultanze istruttorie, inammissibile nel giudizio di legittimità, in quanto al fine di contestare l’accertamento in fatto della sentenza impugnata la ricorrente avrebbe potuto soltanto proporre motivo ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi presupposti.
2. Con il secondo motivo, intitolato ‘ illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2722 c.c. e degli articoli 81 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.’, la ricorrente censura il capo della sentenza che ha dichiarato che, a seguito della dichiarazione di improponibilità dell’azione di riduzione nei confronti di NOME e NOME COGNOME, erano inammissibili per carenza di interesse i motivi di appello relativi all’azione di simulazione. Dichi ara che il legittimario è terzo rispetto all’atto simulato e come tale non soggiace ai limiti probatori posti dagli artt. 1417 e 2722 cod. civ. nel caso in cui proponga azione di riduzione della donazione dissimulata; aggiunge che la qualità di terzo non viene meno in capo al legittimario nel caso di atto di disposizione del de cuius fittiziamente indirizzato a persona interposta e sostiene che in tale ipotesi l’interposizione fittizia a favore di uno o più coeredi riconduca all’ipotesi di azione di simulazione proposta nei confronti dei coeredi, non soggetta a limiti probatori. Aggiunge che la conclusione deve essere la medesima con riguardo alla vendita stipulata nel 1989 dalla madre a favore della figlia NOMECOGNOME evidenziando che sussisteva l’interesse ad a gire con riguardo a tale domanda, sia perché l’interesse ad agire deve sussistere al
momento della pronuncia, sia perché la causa riunita nella quale è stata proposta la domanda è stata instaurata dopo il decesso della madre.
2.1.Il motivo è inammissibile sotto distinti profili.
Con riguardo all’atto del 1994 del padre a favore del genero e della nipote, le deduzioni della ricorrente non individuano nella sentenza impugnata alcuna violazione delle disposizioni richiamate. Sotto un primo profilo, è evidente che, nel momento in cui ha escluso la prova di una interposizione fittizia di persona in quell’atto, la sentenza ha valutato gli elementi probatori a disposizione e quindi, come già esposto, la pronuncia avrebbe potuto essere censurata esclusivamente ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi presupposti. Sotto un secondo profilo, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’azione di simulazione nei confronti dei soggetti non coeredi fosse stata esperita esclusivamente al fine dell’esercizio dell’azione di riduzione con riguardo alla donazione dissimulata; quindi la sentenza, nel momento in cui ha ritenuto di non potere esaminare l’azione di riduzione nei confronti di NOME e NOME COGNOME per la mancanza di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario , non aveva ragione di procedere a d accertare se l’atto a loro favore dissimulasse donazione, appunto perché ha ritenuto che non potesse essere esercitata l’azione di riduzione avverso la donazione . A fronte di questo contenuto della pronuncia, le deduzioni della ricorrente non sono pertinenti, in quanto non censurano le statuizioni in modo appropriato, per il fatto che non individuano quale fosse l’interesse dell’attrice a ottenere la pronuncia sulla domanda di simulazione , in mancanza del diritto di esercitare l’ azione di riduzione.
Con riguardo all’atto del 1989 della madre a favore della figlia NOME, le deduzioni sono del tutte avulse dal contenuto della sentenza impugnata, che non afferma né che l’appellante non avesse interesse a impugnare per simulazione l’atto del 1989, né che l’appellante fosse
assoggettata ai limiti della prova della simulazione che valevano per le parti dell’atto impugnato.
3.Il terzo motivo è intitolato ‘ illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2697, 2722 cod. civ. e 556 cod. civ. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 e 5 cod. proc. civ.’ e con esso la ricorrente lamenta che sia stata ritenuta infondata la domanda di simulazione proposta nei confronti della sorella NOME COGNOME
Con riguardo al rogito del 1989 della madre a favore della figlia NOME relativo all’immobile in Roma INDIRIZZO allo stesso prezzo con il quale la madre lo aveva acquistato, la ricorrente lamenta che sia stata esclusa la simulazione senza considerare che quel prezzo non trovava giustificazione in ragione del tempo trascorso e della rivalutazione dell’immobile; dichiara altresì che la prova del pagamento del prezzo incombe sull’acquirente e sostiene che nella fattispecie la prova non sia stata fornita, in quanto non è stata fornita la prova dell’incasso degli assegni circolari. Aggiunge che, oltre ad avere fornito gli elementi presuntivi idonei a fare ritenere simulato l’atto del 1979, aveva chiesto l’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio per accertare il valore dell’immobile al momento dell’apertura della successione, ch e avrebbe dimostrato l’incongruità del prezzo, aveva dedotto la prova testimoniale volta a dimostrare che il padre aveva voluto compiere atti diretti alla totale spoliazione della figlia NOME e aveva chiesto l’acquisizione del conto corrente cointestato ai genitori e alla figlia NOME, che avrebbe consentito una più adeguata valutazione dei fatti; aggiunge che aveva fatto riferimento anche alla denuncia di successione del padre, dalla quale risultava che il patrimonio del padre era di inverosimile scarsa capienza, perché costituito di saldo attivo di conto corrente di Euro 23.392,61, esiguo rispetto al valore degli appartamenti donati.
3.1.Il motivo è inammissibile laddove censura la sentenza impugnata per non avere ammesso le istanze istruttorie che avrebbero dimostrato che le vendite a favore della figlia NOME erano donazioni.
La sentenza ha dichiarato inammissibile la doglianza relativa alla mancata ammissione da parte del giudice di primo grado delle istanze istruttorie, in quanto generica e non concludente; ha dichiarato che l’appellante che intendeva dare ingresso in appello a prove non ammesse in p rimo grado doveva dimostrare l’errore commesso dal giudice di primo grado nell’escludere la prova dedotta e dimostrare la rilevanza potenziale della prova nell’economia della decisione di primo grado. Ha rilevato che l’appellante n on aveva assolto a tali oneri dimostrativi, perché non aveva individuato l’errore commesso dal giudice di primo grado e non aveva dedotto per quale ragione la decisione sarebbe stata diversa se fossero state ammesse le prove richieste; ha aggiunto che l’appellante non indicava con precisione quali fossero le prove alle quali intendeva riferirsi, tanto più che nelle conclusioni dell’atto di appello non veniva proposta alcuna istanza istruttoria, se non una richiesta di c.t.u. volta a quantificare l’asse ereditario.
A fronte di questo contenuto della sentenza di secondo grado, la ricorrente non avrebbe potuto limitarsi a dedurre di avere formulato istanze istruttorie sostenendo che tali istanze avrebbero dimostrato la simulazione, come ha fatto, ma avrebbe dovuto censurare, in termini ammissibili nel giudizio di legittimità, la pronuncia con la quale la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile i l motivo di appello con il quale l’appellante aveva riproposto in appello le istanze istruttorie. E’ stata la dichiarazione di inammissibilità della doglianza relativa alla mancata ammissione dei mezzi di prova che ha precluso alla Corte d’appello la disamina sull’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova medesimi; quindi la parte non può limitarsi in sede di legittimità a lamentarsi del
fatto che le istanze istruttorie non siano state accolte, senza individuare le violazioni delle regole processuali nelle quali sarebbe incorsa la pronuncia di inammissibilità del relativo motivo di appello.
Il motivo è inammissibile anche laddove lamenta che la sentenza impugnata non abbia apprezzato gli elementi presuntivi indicanti che le vendite a favore della sorella erano donazioni. Infatti, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la sentenza ha considerato che la vendita del 1989 dalla madre alla figlia era avvenuta allo stesso prezzo al quale la madre aveva acquistat o l’immobile e ha considerato tale elemento ostativo a ritenere la simulazione; la sentenza ha altresì dichiarato che il pagamento del prezzo era dimostrata perché avvenuta attraverso assegni circolari, emessi dalla banca a fronte della messa a disposizione del denaro in via anticipata. In questo modo, la sentenza ha considerato gli elementi dai quali la ricorrente pretende di trarre la prova della simulazione e ne ha dato una lettura immune da vizi logici e giuridici. Le circostanze dedotte dalla ricorrente, in ordine al fatto che l’acquisto della madre allo stesso prezzo era avvenuta nel 1986 – per di più senza spiegare la ragione per la quale in un periodo di tempo così breve vi potesse essere significativo aumento di valore dell’immobile -, nonché in ordine al fatto che mancava la prova della riscossione degli assegni circolari, nonché in ordine al fatto che anche la vendita del 1979 era una donazione non individuano nella sentenza impugnata un qualche vizio rilevante in sede di legittimità; le deduzioni sono finalizzate a ottenere un diverso apprezzamento del materiale probatorio, in termini inammissibili in questa sede.
Infine, poiché nell’intitolazione del motivo la ricorrente evoca il vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., si dà atto che tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 -92012 e all’introduzione del giudizio di
cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”. In tale caso il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, per tutte). Al contrario la ricorrent e si limita a lamentare che la Corte d’appello non abbia esaminato le sue deduzioni sul fatto che le vendite a favore della sorella NOME erano state donazioni , così presupponendo l’inesistenza di una diversità delle ragioni di fatto poste a fondamento delle decisioni di primo e di secondo grado; del resto, neppure individua il fatto o i fatti specifici oggetto di discussione tra le parti e che abbiano avuto carattere decisivo, nei termini richiesti da Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01.
4.Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‘ illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2697 e 2722 cod. civ. e dell’art. 556 cod. civ. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.’ e dichiara di censurare la sentenza impugnata laddove ha ritenuto generica la domanda di riduzione proposta nei confronti della sorella; evidenzia che, nel caso in cui le donazioni lesive della quota siano dissimulate in un contratto di compravendita, la possibilità per il legittimario di procedere a una riunione fittizia n ell’asse ereditario risulta estremamente difficile; aggiunge che è sufficiente per il legittimario dare la dimostrazione presuntiva della natura simulata degli atti di compravendita posti in essere dal de cuius per danneggiare i diritti successori dei legittimari; sostiene che l’attrice abbia fornito tutti gli elementi presuntivi per provare la natura simulata degli atti, chiedendo anche consulenza tecnica per valutare il valore attuale dell’immobile necessaria per la ricostruzione del patrimonio ereditario;
quindi ripropone le deduzioni in ordine al fatto che aveva formulato prova testimoniale per dimostrare l’astio del padre nei confronti della figlia NOME e aveva chiesto l’acquisizione dell’estratto del conto corrente.
4.1.Il motivo, nella parte in cui ulteriormente sostiene che la ricorrente ha fornito la prova della simulazione e ha formulato istanze istruttorie a tal fine è inammissibile per le ragioni già esposte al punto 3.1. Infatti, nel motivo la ricorrente non adduce alcun argomento ulteriore che richieda specifica disamina, ma si limita a riproporre le deduzioni già svolte nel terzo motivo.
Il motivo, nella parte in cui lamenta che l’azione di riduzione sia stata dichiarata genericamente proposta, in via assorbente rispetto a ogni ulteriore questione, risulta inammissibile per carenza di interesse. Infatti, l’infondatezza dei motivi di ricorso avverso la pronuncia che ha rigettato le domande di simulazione comporta che non sussistano i presupposti per esercitare l’azione di riduzione, che l’attrice aveva proposto esclusivamente nei confronti delle donazioni dissimulate nelle compravendite.
5.Con il quinto motivo, intitolato ‘ illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ .’, la ricorrente censura il capo della sentenza che l’ha condannata alla rifusione delle spese di lite. Sostiene che la pronuncia sia stata emessa in violazione del principio della soccombenza, in quanto l’appello di NOME COGNOME non doveva essere rigettato, con conseguente erroneità anche della condanna alle spese posta a suo carico.
5.1.Il motivo è evidentemente inammissibile, in quanto la sentenza impugnata, avendo rigettato integralmente l’appello, ha fatto piana applicazione del principio della soccombenza. In realtà la ricorrente invoca una diversa regolamentazione delle spese del giudizio
di appello in ragione dell’accoglimento del suo ricorso , ma di tale accoglimento non sussistono i presupposti.
6.In conclusione, il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente è condannata alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Infatti, l’attestazione deve essere eseguita anche quando il contributo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venire meno, come nel caso -che ricorre nella fattispecie- di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato (Cass. Sez. U 20-2-2020 n. 4315 Rv. 657198-06); le condizioni soggettive andranno verificate, nella loro specifica esistenza e permanenza, al momento dell’eventuale successiva attività di recupero del contributo (Cass. Sez. 2 4-4-2024 n. 8982 Rv. 670959-02).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.500,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione