Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27580 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27580 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
Oggetto: Successione – Azione riduzione e richiesta collazione – Donazioni dissimulate.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26412/2019 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Pescara, INDIRIZZO, sono elettivamente domiciliati;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, in proprio e quale avente causa di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 978/2019 emessa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, depositata il 5/6/2019 e notificata il 11/6/2019.
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 24 settembre 2024;
lette le conclusioni scritte della Procura generale, in persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di essere rispettivamente figlia e nipote ( ex filio premorto COGNOME NOME) del defunto COGNOME NOME, deceduto il 4/8/2009, e di avere accettato l’eredità con beneficio di inventario, convennero in giudizio, davanti al Tibunale di Pescara, COGNOME NOME e COGNOME NOME, esponendo che il de cuius aveva lasciato per testamento olografo del 15/4/2004 a COGNOME NOME, coniugata con lui in seconde nozze in seguito al decesso della prima moglie, la piena proprietà di un appartamento in Spoltore e aveva disposto in vita di alcuni immobili, vendendo alla predetta, con atto del 18/5/2004, un negozio e tre magazzini in Spoltore, e a COGNOME NOME, con atto del 15/6/2006, la piena proprietà di un appartamento e l’usufrutto, unitamente a COGNOME NOME che trasferiva la nuda proprietà, di uno dei magazzini già trasferiti alla moglie, che COGNOME NOME, con atto del 29/11/2007, aveva trasferito a COGNOME NOME, la nuda proprietà di un altro dei magazzini acquistati dal coniuge, che, ad esclusione di quest’ultimo, nei precedenti atti si era dato conto dell’intervenuto pagamento del prezzo prima del rogito, che, apertasi la successione, erano rimasti nell’asse relitto un negozio e un magazzino. Chiesero, dunque, che venissero dichiarati nulli, perché dissimulanti donazioni prive del requisito di forma, gli atti di vendita del 18/5/2004 e del 15/6/2006, che venisse dichiarata la nullità o l’inefficacia per simulazione assoluta degli atti di vendita intercorsi tra COGNOME NOME e COGNOME NOME del 15/6/2006 e del 29/11/2007, che venisse disposta la riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima e,
determinato l’asse ereditario, previa resa dei conti ex art. 723 cod. proc. civ., che venisse disposto lo scioglimento della comunione tra gli eredi, con determinazione delle rispettive quote.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME e COGNOME NOME chiesero il rigetto della domanda, affermando, in subordine, che la vendita del 15/5/2004 poteva semmai dissimulare una donazione della quale aveva tutti i requisiti di validità, sicché questa avrebbe dovuto essere soggetta a collazione solo per imputazione con riguardo ai magazzini poi venduti al COGNOME, e chiedendo la condanna delle controparti ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 218/2014, rigettò la domanda di riduzione, dichiarò l’inammissibilità di quella di simulazione e rigettò la domanda ex art. 96 cod. proc. civ.
Il giudizio di gravame, incardinato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, quale unica erede di COGNOME NOME, deceduta il 1/3/2015, e di COGNOME NOME, con la sentenza n. 978/2019, pubblicata il 5/6/2019, con la quale la Corte d’Appello di L’Aquila accolse l’appello, dichiarando la nullità per simulazione degli atti di vendita del 18/5/2004, del 15/6/2006 e del 29/11/2007, accolse la domanda di riduzione dell’atto di donazione dissimulato del 18/5/2004, della disposizione testamentaria olografa del 15/5/2004 e delle vendite nulle in quanto simulate del 18/6/2006 e del 29/11/2007, dichiarò sciolta la comunione e procedette all’assegnazione delle quote, come specificate nel dispositivo.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi, mentre COGNOME NOME, in proprio e quale avente causa di COGNOME NOME, si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 536, 540, 542, 553, 554, 555, 558 e 560 cod. civ., nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto ammissibile e fondata la domanda di riduzione, senza avvedersi che la stessa, così come proposta dalle attrici nell’atto di citazione, risultava carente sotto il profilo delle necessarie allegazioni (lesione della quota di riserva; allegazione e prova degli elementi necessari a stabilire se e in quale misura fosse avvenuta la lesione; formulazione di istanza volta a conseguire la legittima previa sua determinazione ed eventuale riduzione degli atti di disposizione del de cuius ) e sprovvista di supporto probatorio. Ad avviso dei ricorrenti, le attrici si erano limitate a contestare la natura donativa degli atti di disposizione posti in essere dal de cuius in favore della moglie NOME COGNOME e del di lei nipote NOME COGNOME e la nullità e/o inesistenza delle successive vendite effettuate dalla prima nei confronti del secondo, senza lamentare mai, nel corpo dell’atto, la lesione della legittima per effetto dei predetti atti di disposizione, né quantificare la lesione stessa.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Se è vero che vi sono vari precedenti di questa Corte che, in tema di oneri posti a carico di chi agisce in riduzione, hanno affermato (Cass., Sez. 2, 29/10/1975, n. 3661) che il legittimario che intende proporre l’azione di riduzione ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, e, dunque, di indicare, in relazione al principio sancito dagli artt. 555 e 559 cod. civ., oltre al valore, l’ordine cronologico in cui sono stati posti in essere i vari atti di disposizione, non potendo l’azione di riduzione essere sperimentata rispetto alle donazioni se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento e
cominciando, comunque, dall’ultima e risalendo via via alle anteriori (conf. Cass., Sez. 2, 29/10/2011, n. 14473; Cass., Sez. 2, 14/10/2016, n. 20830), atteso che soltanto in tal modo il giudice può procedere alla sua reintegrazione, è altrettanto vero che la doglianza non si confronta con i più recenti arresti giurisprudenziali, secondo i quali la sussistenza di oneri di deduzione a carico del legittimario che agisce in riduzione non implica la necessità di precisare nella domanda l’entità monetaria della lesione, occorrendo, piuttosto, che la richiesta di riduzione di disposizioni testamentarie o donazioni sia giustificata alla stregua di una rappresentazione patrimoniale tale da rendere verosimile, anche sulla base di elementi presuntivi, la sussistenza della lesione di legittima (Cass., Sez. 2, 27/8/2020, n. 17926; Cass., Sez. 2, 2/9/2020, n. 18199).
Partendo, in particolare, dalla considerazione secondo cui gli oneri di deduzione imposti al legittimario che agisce in riduzione non possono essere definiti autonomamente, ma in relazione alla nozione di lesione di legittima, alla natura e alla disciplina positiva dell’azione di riduzione quali emergono da un più ampio esame della giurisprudenza della Corte in tema di successione necessaria (ossia diritto del legittimario a conseguire una quota del patrimonio netto calcolato sulla base dei beni relitti e di quelli oggetto di disposizione a titolo donativo; lesione derivante da disposizioni testamentarie e da donazioni; operazione contabile della riunione fittizia con conseguente natura di antecedenti logici necessari di ciò che è stato donato e di ciò che è rimasto al decesso del de cuius ; inderogabilità dell’ordine da seguire nella riduzione), è stato sostenuto che il contenuto essenziale della domanda di riduzione di disposizioni testamentarie o donazioni lesive della quota di riserva non richieda formule sacramentali per denunciare la lesione, ma, implicando questa un confronto tra quanto il legittimario consegue
e quanto avrebbe diritto di ricevere (Cass., Sez. 2, 7/2/1964, n. 276) e dovendo la denuncia essere proposta in termini concreti e non come eventualità, imponga che venga fatta, già nella domanda, una certa rappresentazione patrimoniale, senza necessità di una enunciazione in termini aritmetici, purché ve ne sia emersione univoca in rapporto alla composizione del relíctum e del donatum rappresentata con la domanda, potendo la lesione essere ravvisata anche attraverso presunzioni semplici (Cass., Sez. 2, 19/1/2017, n. 1357; Cass., Sez. 2, 14/10/2016, n. 20830; Cass., Sez. 2, 7/5/1971, n. 1297), e che ad essa segua espressa istanza di volere conseguire la legittima (Cass., Sez. 2, 19/1/2017, n. 1357 cit; Cass., Sez. 2, 30/6/2011, n. 14473), attraverso la riduzione di una o più disposizioni testamentarie o donazioni, in conformità alla natura di impugnativa negoziale dell’azione di riduzione, mentre la c.t.u. non ha carattere esplorativo, rappresentando il mezzo normalmente preposto all’accertamento della lesione compiutamente dedotta (Cass., Sez. 2, 27/8/2020, n. 17926).
In linea con tali affermazioni si pone anche Cass., Sez. 2, 2/9/2020, n. 18199, allorché ha affermato che, poiché la causa petendi dell’azione di riduzione presuppone, oltre all’allegazione della qualità di legittimario, la specificazione dei beni che costituiscono il relictum e l’individuazione delle diverse attribuzioni che invece costituirebbero il donatum , onde assicurare la riunione fittizia e assolvere all’onere di imputazione posto dall’art. 564 cod. civ. a carico di colui che agisce in riduzione, la precisazione di tali elementi si riverbera con immediatezza sul contenuto dell’atto di citazione, atteso che l’allegazione degli elementi patrimoniali da prendere in considerazione ai predetti fini, consente al giudice, ove connotata da specificità, di procedere avvalendosi, se del caso, di una c.t.u. onde verificare la ricorrenza della lesione, mentre
l’eventuale carenza di prova in merito all’effettiva esistenza delle componenti patrimoniali destinate ad incrementare il relictum ovvero il donatum determina il rigetto della domanda o il suo accoglimento in misura inferiore rispetto a quanto richiesto, risolvendosi appunto non più sul piano delle attività assertive e di allegazione, ma sul diverso piano del soddisfacimento dell’onere della prova incombente su colui che agisce in giudizio.
Deve allora escludersi la fondatezza della doglianza, atteso che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, le attrici avevano enucleato nell’atto di citazione, in ordine cronologico, sia i beni relitti, sia quelli di cui il de cuius aveva disposto per testamento e per vendite simulate e chiesto sia la declaratoria di nullità e/o simulazione di questi ultimi atti, sia la riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive, così assolvendo a quei doveri di specificità che la natura dell’azione esercitata e la finalità con essa perseguita richiede.
2.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello omesso di rilevare la carenza di interesse delle attrici in relazione all’accertamento della natura simulata degli atti dispositivi posti in essere dal de cuius e quindi dalla COGNOME NOME, interesse che, in assenza di qualunque allegazione circa la portata lesiva delle quote di riserva dei predetti e in considerazione della conseguente inammissibilità della domanda di riduzione, non poteva che considerarsi insussistente.
2.2 Il secondo motivo è assorbito dal rigetto di quello precedente in ordine all’ammissibilità della domanda di riduzione proposta.
3.1 Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di
pronunciarsi sulle richieste istruttorie formulate dai ricorrenti nella comparsa di costituzione in primo grado e nella seconda memoria ex art. 183 cod. proc. civ. e reiterate nella comparsa di costituzione in appello, che avrebbero consentito di dimostrare il pagamento del corrispettivo delle vendite mediante rimesse di modico valore brevi manu o mediante accollo delle spese di vitto, alloggio e manutenzione del fabbricato in Spoltore da parte di NOME COGNOME, nonché la congruità del prezzo pagato da NOME COGNOME per l’acquisto dell’appartamento e lo stato dello stesso, salvo poi ritenere sfornite di prova le allegazioni dei predetti in merito all’effettività e genuinità delle vendite.
3.2 Il terzo motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. 6-1, 20/10/2017, n. 24830; Cass., Sez. 6-1, 5/7/2016, n. 13716; Cass., Sez. L, 18/3/2013, n. 6715; Cass., Sez. 3, 11/2/2009, n. 3357).
In quest’ultimo caso, la relativa doglianza (per esempio per omessa ammissione della prova testimoniale o altra prova) può essere proposta in cassazione solo nel caso in cui il vizio investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass., Sez. 6-1, 17/6/2019, n. 16214), derivando dalla mancata illustrazione della decisività del mezzo di
prova di cui si lamenta il mancato accoglimento l’inammissibilità della censura (Cass., Sez. 3, 6/11/2023, n. 30810).
Pertanto, il principio secondo cui la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ., benché la parte abbia offerto di adempierlo (Cass., Sez. 3, 25/6/2021, n. 18285), non può trovare ingresso quando il mezzo istruttorio omesso non abbia i caratteri della decisività in termini di certezza e questa non sia adeguatamente descritta nella censura, come accaduto nella specie.
Deriva da quanto detto l’inammissibilità della censura.
4.1 Col quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 e 1417 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito fatto mal governo delle norme afferenti al riparto dell’onere della prova, all’efficacia degli elementi presuntivi, al loro valore probatorio e al regime probatorio previsto in tema di simulazione, avendo considerato non provata l’effettività delle vendite poste in essere dal de cuius e ritenuto dimostrata, per contro, la natura simulata delle stesse sulla sola base del grado di parentela dei soggetti coinvolti e dell’asserito mancato pagamento dei corrispettivi, comunque ritenuti non congrui. Ad avviso dei ricorrenti, non poteva riconoscersi efficacia di piena prova né al rapporto parentale, posto che figlia e nipote del de cuius si erano allontanate da quest’ultimo che aveva trovato accoglienza nella famiglia della moglie, come avrebbero confermato i testi non sentiti; né all’asserito mancato pagamento del prezzo, essendo stato questo corrisposto con l’accollo delle spese di manutenzione, vitto e alloggio, e, per quanto riguarda il COGNOME, con gli assegni; né all’incongruità dei prezzi
pagati, in realtà non distanti dai valori accertati dal c.t.u. e, per quanto riguarda l’appartamento del COGNOME, giustificati dalla fatiscenza dello stesso e dal lungo periodo in cui era rimasto invenduto nonostante apposito incarico ad agenzia immobiliare. Infine, stante l’inammissibilità della domanda di riduzione, la prova avrebbe dovuto essere fornita mediante controdichiarazione scritta. 4.2 Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
Occorre innanzitutto evidenziare come la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configuri unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando si intenda lamentare, come nella specie, che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, e come la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. possa, invece, essere dedotta in termini di vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (come si legge, invece, nel motivo di ricorso) (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055).
La stessa doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016), aspetti questi non evidenziati però nel motivo, nel quale si deduce, invece, sostanzialmente che il giudice ha soltanto male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova.
Quest’ultimo vizio è però ravvisabile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016), ossia in caso di violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez . 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940), il quale non può però dirsi sussistente nella specie, avendo i giudici dato ampio conto delle ragioni poste a fondamento della decisione.
Quanto alla prova presuntiva, occorre osservare come la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., possa prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il
ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota (cfr. anche: Cass., Sez. 6 – 1, 26/02/2020, n. 5279 del; Cass., Sez. L, 21/10/2003, n.15737), o quando il ragionamento decisorio sia stato illogico o contraddittorio, senza che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass., Sez. 3, 11/5/2007, n. 10847; Cass., Sez. L, 21/10/2003, n. 15737; Cass., Sez. L, 17/4/2002, n. 5526).
Quando, invece, la critica si concreti, come nel caso in esame, nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. anche: Cass., Sez. 6 – 1, 26/02/2020, n. 5279 del; Cass., Sez. L, 21/10/2003, n.15737), non può ritenersi sussistente la dedotta violazione, spettando al giudice di merito valutare l’opportunità di fare o meno ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 3, 11/5/2007, n. 10847; Cass., Sez. L, 21/10/2003, n. 15737; Cass., Sez. L, 17/4/2002, n. 5526).
Ne consegue l’inammissibilità della censura.
Col quinto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 542 e 553 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito errato nella determinazione della quota di legittima, in quanto, facendo proprio il secondo progetto divisionale della perizia integrativa del
c.t.u., avevano assegnato alle attrici un appartamento ristrutturato a proprie spese da NOME COGNOME, ma valutato senza tener conto delle spese di ristrutturazione, come espressamente affermato dal medesimo c.t.u., così da attribuire alle predette una quota esuberante rispetto a quanto spettava loro e assegnare a NOME COGNOME una quota inferiore, per effetto dei conguagli, a quella di sua spettanza.
Col sesto motivo, si lamenta, infine, l’omesso esame di un fatto storico risultante dagli atti di causa e tale da incidere sull’esito del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di considerare che le quote concepite dal c.t.u. per il secondo progetto divisionale espressamente non tenevano conto dei lavori di ristrutturazione eseguiti da NOME COGNOME sull’appartamento in catasto al Fg. 10, p.lla 203, sub 10, così facendo sì che le quote assegnate alle legittimarie COGNOME NOME e NOME eccedevano in concreto il valore di quelle a loro spettanti a nocumento della quota di NOME COGNOME.
Il quinto e il sesto motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, siccome entrambi afferenti alla questione dell’incidenza, nella formazione del progetto di divisione, delle migliorie apportate ad uno degli immobili, ora trattata in termini di violazione di legge, ora di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è inammissibile.
Va, innanzitutto, premesso che, alla stregua di quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’intervenuto accertamento dell’entità della lesione subita da parte delle originarie attrici e la conseguente necessità di ridurre tanto la disposizione testamentaria, quanto le donazioni, ha fatto sì che insorgesse per l’effetto una comunione tra erede istituita e legittimarie, secondo le rispettive quote.
Orbene, come già sostenuto da questa Corte, lo scioglimento della comunione formatasi per effetto dell’accoglimento dell’azione di riduzione è soggetta alle regole ordinariamente dettate in materia, tra cui tanto la previsione di cui all’art. 726 cod. civ., in ordine alla necessità di attualizzazione della stima dei beni alla data dell’effettivo scioglimento (Cass., Sez. 2, 8/11/2023, n. 31125), quanto, evidentemente, il disposto di cui all’art. 748 cod. civ., che, collocato nell’ambito del capo II del titolo IV del Libro IV del codice civile, dedicato all’istituto della collazione, stabilisce che ‘ in tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione ‘, tali essendo quelle opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse, apportano al bene un aumento di valore, accrescendone il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto alla res in cui vanno ad incorporarsi (Cass., Sez. 2, 28/2/2020, n. 5527; Cass., Sez. 2, 8/10/2014, n. 21223).
Tale disposizione, partendo dal presupposto che le migliorie appartengano al bene dividendo per il principio dell’accessione, impone di tenerne conto ai fini della relativa stima, nonché della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli (Cass., Sez. 2, 28/2/2020, n. 5527; Cass., Sez. 2, 2/2/1999, n. 857), onde evitare che i coeredi non donatari possano ricevere un’indebita locupletazione dalle opere eseguite a spese del donatario, ottenendo la collazione di beni di valore superiore a quelli donati, per effetto di sacrifici patrimoniali sopportati solo dal donatario (Cass., Sez. 2, 22/12/2020, n. 29247).
Ciò comporta che il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 cod. civ. – secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza
dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso pro quota (e non per l’intero) delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore (Cass., Sez. 2, 21/2/2019, n. 5135; Cass., Sez. 6-2, 27/6/2013, n. 16206), affermazione questa che già evidenzia come non vi sia necessaria coincidenza tra l’ammontare delle somme suscettibili di essere richieste a titolo di rimborso e gli effetti sulla stima del bene che le migliorie eseguite possano produrre (in questi termini Cass., Sez. 2, 28/2/2020, n. 5527; vedi anche Cass., Sez. 2, 2/2/1999, n. 857; Cass., Sez. 2, 2009, n. 6982), con la conseguenza che, nel caso in cui tale domanda sia stata proposta, verrebbe meno qualunque locupletazione degli altri condividenti.
Orbene, questa Corte ha chiarito come la pretesa del donatario di dedurre migliorie e spese a norma dell’art. 748 cod. civ. non integri domanda riconvenzionale, ma semplice eccezione in senso lato, in quanto tale liberamente proponibile e rilevabile anche in grado d’appello, siccome inidonea ad ampliare il contenuto del giudizio divisorio, atteso che il patrimonio del donante non può comprendere quanto realizzato sul bene dal donatario (Cass., Sez. 2, 22/12/2020, n. 29247; Cass., Sez. 2, 26/11/2015, n. 24150).
La possibilità ottenere il rimborso non soltanto proponendo, nei termini, apposita domanda in tal senso, ma anche sollevando eccezione in senso lato, non esclude però che una siffatta difesa, implicante un accertamento di fatto, debba comunque essere svolta dalla parte interessata, sicché, nel caso in cui di essa non vi sia menzione nella sentenza impugnata, spetta a colui che rilevi la relativa omissione in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito,
ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (tra le tante in caso di novità della censura Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430).
Nella specie, la ricorrente COGNOME non ha affatto proceduto in tal senso, essendosi limitata a lamentare l’omessa valutazione, da parte dei giudici di merito, delle migliorie apportate al bene attribuito a COGNOME NOME e NOME e la conseguente locupletazione ottenuta da queste ultime, senza specificare né quando la questione fosse stata evidenziata in fase di merito e senza neppure descrivere con precisione entità delle opere eseguite e valore delle stesse.
Peraltro, proprio alla stregua delle sue stesse deduzioni, secondo cui le relative spese erano state sostenute da COGNOME NOME, deve escludersi intanto la legittimazione della condividente COGNOME ad avanzare qualunque pretesa sul punto, ma la stessa possibilità di evidenziare in via di eccezione la necessità di tenerne conto in sede di divisione, essendone il COGNOME rimasto estraneo in quanto escluso dalla comunione ereditaria, sicché questi soltanto proponendo apposita azione avrebbe potuto ottenere ristoro in tal senso.
Per quanto detto, deve dichiararsi l’inammissibilità delle due censure.
8. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo, l’assorbimento del secondo e l’inammissibilità dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/9/2024.