Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2367 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 2367 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6557/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, e con domicilio telematico, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
Oggetto: Successioni -Azione di riduzione per lesione di legittima
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 15/11/2023 PU
NOME COGNOME
-intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1469/2017 depositata il 25/08/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO , che ha concluso per la declaratoria di parziale inammissibilità del ricorso e per il rigetto nel resto e, in subordine, per l’integrale rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 25 agosto 2017, la Corte d’appello di Palermo, nella regolare costituzione degli appellati NOME COGNOME e NOME COGNOME e nella contumacia dell’appellata NOME COGNOME, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Palermo n. 4288/2011, depositata in data 27 settembre 2011.
-controricorrente –
nonché contro
NOME COGNOME , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, e con domicilio telematico, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
Per quanto ancora qui rileva, NOME COGNOME aveva convenuto i propri germani NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, impugnando per nullità o annullabilità il testamento olografo datato 4 ottobre 1992 con il quale NOME COGNOME, madre delle parti, deceduta il 24 luglio 1999, aveva regolato la propria successione.
Oltre a dedurre profili di invalidità del testamento, NOME COGNOME aveva comunque lamentato che lo stesso veniva a ledere la quota di legittima sua e della sorella NOME COGNOME, in quanto pretermessi, chiedendo quindi la reintegra ex art. 560 c.c.
Costituitisi NOME COGNOME e NOME COGNOME, per resistere alle domande, e NOME COGNOME, per associarsi invece ad esse, il Tribunale di Palermo aveva, con sentenza non definitiva, disatteso le domande volte a conseguire la declaratoria di nullità o annullabilità del testamento, disponendo la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima.
Disposta la riunione di altro giudizio promosso sempre da NOME COGNOME in relazione ad altra scheda testamentaria nelle more rinvenuta -ed in ordine alla quale l’attore deduceva ancora una volta la lesione della propria quota di legittima – e disposta CTU, il Tribunale di Palermo aveva infine respinto le domande di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Proposto appello da parte di NOME COGNOME, la Corte d’appello di Palermo, nel disattendere il gravame, ha ritenuto infondato il primo motivo di gravame con il quale l’appellante deduceva l’assenza di adeguata motivazione della decisione di prime cure in ordine alla qualificazione come donazioni indirette delle intestazioni
degli immobili effettuate da NOME COGNOME e NOME COGNOME ai figli ed argomentava in contrario di avere acquistato l’immobile a sé intestato con denaro proprio e della moglie -osservando sia che molte delle deduzioni dell’appellante erano state svolte solo tardivamente in primo grado, sia che non vi era adeguata prova del fatto che l’acquisto dell’immobile intestato all’appellante fosse avvenuto con provvista di quest’ultimo.
La Corte d’appello ha ulteriormente dichiarato inammissibile la domanda diretta a ricondurre a ll’asse ereditario di NOME COGNOME donazioni indirette effettuate a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’importo di £ 30.000.000, ciascuno, rilevando che la domanda era stata formulata tardivamente solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado.
Esaminando il secondo motivo di appello -con il quale l’appellante veniva a dolersi della decisione di prime cure nella parte in cui aveva escluso dall’ambito delle donazioni da computare nell’asse ereditario l’immobile originariamente attribuito a NOME COGNOME, in quanto successivamente venduto dagli stessi genitori, argomentando che con tale operazione NOME COGNOME aveva ottemperato ad un’obbligazione naturale – la Corte territoriale ha escluso la fondatezza del motivo, osservando che, anche ipotizzando la possibilità di qualificare come adempimento di una obbligazione naturale la vendita dell’immobile da parte di NOME COGNOME, tale profilo non valeva ad escludere la necessità di procedere alla riunione fittizia dei beni ai fini del calcolo della quota di legittima né poteva tradursi nella lesione dei diritti di legittima dello stesso NOME COGNOME.
La Corte, infine, ha disatteso anche l’ulteriore motivo di appello con il quale si censurava la decisione di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto provata l’esistenza di un mandato conferito da tutti i fratelli a NOME COGNOME per la gestione delle rendite degli immobili donati da NOME COGNOME e NOME COGNOME ai figli allo scopo di destinare le rendite al mantenimento della stessa NOME COGNOME -rilevando che i fatti storici erano stati ammessi dallo stesso appellante in sede di interrogatorio formale e che la qualificazione dei fatti medesimi nei termini di un mandato operata dal giudice di prime cure doveva ritenersi corretta.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorre ora COGNOME.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
È rimasta intimata NOME COGNOME.
Le parti non sono comparse alla pubblica udienza.
La controricorrente NOME COGNOME ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione ‘ed omessa applicazione’ degli artt. 115 c.p.c. e 809, 783, 782 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che il giudice di prime cure:
-avrebbe impropriamente applicato il principio di non contestazione;
-avrebbe ritenuto la sussistenza di una serie di donazioni indirette degli immobili sulla scorta di un insufficiente quadro probatorio;
-avrebbe parimenti ritenuto provato il conferimento a RAGIONE_SOCIALE di un mandato a gestire gli immobili sulla base di elementi probatori del tutto inadeguati.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa
ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Richiamato questo principio, si deve rilevare che le doglianze formulate nel ricorso si discostano ampiamente dai canoni di corretta formulazione di una doglianza ex art. 360, n. 3), c.p.c. e finiscono, in realtà, per concernere, non la conformità della decisione alle regole legali invocate dal ricorrente, bensì la valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di merito , ed a quest’ultimo riservata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Solo per completezza, quindi, giova rammentare che le deduzioni del ricorrente alla inapplicabilità ratione temporis al giudizio in esame della regola di non contestazione espressa all’art. 115 c.p.c. risultano smentite dalla giurisprudenza di questa Corte che, anche in epoca anteriore alla introduzione della regola, ha comunque ritenuto operante il principio di non contestazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10031 del 25/05/2004; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6936 del 08/04/2004).
3.1. Il secondo motivo di ricorso deduce, testualmente, ‘omessa, insufficiente motivazione sulla distribuzione del carico probatorio ex art. 2697 c.c. e disapplicazione dell’art. 115 c.p.c. ex l. 69/2009, error in procedendo’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile il principio di non contestazione ad allegazioni degli originari convenuti -oggi controricorrenti -che, deducendo la sussistenza di donazioni indirette di immobili, sarebbero stati comunque gravati dell’onere di fornire prova diretta e specifica di tale allegazione.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Deve, in primo luogo, essere esclusa l’ammissibilità di deduzioni concernenti la ‘ omessa, insufficiente motivazione ‘ , atteso che i vizi di motivazione non sono più compresi tra i motivi di ricorso per cassazione, come si desume dalla chiara formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc; né risulta violata la regola del ‘ minimo costituzionale ‘ della motivazione, nel senso inteso dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte SSUU, sentenza n. 8053/2014).
In secondo luogo, il motivo di rispettare il canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. nel momento in cui, deducendo una non corretta applicazione del principio di non contestazione, omette di riprodurre nel loro contenuto essenziale gli atti sui quali il motivo stesso si fonda, impedendo qualunque verifica delle asserzioni in esso contenute.
Si deve allora rammentare che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
Le ulteriori deduzioni del ricorrente sono parimenti inammissibili risolvendosi, ancora una volta, in una critica -inammissibile in sede di legittimità – alla valutazione delle prove operata dalla sentenza di merito, non a caso ancorandosi a profili squisitamente fattuali che investono non l’applicazione della regola di cui all’art. 2697 c.c. bensì la valutazione dei fatti e la loro qualificazione giuridica ad opera del giudice del merito, come eloquentemente evidenziato da argomentazioni come quella secondo la quale ‘le vendite che
nascondevano le presunte donazioni indirette sono state dissimulate dal giudice con tecnica a dir poco superficiale (…)’ (pag. 21 del ricorso).
4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 783 e 724, secondo comma, c.c.
In relazione alla statuizione della Corte d’appello che ha confermato la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla inammissibilità delle domande proposte da NOME COGNOME dirette ad includere nell’asse ereditario relitto dalla defunta NOME COGNOME donazioni a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’importo di £ 30.000.000, nonché un importo di £ 15.000.000 da assegnare ai tre fratelli convenuti, NOME, NOME e NOME COGNOME, il ricorrente invoca la nullità delle donazioni medesime -considerato il rilevante valore all’epoca dell’attribuzione patrimoniale ed il mancato ricorso alla forma solenne -argomentando quindi che tale profilo di nullità avrebbe potuto e dovuto essere rilevato d’ufficio e che quindi i giudici di merito avrebbero dovuto considerare le attribuzioni patrimoniali in questione come mai uscite dal patrimonio della disponente.
4.2. Anche tale motivo è inammissibile.
Si deve osservare, alla luce del contenuto della decisione impugnata, che la domanda originariamente formulata dall’odierno ricorrente sollecitava il computo nell’asse ereditario di tali attribuzioni patrimoniali sulla scorta della loro qualificazione come donazioni indirette, mentre non emerge in alcun modo dagli atti -né il ricorrente al riguardo fornisce indicazioni conformi al parametro di cui all’art. 366 c.p.c. -che la deduzione della nullità delle attribuzioni in quanto tali da
integrare donazioni non modiche soggette al requisito formale di cui all’art. 782 c.c. fosse stata formulata in primo grado o in appello.
Si deve quindi concludere che solo nella presente sede di legittimità parte ricorrente viene ad invocare la nullità radicale delle presunte donazioni.
Tuttavia la verifica della nullità delle donazioni per difetto del requisito formale presupporrebbe in ogni caso una serie di accertamenti in fatto -come l’ entità del patrimonio della donante rispetto al valore della donazione, ai fini del l’affermazione del carattere non modico di quest’ultima che risultano preclusi in sede di legittimità, con la conseguenza che il motivo è da considerarsi inammissibile (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 4175 del 19/02/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 21243 del 09/08/2019).
5.1. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la ‘omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla disciplina dell’obbligazione naturale’ .
Il ricorrente si duole della decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che la possibilità di qualificare come adempimento di obbligazione naturale la vendita dell’immobile di NOME COGNOME al fine di destinare il ricavato per ripianare debiti del padre non valesse in ogni caso rendere necessario il computo nell’asse ereditario dell’immobile precedentemente donato.
5.2. Il motivo è inammissibile, in quanto lo stesso deduce, ancora una volta, un vizio di ‘omessa o insufficiente motivazione’ che, come già visto in relazione al secondo motivo di ricorso, non appare più deducibile in sede di legittimità.
6.1. Il quinto motivo di ricorso è, testualmente, rubricato: ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 752 c.c. in tema di pagamento dei debiti ereditari. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla scorta delle produzione versata in atti e delle prove acquisite in giudizio. Omessa pronuncia’ .
Il motivo lamenta l’omessa statuizione da parte della Corte d’appello su l motivo di gravame che era stato rivolto alla statuizione di rigetto -da parte del giudice di prime cure – di una serie di domande aventi ad oggetto il riconoscimento di somme anticipate dal ricorrente per il pagamento di debiti del genitore defunto NOME COGNOME, confluiti per la quota di ½ nell’asse ereditario di NOME COGNOME , e per le spese della tomba gentilizia.
Impugna altresì il rigetto della domanda di restituzione dei canoni incassati da RAGIONE_SOCIALE, lamentando l’omessa statuizione da parte della Corte territoriale anche su tale profilo.
6.2. Anche tale ultimo motivo è inammissibile.
Ferma restando l’inammissibilità dell’ennesima censura di motivazione ‘omessa, insufficiente e contraddittoria’ per la quale non vi è motivo di ripetersi -il motivo col quale si lamenta l’omessa pronuncia risulta ulteriormente inammissibile, in quanto non reca un univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Il ricorso deve quindi essere complessivamente dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
8. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte
dichiara il ricorso inammissibile;
condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida, per ognuno dei controricorrenti, in € 4.000,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge .
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio in data 15 novembre