Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6679 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6679 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14665/2020 R.G. proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1159/2019 depositata il 22/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– Con sentenza dell’11 luglio 2014, n. 2902 il Tribunale di Lecce accolse la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE contro Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, condannandola al pagamento della somma di € 132.251,36, oltre interessi legali, a titolo di restituzione delle somme indebitamente percepite per interessi debitori ultralegali convenuti con riferimento agli usi di piazza e con capitalizzazione trimestrale, spese e commissioni, relativi ai contratti di conto corrente n. 193430/76 e n. 9187/02, conclusi tra le parti.
– La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 22 ottobre 2019, n. 1159, in accoglimento parziale dell’impugnazione proposta dalla banca, ha emesso sentenza di mero accertamento, dichiarando che, alla data della notifica dell’atto di citazione, il saldo del conto corrente n. 9187/02 era pari ad € 114.812,62, condannando altresì la curatela alla restituzione delle somme percepite in base alla sentenza impugnata.
– La Corte territoriale ha ritenuto (per quanto ancora rileva) che:
il pagamento dell’indebito ex art. 2033 c.c. presuppone una dazione di denaro non dovuta, mentre la procedura non ha mai prospettato l’effettiva dazione di danaro in favore della banca, risultando che il conto corrente n. 9187 è in realtà confluito su altro conto n. 9702, totalmente estraneo al giudizio; dunque, si tratta di una mera posta contabile;
esisteva, tuttavia, l’interesse del correntista ad una sentenza di mero accertamento in relazione al proprio debito, ed in tal senso ha provveduto, sulla base delle risultanze probatorie in atti.
4. – Avverso la sentenza ricorre per cassazione la banca per un motivo, cui resiste con controricorso la curatela, che deposita anche memoria.
CONSIDERATO CHE
5. – L’unico motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 c.c., 100 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., incongruenza e insufficienza di motivazione, avendo la corte territoriale ritenuto di pronunciare una sentenza di mero accertamento, quando invece l’attore aveva chiesto solo la condanna della banca al pagamento dell’indebito ex art. 2033 c.c., e per avere la corte territoriale provveduto ad accertare un fatto, anziché di un diritto, con carenza di interesse della controparte; l’inammissibilità di una domanda di accertamento di un mero fatto, infatti, è principio affermato dalla C.S. (la ricorrente cita Cass., sez. un., SS.UU sentenza n. 27187 del 20/12/2006), mancando in tal caso anche l’interesse ad agire; una corretta applicazione dell’art. 112 c.p.c. avrebbe dovuto imporre la declaratoria d’inammissibilità della domanda di ripetizione».
6. – È stata formulata proposta di definizione anticipata ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. sulle considerazioni che: « esso difetta, in primo luogo, di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., in quanto omette di riportare l’esatto contenuto delle domande proposte, al fine di permettere alla Corte di verificare se vi fosse inclusa una domanda di accertamento delle poste indebitamente computate: infatti, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. quale corollario del requisito di specificità dei motivi -anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 -esige che il ricorrente indichi in modo sufficientemente
preciso il contenuto degli atti che richiama all’interno delle censure e provveda a segnalare la loro presenza negli atti del giudizio di merito, così «localizzandoli» (Cass., sez. un., 18.3.2022, n. 8950); -il motivo è ulteriormente inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c., in quanto senza argomenti adeguati intende contrastare i consolidati orientamenti di questa Corte, secondo cui, da un lato, sussiste l’interesse alla domanda di accertamento, presupposto di ogni domanda anche di condanna, allorché proprio di una situazione giuridica (il debito) si tratti, e non certo di un fatto mero, come ha appunto accertato dal giudice del merito, senza che la conclusione sia stata in nessun modo validamente censurata dalla ricorrente; e, dall’altro lato, si pone contro il principio costante in tema di conto corrente bancario, per il quale l’assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l’interesse di questi all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime (Cass. 4.3.2021, n. 5904; Cass. 5.9.2018, n. 21646); infatti, tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (così Cass. cit.): al riguardo, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso (cfr. già Cass., sez. un., 2.12.2010, n. 24418, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in
motivazione, Cass. 15 gennaio 2013, n. 798); – nel caso concreto, come correttamente opinato dalla Corte distrettuale in linea con il richiamato orientamento di legittimità, il correntista, in una situazione quale quella in esame contrassegnata dall’assenza di rimesse solutorie da lui eseguite, ha un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l’esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo; – il motivo è altresì inammissibile, ove lamenta una insufficienza di motivazione, non più contemplata nell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., come risultante dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 ».
Nell’istanza di fissazione dell’udienza la banca ricorrente ha sviluppato gli argomenti svolti a contrastare la valutazione prognostica di inammissibilità contenuta nella proposta di definizione anticipata.
RITENUTO CHE
7. – Il ricorso è inammissibile.
È vero che il ricorso, alle pagine 11-12 contiene la trascrizione delle conclusioni spiegate dal RAGIONE_SOCIALE nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ma è viceversa fondata la valutazione d’inammissibilità concernente il transito del saldo del conto numero 9187, tramite giroconto, sul diverso conto numero 9702.
Come è stato anche di recente ricordato: « Quanto alla dedotta inammissibilità della domanda di accertamento per carenza di interesse in presenza di un conto aperto, il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire come sussista l’interesse del correntista, anche prima della chiusura del conto, e pure in assenza di rimesse solutorie, all’accertamento
giudiziale della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con riaccredito delle somme illecitamente addebitate dalla banca, atteso che tale accertamento mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (cfr., da ult., Cass. 21646/2018) » (Cass. 15 febbraio 2024, n. 4214). Tale il principio richiamato nella proposta di definizione anticipata.
L’obiezione formulata dalla banca ricorrente, ed illustrata nella predetta istanza di fissazione di udienza, è svolta nel modo che segue: « Il principio, a ben leggere, è sempre lo stesso: il correntista ha certamente diritto all’accertamento del saldo del proprio conto corrente, ma sempre e comunque all’esclusivo fine di veder riconosciuto un ulteriore diritto (che deve essere formalmente azionato nella causa) che può essere quello di veder condannata la banca al pagamento dell’indebito ovvero a rettificare il saldo (condanna ad un obbligo di fare), ma in alcun caso la statuizione può rimanere finalizzata a determinare l’ammontare del rapporto bancario ad una certa data: laddove in quest’ultimo caso, si tratterebbe solo dell’accertamento di un fatto giuridicamente rilevante. D’altronde principio cardine del nostro ordinamento positivo, eppure posto al centro di tutte le pronunce giurisprudenziali richiamate in quest’istanza, è quello secondo cui una pronuncia giudiziale non possa mai investire un fatto ma esclusivamente un diritto ».
Ora l’affermazione in sé è complessivamente distonica rispetto all’orientamento ricordato, e non si misura con la realtà della controversia in atto, giacché si versa nella specie in ipotesi di
consecuzione tra due distinte pattuizioni, l’una concernente un primo rapporto di conto corrente, l’altra concernente un distinto rapporto di conto corrente, nel quale è ad un dato momento confluito il saldo del primo rapporto, in tal modo conclusosi: e cioè, si versa qui in una situazione tutt’affatto sovrapponibile a quella dell’azione di accertamento proposta in pendenza di un rapporto di conto corrente ancora aperto.
Sicché non può essere condiviso l’assunto secondo cui l’accertamento avrebbe avuto ad oggetto un mero fatto, giacché si tratta di un accertamento strumentale alla verifica del rapporto di dare-avere concernente il conto numero 9702, riguardo al quale l’accertamento del saldo del conto numero 9187 funziona esattamente nello stesso modo in cui funzionerebbe l’accertamento del saldo ad un dato momento in un conto ancora aperto, che non avesse subito il peculiare transito di cui si è detto.
E cioè resta fermo che la banca ricorrente, a fronte della giurisprudenza di questa Corte, ha inammissibilmente dedotto che l’azione di accertamento proposta avrebbe avuto ad oggetto un mero fatto e non un diritto.
8. – Il ricorso è dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Va fatta applicazione come in dispositivo dei commi terzo e quarto dell’articolo 96 c.p.c.. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, ed inoltre al pagamento, in favore della stessa parte controricorrente, della
somma di € 8.000,00, nonché, in favore della cassa delle ammende, di quella di € 2.500,00, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis . Così deciso in Roma, il 5 marzo 2024.