Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 181 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 181 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14420/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (EMAIL che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME EMAIL, giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
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intimato –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 337/2021 depositata il 19/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’08/11/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE (nel prosieguo, per brevità, anche solo il Fallimento o la curatela) lamentava l’esistenza di un arricchimento in suo danno ed a ingiustificato vantaggio della BPSBanca Popolare di Sondrio, per effetto dell’avvenuto incasso da parte della stessa -circa quattro mesi prima della dichiarazione di fallimento ed avvenuto mediante l’incasso dell’assegno emesso da tale COGNOME Luca a favore della sRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE poi dichiarata fallita -della somma di euro 34.399,85 e la conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Bergamo, esercitando l’azione di indebito arricchimento onde recuperare la stessa somma all’attivo fallimentare.
In particolare il Fallimento allegava: che la banca era stata ammessa al passivo fallimentare per la somma di euro 479.596,89 in via privilegiata e per euro 67.696,92 in via chirografaria; che detto credito risultava dalla documentazione fornita dalla stessa banca; che, in occasione di una successiva analisi postuma all’esecutività dello stato passivo, il curatore ulteriormente rilevava l’incasso, da parte della banca, di un assegno bancario di euro 34.399,85; che la negoziazione dell’assegno, poi incassato dalla banca, era avvenuta in assenza di qualsivoglia imputazione a rapporti debitori tra l’istituto di credito e la società fallita.
Costituitasi in giudizio, la banca: in via preliminare eccepiva l’incompetenza per territorio del tribunale adito; sempre in via preliminare eccepiva l’improponibilità dell’azione ex art. 2042 cod. civ., peraltro anche rilevando la carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire da parte del Fallimento; nel merito
deduceva l’infondatezza della domanda attorea, stante l’assenza di conseguenze pregiudizievoli per la procedura concorsuale.
1.1. Con sentenza n. 1814/2019 del 19 novembre 2019 il Tribunale di Bergamo accoglieva la domanda attorea e per l’effetto accertava l’incasso dell’assegno emesso all’ordine di RAGIONE_SOCIALE nonché la mancata contabilizzazione dello stesso in relazione al credito ammesso al passivo fallimentare e, conseguentemente, condannava la Banca Popolare di Sondrio a pagare al RAGIONE_SOCIALE la somma pari all’importo dell’assegno – di euro 34.399,85 a titolo di indennizzo ex art. 2041 cod. civ., oltre gli interessi legali, ed oltre il rimborso delle spese processuali.
Avverso tale sentenza proponeva appello la BPS-Banca Popolare di Sondrio; si costituiva, resistendo al gravame, il Fallimento.
2.1. Con sentenza n. 337/2021 del 19 marzo 2021, la Corte d’Appello di Brescia rigettava il gravame, confermando la sentenza di prime cure.
Avverso tale sentenza la BPS propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resta intimato il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la banca ricorrente denuncia ‘Violazione delle norme sulla competenza ex art. 360 comma 1, n. 2, c.p.c.; l’erroneo riferimento all’operazione materiale di versamento dell’assegno; la violazione dell’art. 20 cpc in relazione all’art. 1182, terzo comma, cod. civ.’.
Lamenta che la corte bresciana ha ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Bergamo, decidendo in violazione del combinato disposto degli artt. 20 cod. proc. civ. e 1182 cod. civ.
1.1. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 17989/2016 hanno posto il principio di diritto secondo cui ‘Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’art. 1182, terzo comma, c.c., sono agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’art. 1219, comma secondo, n. 3, c.c., sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’art. 20, ultima parte, c.p.c. esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l’art. 38, ultimo comma, c.p.c.’ (v. anche Cass., 20/03/2019, n. 7722; Cass., 09/12/2021, n. 39028).
Orbene, nel caso di specie, la corte territoriale ha affermato la competenza per territorio del Tribunale di Bergamo in quanto foro del domicilio del creditore, cioè del Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, attore ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., ed ha quindi pronunciato conformemente al suindicato principio.
La banca ricorrente sostiene che l’obbligazione oggetto di causa non sarebbe liquida, donde l’erroneità della decisione del giudice d’appello, ma la censura è priva di pregio, dato che l’impugnata sentenza considera l’obbligazione indennitaria come obbligazione liquida in quanto il suo oggetto corrisponde all’importo dell’assegno incassato -senza titolo- dalla banca, in tal senso applicando il principio di diritto per cui ‘L’art. 1182, terzo comma, c.c., secondo cui l’obbligazione avente per oggetto una
somma di danaro dev’essere adempiuta al domicilio del creditore, si applica esclusivamente nel caso in cui la somma sia già determinata nel suo ammontare ovvero quando il credito in danaro sia determinabile in base ad un semplice calcolo aritmetico e non si renda necessario procedere ad ulteriori accertamenti, mentre quando la somma deve essere ancora liquidata dalle parti, o, in loro sostituzione, dal giudice, mediante indagini e operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione il quarto comma dell’art. 1182, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza’ (v. di recente Cass., 15/01/2024, n. 1387 che, in un caso in cui era stato dedotto l’inadempimento della banca in relazione alla negoziazione di assegni bancari non trasferibili, ha ritenuto che il credito fosse determinabile mediante somma aritmetica della provvista degli assegni di traenza, pagati a soggetti diversi dall’avente diritto).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento all’erronea e/o la mancata applicazione dei principi di residualità dell’azione di cui all’art. 2041 c.c. con riferimento agli artt. 67 e 69 bis l.f.’.
Lamenta che la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il secondo motivo di appello, con il quale essa banca aveva censurato la sentenza del Tribunale di Bergamo nella parte in cui aveva accolto la domanda di indebito arricchimento proposta dal Fallimento attore, senza considerare il carattere sussidiario e residuale di tale azione e senza considerare come il curatore avesse a disposizione un’altra azione tipica, quale l’impugnazione dello stato passivo ovvero la revocatoria fallimentare, a nulla rilevando che essa si fosse nel frattempo prescritta.
2.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, per un verso, correttamente richiama
il consolidato principio di diritto secondo il quale ‘il carattere di sussidiarietà dell’azione di arricchimento ne comporta l’improponibilità ogni qualvolta una diversa azione sia in astratto ipotizzabile, non rilevando poi che, in concreto questa sia divenuta improponibile per intervenuta decadenza’, per cui ‘la proponibilità dell’azione generale di arricchimento, la cui esperibilità va valutata in astratto, deve essere negata tutte le volte che il depauperato abbia a disposizione altra azione utile per farsi indennizzare del pregiudizio subito, a nulla rilevando che sia decaduto da essa’(v. in particolare Cass., Sez. Un., n. 33954/2023), per altro verso, tuttavia, espressamente esclude che nel caso di specie il Fallimento avesse a disposizione altra azione alternativa rispetto a quella di indebito arricchimento.
Sotto tale ultimo profilo, la motivazione dell’impugnata sentenza, sebbene stringata, in primo luogo lascia intendere che unica legittimata alla impugnazione del passivo fallimentare nella ricorrenza dei relativi presupposti- poteva essere la banca e non anche la curatela (v. p. 6); in secondo luogo si fonda sulla considerazione per cui la curatela non poteva esperire la revocatoria fallimentare, in quanto la somma di cui all’incassato assegno non era stata contabilizzata nel conto corrente sulla base del quale la banca si è insinuata al passivo.
Costante orientamento di questa Suprema Corte afferma, in relazione al chiaro tenore dell’art. 67 l.f., che possono essere oggetto di revocatoria fallimentare, sempre che abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca, le rimesse effettuate su conto corrente bancario, mentre, nel caso di specie, dell’incasso dell’assegno non vi è alcuna contabilizzazione sull’unico conto corrente già in sofferenza, per cui, sulla base di tale rilievo in fatto e conformemente ai suindicati principi di diritto, la corte di merito ha escluso l’esperibilità di altra azione alternativa ed ha ritenuto
ammissibile l’esercizio dell’azione ex art. 2041 cod. civ.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. sempre con riferimento alla mancata prova dei presupposti a fondamento dell’azione di indebito arricchimento come richiesti dall’art. 2041 c.c.’.
3.1. Il motivo è infondato.
Invero, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito ha argomentato circa la provata esistenza dei presupposti di esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, sul rilievo della mancanza di titolo o causa del versamento e del successivo incasso dell’assegno, dato che la somma non è stata contabilizzata nel conto corrente in sofferenza in forza del quale la banca si è insinuata al passivo, ed ha espressamente affermato: ‘Neppure poteva il Curatore promuovere azione revocatoria fallimentare. La Banca ha ammesso di avere trattenuto l’assegno in oggetto (versato in data 10/12/12) ma l’ha incassato senza dare alcuna comprovata giustificazione al suo operato. L’importo dell’assegno non è stato accreditato sul conto corrente esistente (già passato in sofferenza al momento dell’incasso), né risulta provata dalla documentazione da essa prodotta, l’esistenza di un rapporto di debito/credito extra conto corrente … La Banca parla di copertura di un Riba (di € 33.399,85 a carico di Gualdi NOME RAGIONE_SOCIALE andata insoluta in data 7/12/12 ma non è stato provato né che sia stato concesso un fido per tale importo alla SEI B, né che tale fido sia stata dalla società effettivamente utilizzato. Non è stata infatti documentata l’esistenza di un conto ulteriore (extra a quello di conto corrente, già girato a sofferenza) dove la presunta somma risulti prima addebitata, quale anticipo a favore della società e poi accreditata a copertura dell’insoluto. Le distinte prodotte non comprovano le operazioni che la banca dichiara di aver contabilizzato’ (così le
pp. 67 dell’impugnata sentenza).
Priva di pregio, infine, è l’ulteriore censura che compone il motivo, e cioè che il Fallimento neppure avrebbe prodotto lo stato passivo e non avrebbe provato l’esistenza di ‘una diminuzione patrimoniale in danno al fallimento’ (v. p. 17 del ricorso).
Con motivazione congrua e scevra da vizi logico-giudici la corte di merito ha ritenuto che l’unica azione esperibile nel caso di specie fosse quella di indebito arricchimento, mentre la suindicata censura da un lato non risulta correlata alla motivazione (v. Cass., 22/04/2022, n. 8036), d’altro lato sollecita a questa Suprema Corte un riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità (tra le tantissime, v. (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese, non avendo il Fallimento intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’8 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME