Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4246 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2   Num. 4246  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
Sentenza
sul ricorso n. 36524/2018 proposto da:
COGNOME NOME , difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME , difeso da ll’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ;
-controricorrente – avverso  la  sentenza  della  RAGIONE_SOCIALE  di  appello  di  Bologna  n.  2647/2017 del l’8/11/2017 .
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Ascoltate le osservazioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ascoltato l’AVV_NOTAIO per il ricorrente.
Fatti di causa
Nel 2005 NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Parma NOME AVV_NOTAIO, in proprio e quale titolare della RAGIONE_SOCIALE Premetteva l’attore di aver venduto al convenuto il 29/12/1997 Kg 100.000 di quota latte «A», essendone titolare di Kg 1.287.500,
partitamente venduti nella stessa data, oltre che al convenuto, ad altri 9 imprenditori agricoli, al prezzo di £ 550 al Kg. Si era convenuto che il pagamento del prezzo sarebbe avvenuto in due rate di pari importo scadenti la prima al momento del recepimento del trasferimento della quota sul bollettino Aima ex art. 4 co. 2 l. 468/92, la seconda entro i sessanta giorni successivi. L’acquirente aveva versato un acconto di £ 15.000.000, in attesa di tale pubblicazione, che tardava in conseguenza di una controversia sulla titolarità delle quote in capo al COGNOME. Essa veniva definita in favore di quest’ultimo con una sentenza del Tribunale di Bologna del 2004. Pertanto, l’attore domandava in giudizio il pagamento del saldo del prezzo e in via subordinata e sussidiaria esercitava l’azione di indebito arricchimento per i l godimento della quota latte in capo al convenuto nell’arco di circa sette anni, dal 1997 al 2004. Quest’ultimo eccepiva il mancato avveramento della condizione sospensiva per la corresponsione del prezzo (cioè, il mancato recepimento del trasferimento della quota sul bollettino Aima) e argomentava che non sussistevano le condizioni di ammissibilità dell’azione di indebito arricchimento. Nel 2008 in primo grado venivano respinte le domande dell’a ttore: quella di pagamento del residuo del prezzo per mancato avveramento della condizione del recepimento del trasferimento della quota nel bollettino Aima; quella di arricchimento senza causa per mancanza del requisito della residualità. Viceversa, in secondo grado veniva accolta la subordinata di arricchimento senza causa.
Ricorre in cassazione l’acquirente convenuto con due motivi, illustrati da memoria. L’ordinanza interlocutoria del 5/4/2023 rimetteva la trattazione della causa all’udienza pubblica per la rilevanza nomofilattica della questione relativa ai presupposti dell’azione di arricchimento senza causa e in particolare al suo carattere residuale rispetto all’ esercizio di una azione di risarcimento del danno nei confronti di un terzo. Resiste il venditore attore con controricorso. In prossimità dell’udienza, il ricorr ente ha depositato ulteriormente memoria.
Ragioni della decisione
1. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. poiché la RAGIONE_SOCIALE di appello ha ritenuto ammissibile l’azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento. Se ne argomenta l’inammissibilità per difetto di residualità e per la sussistenza di una giusta causa. In particolare, ci si duole che, muovendo dalla necessaria unicità del fatto generatore dell’arricchimento e dell’impoverimento e dalla esclusiva identificazione di quest’ultimo nel rapporto sinallagmatico, la RAGIONE_SOCIALE di appello abbia implicitamente escluso che l’azione risarcitoria nei confronti della p.a. responsabile del ritardo (dopo la sentenza del Tribunale di Bologna del 2004) nella validazione della cessione della quota potesse qualificarsi come «altra azione» ex art. 2042 esperibile dall’impoverito.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2041 c.c. nei criteri utilizzati dalla RAGIONE_SOCIALE per quantificare l’equo indennizzo.
2.1. – Il primo motivo è fondato.
«L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito». Il tenore letterale dell’art. 204 2 c.c. delinea il carattere sussidiario nei termini più ampi. L’azione di arricchimento senza causa è ammissibile solo se l’impoverito non può altrimenti « esercitare un’altra azione » in giudizio (per farsi indennizzare). L’ enunciato rinvia direttamente al codice di procedura civile, precisamente al libro primo «Disposizioni generali», il cui titolo terzo è intitolato per l’appunto «Dell’esercizio dell’azione» (art. 99 ss.). Già le intitolazioni rivelano il taglio sistematico del primo libro. Il terzo titolo rinvia direttamente al concetto del diritto (o potere) di azione, come elaborato dalla dottrina del diritto processuale civile (tedesca e italiana) a cavallo tra i secoli XIX e XX e recepito poi, oltre che nel codice di procedura civile del 1942, nella Costituzione italiana del 1948 (art. 24 co. 1).
Con l’attenzione rivolta all’impatto sulla nozione di sussidiarietà/residualità dell’azione di arricchimento senza causa (e quindi alla pronuncia sul caso
di  specie),  due  sono  i  tratti  salienti  della  recezione  italiana  del  moderno concetto  dell’azione:  (a)  la  sua  atipicità  (con  conseguente  superamento dell’idea di tipicità delle azioni giudiziarie); (b) il suo essere un diritto/potere rivolto ad ottenere un provvedimento di merito (quale che sia) sul diritto fatto valere in giudizio (con conseguente superamento dell’idea dell’azione in senso cd. concreto: come provvedimento di merito favorevole all’attore).
Al fine di pronunciarsi sul caso di specie, i risvolti del secondo tratto possono essere messi da parte (essi rileverebbero la fine di saggiare la coerenza del dischiudere l’azione di arricchimento in caso di carenza ab origine del titolo giustificativo, come recentemente ribadito da Cass. SU 33954/2023, ma il profilo è qui irrilevante).
Rileva invece l ‘indicazione del primo dei due tratti (atipicità), ove si chiarisce che dal punto di vista sistematico non si scorgono ragioni (se non come riflesso della concezione superata) per negare che l’altra azione esperibile dall’impoverito (la cui sussistenza esclude l’ammissibilità dell’azione di arricchimento) possa essere atipica. Anzi: si scorgono ragioni affinché essa debba essere atipica, nel senso predicato dalla teoria del diritto di azione. Q uest’ultima ha consentito di superare i limiti propri di un sistema di tutela giurisdizionale che ancora avvertiva l’influenza del carattere di tipicità delle azioni proprio del diritto romano classico, ed ha costruito l’azione come atipica nella sua essenza, cioè come diritto processuale che ha per presupposto la semplice affermazione della titolarità di un diritto sostanziale, riconosciuto come tale dall’ordinamento, e per contenuto il potere di ricorrere alla tutela giurisdizionale statale, senza che sia necessario invocare delle norme giuridiche che ricolleghino di volta in volta tale potere al singolo diritto (o alla singola categoria di diritti) e/o alla singola violazione (o alla singola categoria di violazioni) da far valere in giudizio. In sintesi, sulla base sia dell’interpretazione letterale, che dell’interpretazione sistematica, il carattere della atipicità deve afferire pure all’«altra azione » di cui all’art. 2042 c.c.
Nondimeno, comprensibilmente, questa conclusione ha impiegato del tempo per farsi strada nella giurisprudenza di questa RAGIONE_SOCIALE, che aveva dapprima avvertito piuttosto di dover mitigare la sussidiarietà in astratto (l’unica compatibile con i due menzionati tratti del concetto moderno dell’azione) ed aveva adottato praeter legem la soluzione secondo cui l’ammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento è condizionata alla mancanza – accertabile anche d ‘ufficio – di un’azione «tipica» (con un’aggettivazione non casualmente risalente alla concezione ormai superata), qualifica ndo come tale l’azione derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una (peraltro non meglio identificata) «fattispecie determinata». Ciò aveva reso ammissibile l’azione di arricchimento senza causa (anche) quando l’altra azione esperibile dall’interessato fosse prevista da «clausole generali», e in particolare si trattasse dell’azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (così, Cass. 4620/2012, 4765/2014, 27827/2017 e 843/2020). In altre parole, l’esperibilità di un’azione sulla base di una clausola generale non sarebbe stata tipica e quindi non avrebbe messo fuori gioco (in forza della clausola di sussidiarietà/residualità) l’azione di arricchimento senza causa.
Finalmente l’incongruenza è stata superata con la recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 33954/2023, ove si chiarisce che l’art. 2042 c.c. configura la regola della sussidiarietà in termini generali, senza distinguere tra le diverse azioni proponibili in via principale, e quindi si rigetta nettamente il precedente orientamento che reputava sempre ammissibile l’azione di arricchimento, ove l ‘ «altra azione» proponibile sia fondata su «clausole di carattere generale». Ciò perché l’idea sottesa all’art. 2042 c.c. «è quella di preservare la certezza del diritto ed evitare elusioni della norma, ammettendo che si possa agire con l’azione di arricchimento anche nei casi in cui la domanda principale non sia stata coltivata o sia andata perduta per il comportamento colpevole del titolare».
Un distinto profilo di atipicità concernente l’«altra azione» ex art. 2042 c.c., rilevante per la pronuncia nel caso di specie, è che essa -al fine di escludere l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa – non necessita di avere come legittimato passivo il soggetto che si è arricchito. È davvero superfluo ricordare che né dal testo dell’art. 2042 c.c. , né dal sistema, traspare alcun indizio che il destinatario dell’altra azione debba coincidere con il destinatario dell’azione di arricchimento senza causa (risultato acquisito anche anteriormente a Cass. SU 33954/2023, cfr., fra le altre, la stessa Cass. 843/2020).
2.2. – Ritornando al caso di specie, dalla prospettiva appena enucleata deriva che il giudice di primo grado ben aveva dichiarato inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, poiché essa non aveva il carattere di sussidiarietà/ residualità richiesto dall’art. 2042 c.c., in considerazione della circostanza che l’impoverito attore (attuale controricorrente) ben avrebbe potuto -all’indomani della citata sentenza del Tribunale di Bologna del 2004 – proporre una domanda di risarcimento del danno nei confronti della RAGIONE_SOCIALE. per la mancata validazione del contratto di cessione della quota latte.
Quest’ultima circostanza è riconosciuta indirettamente dalla stessa sentenza di appello, laddove osserva che: «Nella vicenda in questione, il comportamento della p.a. risulta corretto, almeno sino all’emanazione della sentenza del tribunale di Bologna , avendo dovuto sospendere il procedimento di validazione del contratto stipulato, pendendo controversia sulla effettiva titolarità del bene». Implicitamente, ciò significa che l’emanazione di tale sentenza risolutiva della controversia in senso favorevole al cedente e poi attore in arricchimento senza causa aveva tolto fondamento per il futuro alla correttezza della sospensione del procedimento di validazione , cosicché l’ulteriore dilazione di quest’ultima si era connotata di quell a negligenza da porre a fondamento di un’azione
risarcitoria da promuovere ad opera del cedente (impoverito) nei confronti della pRAGIONE_SOCIALEa.
Senonché la RAGIONE_SOCIALE di appello sostiene che l’interpretazione adottata dal giudice di primo grado può essere superata «da una più condivisibile lettura del principio di sussidiarietà, pure elaborato» dalla giurisprudenza di questa RAGIONE_SOCIALE:  lettura  che  però  non  regge,  al  più  tardi,  alla  luce  di  Cass.  SU 33954/2023.
– In questi termini, è accolto il primo motivo, è assorbito il secondo motivo, è cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, è rinviata la causa alla RAGIONE_SOCIALE di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La RAGIONE_SOCIALE accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia la causa alla RAGIONE_SOCIALE di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23/1/2024.