Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34106 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34106 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3789/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE i n persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore , COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, tutte elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che le rappresenta e difende;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7224/2021, depositata il 03/11/2021 e notificata il 6/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma accoglieva parzialmente la domanda di RAGIONE_SOCIALE incorporante la RAGIONE_SOCIALE e condannava in solido RAGIONE_SOCIALE e le sue garanti, RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 100.399,21, ritenendo la società RAGIONE_SOCIALE inadempiente all’obbligo assunto con il contratto di transazione del 14 ottobre 2008.
Con detto accordo era stato sciolto anticipatamente il contratto di affitto di ramo d’azienda relativo all’attività alberghiera e alla connessa attività di ristorazione, da svolgersi all’interno dell’immobile, di proprietà dell’affittante, sito in Fabro (TR), denominata RAGIONE_SOCIALE, prevedendo che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE il complessivo importo di euro 410.000,00, oltre a quello di euro 150.000,00, secondo quanto previsto dall’art. 5, a mente del quale le parti avrebbero valutato, finché RAGIONE_SOCIALE non avesse riaperto l’attività di ristorazione e comunque fino al 31/12/2009, il reciproco interesse ad affittare nuovamente a RAGIONE_SOCIALE il solo ramo d’azienda riguardante il servizio di ristorazione ad un canone non maggiore di quello stabilito in precedenza, pari ad euro 43.382,38, e che ove la mancata stipulazione di detto nuovo contratto nel termine pattuito fosse dipesa da RAGIONE_SOCIALE quest’ultima avrebbe corrisposto a RAGIONE_SOCIALE l’importo di euro 150.000,00.
Il tribunale riteneva accertato che la convenuta aveva versato acconti solo per complessivi euro 309.600,79 e, di conseguenza, la
condannava al pagamento di quanto ancora dovuto, cioè euro 100.399,21, ma, non reputando verificate le condizioni per il pagamento dell’ulteriore importo di euro 150.000,00, rigettava la domanda di pagamento di detta somma, basata sull’asserito inadempimento degli obblighi assunti con la clausola n. 5 del contratto, e la correlata domanda risarcitoria.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7224/2021, pubblicata il 3 novembre 2021, notificata il 6 dicembre 2021, ha confermato la sentenza del tribunale, rigettando l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima ricorre ora per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE resistono con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La società ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE denunzia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui è stata respinta la domanda di pagamento dell’importo di euro 150.000,00, formulata in virtù dell’art. 5 dell’atto transattivo del 14 ottobre 2008, perché la corte d’appello, pur non condividendo la tesi del tribunale che aveva escluso che detta pattuizione, qualificata come clausola penale, potesse essere collegata alla mancata conclusione di intese da raggiungere sulle condizioni del futuro contratto di affitto, ha poi disatteso la domanda perché non ha ritenuto provato che la mancata conclusione del contratto fosse imputabile alla società RAGIONE_SOCIALE
Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una motivazione carente, fondata su un ragionamento del giudice a quo del tutto apodittico.
Il motivo è infondato.
La corte territoriale ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto di non poter imputare la mancata conclusione del contratto alla società RAGIONE_SOCIALE Ha basato detta conclusione sulle seguenti circostanze: a) dopo aver manifestato interesse alla conclusione del contratto, tramite la missiva del 6 aprile 2009, in risposta all’offerta, del 30 marzo 2009, della società RAGIONE_SOCIALE la ricorrente non aveva poi contattato <>, vi era stati solo alcuni contatti via email tra le due società, a fine giugno e fine luglio 2010, dopo oltre un anno dal precedente contatto e 6 mesi dopo la scadenza del termine 31 dicembre 2009; b) l’inadempimento della clausola n. 5 del contratto di transazione era stata eccepita solo giudizialmente; c) senza alcun riscontro nel dato letterale dell’accordo transattivo né nel comportamento stragiudiziale successivo, l’odierna ricorrente aveva indicato come causa della mancata conclusione del contratto il ritardo nell’ultimazione dei lavori di manutenzione straordinaria necessari e indifferibili che avevano determinato la chiusura dell’attività, su ordine delle autorità competenti, e, quindi, la risoluzione anticipata del precedente contratto di affitto.
La motivazione riferita supera il minimo costituzionale, richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte in termini di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, motivazione apparente, manifesta ed irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa od incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054 e la consolidata giurisprudenza successiva).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1331 cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
La sua tesi è che la corte d’appello, dopo aver sostenuto che l’art. 5 del contratto transattivo imponeva di verificare la eventuale responsabilità della società concedente per la mancata conclusione del contratto nei termini indicati, una volta accertato il reciproco interesse ad affittare nuovamente il ramo di azienda di ristorazione e rilevata l’avvenuta dimostrazione da parte sua della permanenza dell’interesse all’affitto, confermata dal riscontro, tramite la raccomandata a.r. del 6 aprile 2009, della proposta della RAGIONE_SOCIALE del 30 marzo 2009 di concedere in locazione l’azienda di ristorazione per cui è causa <> erano quelli richiamati all’art. 5 della scrittura sottoscritta in data 14 ottobre 2008, avrebbe dovuto ritenere che l’accordo sulla conclusione del nuovo contratto di affitto si era già perfezionato con la raccomandata a.r. della GE.AL. del 6 aprile 2009 e che non era necessario che facesse altro. In sostanza, la RAGIONE_SOCIALE ipotizza che tra le parti fosse intercorso un patto di opzione, il quale determina <> (Cass. n. 25462/2017). Avrebbe, dunque, errato la corte d’appello quando ha rigettato la domanda per non aver ritenuto manifestato in concreto l’interesse al nuovo contratto, avrebbe piuttosto dovuto accertare l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, avrebbe dovuto condannarla al pagamento dell’importo di euro 150.000,00.
Il motivo è inammissibile.
Assume carattere assorbente il mancato soddisfacimento delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. che codificano il principio di autonomia e di autosufficienza del ricorso: anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950).
Nella specie, la ricorrente non ha messo questa Corte nella condizione di conoscere il contenuto della proposta inviatale dalla controricorrente cui sostiene di aver prestato adesione con la raccomandata del 6 aprile 2009.
L’art. 1331 cod.civ., la cui applicazione è evocata con il motivo qui scrutinato, implica, infatti, la sussistenza di una proposta irrevocabile che per essere tale deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto, al fine di consentire al destinatario della stessa di valutare la convenienza dell’affare e di scegliere se stipulare o meno il contratto mediante la propria accettazione e senza necessità di ulteriori dichiarazioni del proponente, perché diversamente il perfezionarsi del contratto non può conseguire all’accettazione dell’opzionario (Cass. 29/10/1993, n. 10777; Cass. 10/09/2004, n. 18201).
Ora, nel caso di specie, la ricorrente non fornisce nessun elemento a supporto della tesi che con la raccomandata del 6 aprile 2009 si fosse determinata la conclusione del contratto, non bastando affatto la riproduzione nel ricorso dello stralcio del contenuto di tale raccomandata nella parte in cui rinviava <> richiamati all’art. 5 della scrittura sottoscritta in data 14 ottobre 2008. Detta clausola, che è stata riportara nel ricorso rinviava, una volta accertato <> il solo ramo aziendale riguardante il servizio di ristorazione, a <>; il che non si concilia con il convincimento della ricorrente che i termini del contratto fossero già stati definiti dall’art. 5 dell’accordo transattivo dell’ottobre 2008.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in subordine rispetto ai motivi precedenti, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1566 cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., rilevando che avendo accettato la proposta della RAGIONE_SOCIALE di prendere nuovamente in locazione l’azienda di ristorazione, in applicazione dell’art. 1566 cod.civ., RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto considerarsi inadempiente.
Il motivo è inammissibile.
Anche questo motivo presta il fianco alla declaratoria di inammissibilità, perché, in violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ., la ricorrente non ha fornito gli elementi dai quali desumere che vi fosse stata una denuntiatio da parte della controricorrente.
All’infondatezza e all’inammissibilità dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 29 novembre 2024 dalla