Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14243 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 20213-2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante il curatore fallimentare AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore.
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, con il quali elettivamente domicilia in Roma, a INDIRIZZO, presso lo studio dall’AVV_NOTAIO.
-controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , con cui elett.te domicilia in Roma alla INDIRIZZO.
contro
ricorrente
e ricorrente incidentale
contro
NOME, NOME, rapp.to e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno, depositata in data 13.12.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con atto di citazione, notificato il 29.01.1998, il RAGIONE_SOCIALE proponeva azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., 2393 e 2394 cod. civ., convenendo in giudizio gli amministratori e sindaci della società fallita per la condanna al risarcimento dei danni nella misura non inferiore alla differenza
tra attivo e passivo fallimentare, oltre interessi e maggior danno, ovvero al risarcimento dei danni cagionati alla società fallita e ai creditori nella misura emergente in corso di causa; in via subordinata, in caso di graduazione della responsabilità, per la condanna in solido, salvo regresso tra loro al risarcimento del danno in relazione al grado di responsabilità di ciascuno, da liquidarsi in via equitativa. Il Fallimento esponeva che gli amministratori si erano resi responsabili di gravi violazioni, accertate nella consulenza tecnica disposta in sede fallimentare e nella relazione del curatore ex art. 33 l. fall., consistenti: (i) in falso in bilancio; (ii) nella inosservanza dei doveri di convocare l’assemblea per i provvedimenti previsti dalla legge in caso di perdite rilevanti; (iii) nella creazione di liquidità fuori bilancio; (iv) nella violazione del divieto di contrarre in conflitto di interessi per operazioni inesistenti. Precisava il Fallimento che la RAGIONE_SOCIALE si era infatti costituita per utilizzare i finanziamenti per lo sviluppo delle aree industriali nelle zone colpite dal terremoto del 1980, previsti dalla legge n. 219/1981, (v) e che gli amministratori, pure in costanza del finanziamento erogato, non avevano provveduto a realizzare il collaudo finale degli impianti, (vii) che gli amministratori, ciò nonostante e al fine di coprire le rilevanti perdite di esercizio, e contravvenendo agli artt. 2446 e segg. Cod. civ., avevano appostato nell’attivo patrimoniale del bilancio immobili e beni s trumentali non appartenenti alla società in ragione del mancato collaudo finale e (viii) imputato tra le passività del patrimonio netto come riserva i contributi in conto capitale erogati dal Ministero, in assenza del definitivo provvedimento di ammissione del contributo. Il Fallimento riteneva dunque responsabili anche i membri del collegio sindacale per aver avallato i comportamenti degli amministratori ed omesso qualsiasi controllo, violando i doveri ad essi imposti dall’art. 2403 cod. civ.
2. Il Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 4344/2016, pubblicata in data 3 ottobre 2016, nella contumacia del solo COGNOME NOME (per il COGNOME NOME, si costituivano in corso di causa gli eredi in seguito al suo decesso), anche in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti in giud izio, rigettava la domanda attrice, compensando integralmente le spese del giudizio e ponendo le sole spese di Ctu a carico del Fallimento attore.
3. Avverso la sentenza di primo grado proponeva gravame il RAGIONE_SOCIALE, eccependo vizio di omessa valutazione degli atti di causa e di omessa pronuncia ovvero di falsa applicazione dell’art. 2947 cod. civ., anche in relazione agli artt. 223 e 217 l. fall., all’art. 157, 1 e 2 comma, cod. pen. 4. La Corte di appello di Salerno, con la sentenza sopra indicata in epigrafe e qui oggetto di ricorso per cassazione, ha rigettato l’appello, confermando pertanto la sentenza impugnata.
4.1 La Corte territoriale ha ritenuto che: (a) l’azione giudiziale avanzata dal curatore fallimentare dovesse essere qualificata come azione di responsabilità sociale e non già come azione dei creditori sociali di cui all’art. 2394 cod. civ., posto che: (i) con l’originario atto di citazione, il curatore fallimentare aveva evidenziato che, nel bilancio straordinario del 1993, la società fallita, allo scopo di coprire le rilevanti perdite di esercizio, aveva attribuito agli immobili aziendali un valore non veritiero, con conseguente violazione da parte degli amministratori, dell’obbligo di cui all’art. 2423 cod. civ., e con violazione, da parte degli stessi amministratori, dell’obbligo di convocare l’assemblea, per i provvedimenti di cui agli artt. 2446 e segg. cod. civ.; (ii) dalle ispezioni della Guardia di Finanza risultava altresì la creazione di liquidità fuori bilancio, che la contabilità era stata tenuta in modo da far apparire una situazione patrimoniale non corrispondente a quella reale e che gli ammi nistratori avevano violato il dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale; (iii) il curatore fallimentare aveva dunque concluso affermando che erano emersi fatti e comportamenti tali da concretare violazioni del dovere di diligenza degli amministratori, ivi comprese violazioni di contrarre in conflitto di interesse per operazioni inesistenti; (b) tale quadro, benché il fallimento attore avesse sottolineato che la responsabilità degli amministratori era sussistente anche nei confronti dei creditori, imponeva di qualificare l’azione, ai fini della prescrizione, come azione di responsabilità contrattuale verso la società; (c) il termine di prescrizione iniziale doveva dunque collocarsi al momento della presentazione del bilancio straordinario del 1993, vale a dire il 24.10.1993 (il 25.10.1993 la società aveva invece presentato ricorso per ammissione alla procedura di amministrazione controllata ed il 25.11.1993 il Tribunale ne aveva dichiarato
il fallimento); (d) per l’amministratore e in sindaci in carica, ai sensi dell’art. 2941 n. 7 cod. civ., il termine iniziale doveva invece collocarsi alla data della dichiarazione di fallimento (25.11.1993); (e) per gli amministratori cessati dalla carica, il termine iniziale doveva invece collocarsi alla data della predetta cessazione; (f) il termine finale corrispondeva all’atto di citazione in giudizio (collocabile dal 5 al 10 febbraio 1998); (g) la prescrizione era dunque maturata per COGNOME, COGNOME e NOME, in carica fino al 7.2.1989 e per COGNOME, COGNOME e COGNOME, in carica sino al 3.12.1992; (h) non era neanche sostenibile la tesi perorata dalla curatela secondo cui, essendo stata esperita azione penale, il termine di prescrizione si sarebbe trasformato nel termine stabilito per la prescrizione del reato, in quanto il processo penale Rg 1748/1996, nel quale erano stati imputati gli amministratori della società RAGIONE_SOCIALE, si era invero concluso con un provvedimento di non luogo a procedere (sent. n. 284 del 22.2.2007) per intervenuta estinzione dei reati per prescrizione e perché, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, se si estingue il reato per prescrizione, si estingue anche l’azione civile di risarcimento, a meno che il danneggiato, costituendosi parte civile nel processo penale, non interrompa la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., dovendosi ritenere tale effetto interruttivo con carattere permanente, come tale protraendosi per tutta la durata del processo; (i) pertanto il termine di prescrizione, nel caso di specie, doveva essere quello stabilito dal codice civile e dunque quinquennale, con le decorrenze sopra stabilite; (l) residuavano pertanto le sole posizioni dei sindaci COGNOME (e per esso gli eredi) e COGNOME, nonché COGNOME NOME, il quale restando contumace, non aveva eccepito la prescrizione, e COGNOME NOME, amministratore al momento del fallimento, per i quali la domanda risarcitoria doveva comunque essere disattesa; (m) per COGNOME, non vi era prova in atti per ritenere che se – sin dal primo momento in cui aveva assunto, nel mese di gennaio del 1993, la carica – avesse adempiuto ai suoi obblighi, il danno alla società, in conseguenza della già maturata irreversibilità della situazione maturata, potesse essere evitato; (n) per i sindaci -per i quali erano ipotizzabili in astratto profili di responsabilità per la mancata reazione alla illegittima copertura delle consistenti perdite di esercizio con la riserva
appositamente creata -tuttavia l’azione risarcitoria doveva ritenersi prescritta per tutti danni provocati da comportamenti anteriori al 5 febbraio 1993, posto che non si applicava ai sindaci la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 1941 n. 7 cod. civ. e d inoltre non erano stati accertati danni nel 1993 e successivamente.
La sentenza, pubblicata il 13.12.2019, è stata impugnata dal RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, cui hanno resistito con controricorso COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME, quest’ultimi due presentando anche ricorsi incidentali condizionati.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, intimati, non hanno svolto difese.
Il RAGIONE_SOCIALE ha depositato altresì controricorso ai ricorsi incidental.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il Fallimento ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 146 l. fall., con riferimento agli artt. 2393 e 2394 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato l’azione proposta dalla curatela fallimentare come azione sociale di responsabilità e non già (ed anche) come azione dei creditori sociali, così erroneamente ritenendo spirato il termine quinquennale di prescrizione dell’azione.
1.1 Sostiene invece il Fallimento che, sia nel giudizio di prime cure che in quello di appello, aveva dedotto che l’illegittima appostazione dei finanziamenti erogati in costanza della l. n. 219/1981, in assenza del definitivo provvedimento di collaudo -dipendente esclusivamente dal consapevole inadempimento degli amministratori -e l’utilizzo di tali somme come ‘riserve disponibili’ al fine di ripianare le perdite, così consentendo la prosecuzione lesiva dell’attività sociale rimanesse ro ‘fatt i ‘ produttiv i di danno
immediatamente rilevanti per i creditori sociali, con la conseguenza che l’impianto accusatorio , perorato nei gradi di merito del giudizio, risultava svolto proprio a tutela dei creditori sociali, in ragione della dedotta responsabilità degli amministratori chiamati a rispondere dell’inadempimento dei doveri inerenti la conservazione dell’integrità del capitale sociale der ivante dalla sua evidente insufficienza a soddisfare le pretese creditorie.
1.2 Si evidenzia ancora che l’azione esperita dal fallimento ex art. 146 l. fall. cumulava l’azione di responsabilità sociale e quella dei creditori, con la conseguenza che, con riferimento alla consumazione del termine prescrizionale, occorreva verificare se lo stesso fosse maturato con riferimento ad entrambe le azioni in discussione, impedendosi l’estinzione del dedotto risarcimento allorquando il decorso del termine non si fosse perfezionato con riferimento ad entrambe le azioni.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, sul rilievo che la Corte territoriale, nella sopra ricordata erronea qualificazione della domanda solo come azione di responsabilità sociale, avrebbe omesso di considerare anche i danni allegati nel corso dei giudizi di merito, come patiti anche dai creditori sociali, ‘in ragione dell’insussistenza di poste attive idonee a far fronte all’esposizione accertata in sede di formazione dello stato passivo’ .
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2394 cod. civ., con riferimento all’art. 146 l. fall., nonché degli artt. 2947 e 2949 cod. civ., sul rilievo che il momento dal quale far decorrere il termine prescrizionale resterebbe fissato, alternativamente, in quello della produzione del danno, coincidente con la dichiarazione di fallimento, ovvero quello nel quale si sarebbe inequivocab ilmente accertato che l’attivo della società non sarebbe stato più sufficiente al soddisfacimento dei creditori sociali con conseguente sbilancio negativo tra attivo e passivo nell’ambito della procedura concorsuale. Aggiunge il ricorrente che, anche con riferimento al danno prodotto dalla revoca dei contributi pubblici ex l. n. 219/1981, la Corte territoriale sarebbe incorsa in un ulteriore errore, laddove aveva
considerato -sia pure nell ‘ erronea prospettazione della diversa qualificazione della domanda -che il danno fosse rinvenibile con riferimento temporale al momento nel quale gli amministratori non avevano provveduto a completare la fase propedeutica al collaudo finale, nel mentre il danno si era invero concretizzato nel 1995, ovvero allorquando il Ministero competente aveva definitivamente revocato il contributo in esame, e dappoi aveva presentato domanda di insinuazione al passivo.
3.1 I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente -stante la stretta connessione delle questioni affrontate -e vanno accolti.
3.1.1 Ritiene il Collegio che le doglianze sono fondate già sotto il preliminare profilo della denunciata violazione dell’art. 146 l. fall., per come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, con la necessaria conseguenza dell’assorbimento delle ulteriori censure articolate nei motivi qui in esame.
Orbene, non può essere infatti dimenticato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, nella materia in esame, che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Ne discende che la mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale, lungi dal determinare la sua nullità per indeterminatezza, fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni (Sez. 1, Sentenza n. 23452 del 20/09/2019; Cass. n. 19340/2016). Tali azioni, peraltro, non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione (v. anche:
Cass. Sez. 1, sent. n. 24715 del 04/12/2015; Cass., sent. n. 15955 del 20/09/2012).
3.1.2 Ciò posto, risulta evidente, stante il profilo di autosufficienza delle doglianze articolate sul punto dal Fallimento ricorrente, che nella fattispecie in esame le statuizioni impugnate non solo confliggono frontalmente con il principio giurisprudenziale sopra ricordato secondo cui, nel caso di mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale, la domanda espressa dalla curatela fallimentare fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni (Cass. n. 23452/2019, cit. supra ); ma le stesse statuizioni espresse dalla Corte territoriale risultano in evidente contrasto con lo specifico contenuto della domanda avanzata dalla curatela fallimentare già innanzi al giudice di prima istanza e qui riportato, con deduzione autosufficiente, nei motivi di ricorso in esame (cfr. pagg. 3 e 14 del ricorso introduttivo). Ed invero, è la stessa motivazione della Corte di merito che, nella parte espositiva e riportando le conclusioni della curatela fallimentare, ricorda che l’azione era stata esperita anche a tutela degli interessi dei creditori sociali e nella successiva parte argomentativa si esprime in termini a dir poco perplessi e tautologici (cfr. pag. 16, sentenza impugnata, ove si fa riferimento ad una evidenza dei ‘fatti’ esposti nella domanda attrice).
A fronte di tale argomentazione poco comprensibile e comunque in contrasto con i sopra ricordati principi giurisprudenziali regolanti la materia, il Fallimento ricorrente ha evidenziato (e dimostrato per tabulas : cfr. pag. 16 del ricorso) che il contenuto dell ‘ originaria domanda era di tutt’altro tenore rispetto a quello inteso dalla Corte di appello nel ritenere che la curatela avesse inteso esperire solo la domanda di responsabilità sociale. In realtà, la domanda attorea invocava l ‘ impropria appostazione in bilancio di erogazione di finanziamenti pubblici -soggetto, invero, a collaudo, non adempiuto dalla società fallita beneficiaria del contributo – e la qualificazione delle anticipazioni dei finanziamenti come riserve disponibili impiegate per più esercizi a copertura delle perdite: si tratta, cioè, di circostanze incontrovertibilmente
denuncianti l’artata sufficienza del patrimonio sociale, nascosta fino alla fine ai creditori sociali.
3.1.3 L’accoglimento delle doglianze sotto il preliminare profilo della violazione dei predetti indici normativi indicati in rubrica assorbe anche l’esame dell’eccezione di inammissibilità del secondo motivo in ragione delle preclusioni di cui all’art. 348 -ter, ult. comma, c.p.c., sollevata dai controricorrenti.
Con il quarto mezzo si deduce vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 146 l. fall. e dell’art. 2394 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., nonché vizio di omessa valutazione sulle conseguenze di un fatto rilevante, pure ritenuto fondato dalla Corte di appello nel presupposto dedotto dalla curatela, ed oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Sostiene, cioè, il fallimento ricorrente che la Corte di appello avrebbe mal interpretato ed applicato la normativa di cui alla l. n. 219/1981 perché, sulla base di tali disposizioni normative, non si sarebbe potuto considerare come acquisiti i beni immobili e strumentali oggetto della contribuzione statale al patrimonio netto della società né tantomeno considerare appostabili in bilancio, come riserva disponibile, tali contribuzioni statali, posto che gli amministratori avevano colpevolmente non adempiuto all’obbligo di collaudo e d avevano ritenuto acquisiti i contributi che invece erano stati oggetto di provvedimento di revoca.
5.Il quinto mezzo denuncia inoltre violazione e falsa applicazione dell’art. 146 l. fall., con riferimento agli artt. 2393 e 2394 cod. civ., nonché all’art. 2947, 3 comma, con riferimento all’azione esercitata dal fallimento, ai sensi dell’art. 360, 1 comm a, n. 3, cod. proc. civ., nonché vizio di ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla sussistenza, al momento della proposizione dell’azione civile risarcitoria, del procedimento penale Rg 1039/97, e della successiva sentenza di intervenuta prescrizione dei reati resa dal Tribunale di Salerno nr. 284 del 22.2.2007 (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) ‘.
5.1 Il quarto e quinto motivo, per come sopra esposti, rimangono assorbiti dall’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso.
6. Il Fallimento produce anche un sesto mezzo di impugnazione, con il quale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2393, 2394, 2407 cod. civ., nonché dell’art. 2949 cod. civ., con riferimento all’art. 146 l. fall., ai sensi dell’art. 360, pr imo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché per vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di accertamento e di discussione tra le parti, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente prescritta l’azione nei conf ronti dei sindaci non considerando che il Collegio sindacale era rimasto in carica sino alla dichiarazione di fallimento della società ed era in carica in costanza temporale dei fatti di causa e per tale ragione non sarebbe potuto maturare alcun fenomeno di prescrizione sia con riferimento all’azione sociale di responsabilità che a quella esperita per i creditori sociali.
7. Il settimo mezzo denuncia vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sempre in relazione alla dichiarazione di prescrizione dell’azione nei confronti dei sindaci.
7.1 Anche il sesto e settimo motivo -che riguardano il profilo della declaratoria di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci -rimangono assorbiti dall’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, dovendo la Corte di appello riesaminare integralmente l’eccezione di prescrizione alla luce dei principi sopra ricordati e qui riaffermati, sia in relazione alla posizione degli amministratori che a quella dei sindaci.
L’ottavo motivo deduce infine vizio di ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2449 (vecchia formulazione) c.c., con riferimento all’azione esperita dalla curatela (art. 360, comma 1, n. 3) ‘ , sul rilievo che la Corte di appello, dichiarando la prescrizione dell’azione di responsabilità, non avrebbe esaminato il profilo dei danni cagionati ai creditori sociali e alla società.
8.1 Il motivo è all’evidenza inammissibile.
Sul punto giova ricordare che risulta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento
di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19442 del 16/06/2022).
Tale declaratoria di inammissibilità riguarda invero anche i due ricorsi incidentali condizionati, posto che il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza, cosicché è inammissibile il ricorso proposto dalla parte che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, proposto al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, fatta salva, anche in tal caso, la facoltà di riproporle dinanzi al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29662 del 25/10/20239; Cass. 12680/2003).
P.Q.M.
accoglie i primi tre motivi del ricorso principale; dichiara assorbiti il quarto, quinto, sesto e settimo motivo e inammissibile l’ottavo; dichiara inammissibili i ricorsi incidentali condizionati; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.3.2024