Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3981 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3981 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25476/2023 R.G. proposto da: COGNOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1082/2023 depositata il 28/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME citava in giudizio COGNOME NOME e NOMECOGNOME chiedendo l’immediata reintegrazione nel possesso dell’area cortilizia ivi compreso il tratto relativo alla scaletta insistente sul muro di contenimento ubicato tra i fabbricati di proprietà delle rispettive parti in causa, con conseguente rimozione di ogni ostacolo.
Si costituivano in giudizio NOME e NOME, i quali chiedevano rigettarsi l’azione di reintegra nel possesso,
Instaurato il contraddittorio, sentiti i sommari informatori, la fase cautelare si chiudeva con il rigetto della domanda di reintegrazione nel possesso.
L’ ordinanza veniva confermata con provvedimento di rigetto del reclamo proposto.
NOME COGNOME chiedeva disporsi il prosieguo nel merito del giudizio possessorio.
Il Tribunale di Paola, instaurato il contraddittorio, assunti interrogatorio formale e prova testimoniale, dichiarava la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di reintegrazione nel possesso dell’area cortilizia per cui è causa; rigettava la domanda di reintegra, rispetto al tratto relativo alla scaletta insistente sul muro di contenimento ubicato tra i fabbricati di proprietà delle parti, con riguardo alla condotta di chiusura della scaletta successiva al provvedimento emesso in data 2.12.11 dal Sindaco del Comune di Belvedere Marittimo; accoglieva la domanda di reintegra, rispetto al tratto relativo alla scaletta insistente sul muro di contenimento ubicato tra i fabbricati di proprietà delle parti, con riguardo alla condotta anteriore, compiuta nel novembre 2011; ordinava ai resistenti l ‘ immediata
reintegrazione del ricorrente nel possesso rispetto al tratto relativo alla scaletta insistente sul muro di contenimento ubicato tra i fabbricati di proprietà delle parti, con conseguente rimozione di ogni ostacolo ivi presente.
NOME e NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME resisteva al gravame e proponeva appello incidentale.
Nelle more del giudizio decedeva l’appellante principale NOME NOMECOGNOME con atto di intervento volontario si costituivano COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME in qualità di eredi, i quali aderivano integralmente al contenuto dell’atto di appello.
La Corte d’Appello rigettava sia l’appello principale che quello incidentale.
Nel caso in esame, COGNOME NOME aveva allegato l’esistenza di due distinte condotte di spoglio del possesso di una scaletta, poste in essere dai coniugi COGNOME, in periodi diversi benché ravvicinati. La prima attività di spoglio era avvenuta nel novembre 2011, allorquando la sig.ra COGNOME aveva posizionato assi di legno e materiali vari sulla scaletta, impedendo il passaggio a COGNOME NOME.
Pertanto, la Corte riteneva corretta la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza dell’animus spoliandi in capo agli appellanti, posto che l’arbitraria apposizione del materiale in data antecedente al provvedimento del Sindaco, aveva di fatto privato l’appellato del possesso del la scala in maniera ingiustificata .
Risultava, altresì, provato che dopo il sopralluogo del 29.11.11 e dopo l’apposizione della ringhiera da parte dell’istante e la rimozione del materiale veniva apposto altro materiale sulla scala dagli appellanti, per come confermato dagli stessi in sede di interrogatorio formale e dai testi COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Tuttavia, tale condotta era scriminata dal fatto che nello stesso verbale di sopralluogo, poc’anzi citato si da va atto della pericolosità della scala ( tale scala oltre ad essere fatiscente si presenta con una forte inclinazione e senza corrimano. Tenuto conto dello stato attuale dei luoghi , si consiglia di inibire l’accesso a tale scala in entrambi i sensi ponendo in opera idonea transennatura ). Successivamente, infatti, il Sindaco di Belvedere Marittimo, con raccomandata Prot. Gen. 21440, Rif. Prot. Gen. N. 20898, depositata diffidava loro ‘la messa in sicurezza della scala, mettendo in opera idonee transennature che ne inibiscono l’accesso in entrambi i sensi’ (cfr. Avviso del Sindaco di Belvedere Marittimo, Prot. Gen. 21440, Rif. Prot. Gen. N. 20898, depositata in atti).
Di conseguenza non poteva ritenersi sussistente, con riferimento alla condotta successiva al 29.11.11 il presupposto relativo all’animus spoliandi in capo ai coniugi COGNOME–COGNOME, essendosi li stessi limitati ad ovviare ad una situazione di pericolo accertata da un tecnico, mentre per il periodo antecedente, tale scriminante non può operare, in mancanza di un formale accertamento, nel contraddittorio delle parti della esistenza del pericolo.
11. COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. in quanto la motivazione è apparente ed incomprensibile in relazione all’elemento oggettivo di cui all’art. 1168 c.c..
Sarebbe incomprensibile la motivazione della sentenza impugnata laddove si afferma che risulta provato che il ricorrente di primo grado abbia dotato, dopo la sua chiusura, la scala di ringhiera e abbia rimosso il materiale che ne ostruiva il passaggio ma non è stato precisato se tanto sia avvenuto prima o dopo l’instaurazione del giudizio. Tale conclusione sarebbe disancorata dal quadro processuale atteso che la Corte ha esaminato due condotte e precisamente quella appena descritta che sarebbe la prima nonché quell a successiva all’ordinanza di chiusura emessa dal Sindaco del Comune di Belvedere Marittimo in data 02.12.2011 (doc. 11) per la quale la tutela possessoria è stata rigettata. Ne consegue che entrambe le condotte si sono verificate prima dell’instaurazione del giudizio interdittale. Orbene la Corte, quindi,
avrebbe dovuto rigettare la reintegra nel possesso anche in relazione alla prima condotta atteso che dall’istruttoria è emerso che lo COGNOME NOME aveva rimosso gli ostacoli rientrando nel possesso della scala.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
Non può condividersi la medesima parte motiva già riportata al capo n. 1 atteso che a seguito della prima condotta posta in essere dalla sig.ra NOME, nel novembre 2011, lo ‘spogliato’ ha rimosso gli ostacoli che si frapponevano al libero passaggio rientrando così nel possesso del bene. È pacifico in giurisprudenza che nel caso di spoglio posto in essere con più atti materiali, non può essere configurato un unico spoglio se dopo ciascun atto di spossessamento viene ripristinata ad opera dello spogliato la situazione precedente venendo meno il collegamento tra i vari atti, ciascuno dei quali va riferito ad un distinto periodo di possesso ( ex plurimis Cass. Civ. 901/86). Ne consegue che con riferimento alla prima condotta è da escludere la ravvisabilità di uno spoglio reprimibile con l’azione di reintegra nel possesso ex art. 1168 c.c. per carenza dell’elemento oggettivo stante la reazione posta in essere dal sig. COGNOME Daniele, che lo ha riportato nel libero e pieno godimento della scaletta. Se tanto non si fosse accertato la Corte non avrebbe dovuto considerare due condotte distinte bensì una.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni:
1° motivo: inammissibile. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022). Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’appello si pone ben al di sopra del minimo costituzionale.
2° motivo: inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma
violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021).
I ricorrenti si sono limitati a chiedere la decisione del ricorso senza offrire alcuna ulteriore argomentazione rispetto a quelle poste a sostegno dei motivi.
Preliminarmente deve richiamarsi la pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui: nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
4.1 Il collegio condivide le ragioni di inammissibilità evidenziate nella proposta.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato ed è possibile ricostruire il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione. Allo stesso modo la censura proposta dal ricorrente, anche là dove denuncia il vizio di violazione di legge, si risolve in una censura alla motivazione con la sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Peraltro questa Corte ha già avuto occasione di affermare che: In caso di spoglio o turbativa del possesso, la reintegrazione o la cessazione della turbativa, anche se intervenute, per iniziativa
Ric. 2023 n. 25476 sez. S2 – ud. 05/02/2025
spontanea del soggetto attivo, prima che il giudice gliene abbia fatto ordine ai sensi dell’art. 703 c.p.c., non eliminano l’interesse del soggetto passivo ad ottenere una sentenza che, benché non possa contenere quell’ordine, ormai inutile, esamini la fondatezza nel merito dell’azione possessoria, sia ai fini del necessario regolamento delle spese sia per la valutazione dell’eventuale ed accessoria domanda risarcitoria, dovendosi considerare, altresì, che una pronuncia di cessazione della materia del contendere, oltre all’esecuzione spontanea della rimessione in pristino, deve implicare pure il riconoscimento da parte del convenuto della illegittimità del suo operato (Sez. 2 – , Ordinanza n. 2991 del 31/01/2019, Rv. 652437 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 2.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda