Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8013 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8013 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16224 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME in proprio e quali socie amministratrici di RAGIONE_SOCIALE , rappresentate e difese dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
contro
ricorrenti
avverso la sentenza n. 650/2020 depositata il 9 dicembre 2020 della Corte di appello di Potenza.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 16 ottobre 1997 NOME COGNOME ha convenuto in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di socie amministratrici della società RAGIONE_SOCIALE, deducendo quanto segue. Egli ed NOME COGNOME, già soci di RAGIONE_SOCIALE, avevano ceduto le proprie quote di partecipazione nella citata società al prezzo di lire 1.000.000 per ciascuna quota e tale corrispettivo era stato determinato anche in considerazione della situazione economica e patrimoniale della società. Successivamente a tale cessione era stato disposto il mutamento della ragione sociale in RAGIONE_SOCIALE. Gli istanti hanno rilevato che, avendo prestato, prima della cessione, fideiussione per garantire un’apertura di credito concessa in favore di RAGIONE_SOCIALE, successivamente revocata, avevano dovuto corrispondere alla banca COGNOME, che aveva concesso il finanziamento, la somma di lire 5.500.000. Gli attori hanno quindi agito per ottenere il rimborso di quanto pagato.
Il Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci, ha pronunciato, in data 25 giugno 2012, sentenza con cui ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 2.840,51.
– La decisione è stata impugnata avanti alla Corte di appello di Potenza. Questa ha pronunciato la sentenza, pubblicata il 9 dicembre 2020, con cui, in riforma della decisione di primo grado, la domanda di NOME COGNOME è stata respinta.
Per quanto qui rileva, e in estrema sintesi, la Corte del merito ha escluso potesse dirsi provato che il prezzo della cessione delle quote sociali fosse stato determinato anche in considerazione della situazione economico-patrimoniale della società e che, quindi, quel corrispettivo
fosse stato «già scontato del valore della quota del debito con l’istituto bancario gravante sul cedente». Il Giudice di appello ha in altri termini escluso il diritto al rimborso fatto valere dall’originario attore « nella totale mancanza di elementi di giudizio che a ritenere che in sede di stipulazione del contratto in data 31 maggio 1990 le parti contraenti provveduto ad una specifica regolamentazione della ripartizione interna, tra cedenti e cessionarie, delle obbligazioni già contratte dalla società al momento della cessione e non ancora estinte»: obbligazioni tra cui rientrava quella avente ad oggetto il saldo debitore, alla data della conclusione dell’atto di cessione, del conto corrente assistito da apertura di credito.
Ricorre per cassazione, facendo valere due motivi, NOME COGNOME. Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di soci amministratori della società RAGIONE_SOCIALE. Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. e dell’art. 1950 c.c.. Si imputa alla Corte di appello di aver erroneamente sussunto la fattispecie concreta portata al suo esame nella disciplina dei rapporti interni tra socio cedente e socio cessionario di quote di partecipazione di società di cessione; rileva il ricorrente che il Giudice distrettuale avrebbe dovuto di contro fondare la decisione sulla previsione dell’art. 1950 c.c., circa l’azione di regresso del fideiussore nei confronti del debitore principale.
Col secondo mezzo è opposta la violazione degli artt. 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.. Si lamenta il vizio motivazionale in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, posto che la Corte di appello, occupandosi della disciplina dei rapporti interni tra soci cedenti e soci cessionari di partecipazioni in società di persone rispetto ai debiti contratti con i terzi, ha poi reso una statuizione anche nei confronti della società della quale NOME COGNOME e NOME COGNOME erano socie
ed amministratrici.
2. – Il ricorso è fondato.
Il ricorrente si duole, in buona sostanza, della riqualificazione della domanda da parte della Corte di appello: secondo l’istante, il Giudice del gravame avrebbe dovuto pronunciarsi sull’azio ne di regresso da lui svolta, quale fideiussore, nei confronti dei debitori principali – azione contemplata dall’art. 1950 c.c. -, mentre aveva invece statuito sulle ragioni di credito che lo stesso COGNOME poteva vantare nei confronti delle controparti sulla base dei rapporti intercorrenti tra il cedente e il cessionario della quota di partecipazione di una società di persone.
Ora, il giudice del gravame risulta vincolato alla qualificazione della domanda operata dal giudice di grado inferiore: infatti, il poteredovere del giudice di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo va coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni, sicché è precluso al giudice dell’appello di mutare d’ufficio la qualificazione ritenuta dal primo giudice, sulla quale, in difetto di gravame, si è formato giudicato interno (Cass. 3 luglio 2014, n. 15223; cfr. pure: Cass. 1 dicembre 2010, n. 24339; Cass. 30 luglio 2008, n. 20730; Cass. 12 aprile 2006, n. 8519).
La qualificazione della domanda posta alla base dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata in tanto può essere allora censurata nella presente sede, in quanto risulti difforme da quella assunta dal Tribunale, in assenza di gravame sul punto, o, all’opposto, in quanto la Corte si sia conformata a tale qualificazione nonostante questa fosse stata oggetto di impugnazione.
Si legge nella sentenza impugnata (pag. 2) che le odierne controricorrenti avevano lamentato, con l’appello, che la motivazione della decisione di primo grado fosse «incoerente e del tutto svincolata dalla natura della domanda azionata dalla controparte», oltre che dalle risultanze istruttorie e dai principi di diritto regolanti la fattispecie, e
che il Giudice di prime cure avesse « errato nel ritenere che l’attore, in qualità di socio cedente, avesse preteso il ‘ rimborso ‘ della somma corrisposta alla banca, avendo invece egli agito in veste di fideiussore sulla base del disposto dell’art.1950 c.c. senza tuttavia che fosse emergente in atti che le sigg.re COGNOME NOME e COGNOME NOME avessero assunto la qualità di debitrici principali». Erano state, quindi, proprio le odierne controricorrenti a domandare che la Corte di merito riconducesse la decisione sul piano del diritto di regresso azionato dall’attuale ricorrente.
In presenza di detta impugnazione, la Corte di appello non poteva ritenersi vincolata alla qualificazione operata dal Tribunale (quale che essa fosse), ma avrebbe dovuto riconsiderare la stessa basandosi sulla prospettazione originaria dell’attore, il quale (cfr. sempre pag. 2 della sentenza) aveva fondato la propria domanda sulla fideiussione da lui prestata, sul l’ingiunzione di pagamento emessa in favore della banca (beneficiaria della garanzia) per lo scoperto di conto corrente, sulla successiva corresponsione della somma di lire 5.000.000, in favore di COGNOME, da parte di esso COGNOME, e sulla conseguente pretesa che il medesimo istante aveva fatto valere nei confronti dei «debitori principali»: locuzione, questa, che si spiega proprio nella logica del regresso di cui all’art. 1950 c.c..
Ne discende che la pronuncia impugnata non avrebbe dovuto prendere le mosse dall ‘esistenza o meno di una disciplina degli accordi intercorsi tra cedenti e cessionari con riguardo alle obbligazioni contratte dalla società nel periodo anteriore alla cessione. Avrebbe dovuto, invece, anzitutto apprezzare se la società, quale debitrice principale, fosse tenuta a corrispondere, in forza del l’obbligazione di regresso, la somma per cui è causa all’odierno ricorrente nella sua veste di fideiussore.
Con riguardo alla predetta società, del resto, la sentenza sconta pure il vizio di motivazione denunciato col secondo motivo: la
circostanza, rimarcata nella sentenza, per cui NOME COGNOME e NOME COGNOME non si sarebbero fatte carico dell’obbligazione relativa all’estinzione del saldo debitore del conto corrente, non spiega, infatti, per quale ragione la società RAGIONE_SOCIALE, che pure aveva contratto il debito nei confronti della banca, si potesse sottrarre alla domanda di pagamento azionata, nei confronti di essa, da NOME COGNOME che tale debito aveva estinto.
Quanto, poi, alle due cessionarie delle quote, la loro posizione, in un giudizio basato sull’azione di regresso del fideiussore nei confronti della società , è marcata dall’art. 2269 c.c. (dettato per la società semplice, ma richiamato dall’art. 2293 c.c. per la società in nome collettivo), secondo cui chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio. La norma, come insegna la giurisprudenza di questa Corte, riguarda, appunto, la responsabilità verso i creditori sociali (Cass. 12 gennaio 2011, n. 525), e tra questi deve essere ricompreso il fideiussore della società che, avendo estinto l’obbligazione sociale, agisca in via di regresso verso la società e verso i soci.
Nel trattare della domanda proposta nei confronti delle dette COGNOME e COGNOME, la Corte di merito doveva quindi anzitutto misurarsi con la richiamata disciplina. Solo una volta ricondotta ad essa la fattispecie dedotta in lite avrebbe potuto interessarsi di altre questioni, attinenti ai rapporti personali tra i soci entranti e uscenti (sempre che esse fossero state tempestivamente introdotte in giudizio), al fine di accertare se si fossero mostrate in grado di paralizzare la domanda fondata sul diritto di regresso.
– Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.
La causa è rinviata alla Corte di Potenza che giudicherà in diversa composizione, regolando pure le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, che giudicherà in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione