Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27775 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27775 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7219/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
contro
ricorrente
avverso il decreto del Tribunale Milano n. 344/2020 depositato in data 15/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Milano, con decreto del 15/1/2020, ha respinto l’opposizione alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo dell’RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria proposta da RAGIONE_SOCIALE e finalizzata a ottenere il riconoscimento della natura prededucibile del credito di € 2.336.670,45, ammesso al passivo in via chirografaria.
Il Tribunale ha osservato: a) che, ai sensi del
comma 1 ter., convertito con modificazioni dalla
, i crediti anteriormente sorti sono prededucibili, in via d’eccezione, nel solo caso della compresenza di tutti requisiti stabiliti dal legislatore, ovvero quando si tratti di crediti di piccole e medie imprese verso una società posta in amministrazione straordinaria che gestisce almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, individuato con d.m. del Presidente del Consiglio, e che siano relativi a prestazioni necessarie al risanamento ambientale, alla sicurezza e alla continuità dell’attività degli impianti produttivi essenziali, funzionali alla procedura di ristrutturazione industriale prevista dal medesimo decreto legge; b ) che il d.l. n. 91 del 2017, art. 8,comma 1 bis, conv. dalla L. n. 123 del 2017, norma di interpretazione autentica con la quale il legislatore ha chiarito che rientrano nella categoria dei crediti prededucibili di cui all’art. 3, comma 1 ter cit. quelli delle imprese di autotrasporto che consentono le attività ivi previste e la funzionalità degli impianti produttivi dell’RAGIONE_SOCIALE, va letto in stretta correlazione con la disposizione interpretata, e va, dunque, inteso
nel senso che la prededuzione va riconosciuta ai soli crediti derivanti da prestazioni di trasporto funzionali agli impianti essenziali o al risanamento ambientale; d) che, nel caso concreto, l’opponente non aveva fornito la prova della sussistenza dell’elemento dimensionale, e cioè di essere una piccola o media impresa (PMI), essendosi limitata a produrre l’autocertificazione relativa agli anni 2012 e 2014 laddove le prestazioni si erano svolte nel 2014; e) che in ogni caso la sussistenza delle soglie finanziarie previste dagli artt. 2, 4 e 5 della raccomandazione 203/361/CE avrebbe dovuto esse provata mediante documentazione e non semplicemente allegata con autocertificazione.
3 RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi, la procedura ha svolto attività difensiva con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione del regolamento UE nr. 251/2014 e dell’art. 2697, comma 2 c.c, in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 c.p.c. : l’impugnato provvedimento viene criticato per aver ritenuto insufficiente l’autocertificazione attestante il possesso dei requisiti necessari per la qualificazione come piccola o media impresa quando invece la raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003 prevede espressamente l’incondizionata facoltà dell’impresa di dichiarare i dati relativi alle soglie dimensionali previste dalla disciplina in questione. Secondo la ricorrente la dichiarazione aziendale innesca una presunzione di possesso di status di piccola e media impresa suscettibile di prova contraria ad opera degli organi di controllo.
1.1 Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 3 comma 1 ter del d.l. nr. 347/2003: la ricorrente censura il collegamento operato dal Tribunale tra la disciplina speciale dell’art. 3 d.l. citato e quella
relativa al privilegio generale delle imprese artigiane ai sensi dell’art. 2751 bis nr. 5 c.c. Il Tribunale sarebbe caduto in contraddizione in quanto, pur avendo definito l’art 3 comma 1 ter della l. 347/2003 norma speciale ed eccezionale, avrebbe poi prescelto un criterio interpretativo analogico.
1.2 Il terzo motivo prospetta ‘omesso esame del meccanismo di calcolo della dimensione dell’impresa in riferimento all’annualità di riferimento dei dati di bilancio e occupazionali (art. 360 c.p.c co.1 nr. 5 )’: si sostiene che l’impugnato decreto ha errato nel ritenere che le dichiarazioni di non superamento dei limiti dimensionali fossero da considerare riferite agli anni 2012 e 2013 non tenendo conto della circostanza, asseritamente decisiva ai fini del decidere, costituita dal previsione della normativa europea di regole e criteri di determinazione dei limiti dimensionali in base ai dati contabili dei due esercizi antecedenti e non già con riferimento all’anno in cui sono state effettuate le prestazioni.
2 I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto hanno ad oggetto il comune thema decidendum dell’individuazione dei mezzi di prova utilizzabili per la dimostrazione della qualità di piccola o media impresa, ai fini del riconoscimento della prededuzione di cui al d.l. n. 347 del 2003, art. 3, comma 1-ter, sono infondati.
2.1 L’art. 2 della predetta raccomandazione 2003/361/CE, espressamente richiamata dall’art. 3 comma 1 ter del più volte citato d.l., dispone che: ‘1. La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. 2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. 3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone
e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR ‘.
2.2 Il decreto impugnato nel negare qualsiasi efficacia probatoria all’autocertificazione della ricorrente attestante il mancato superamento delle soglie finanziarie ed occupazionali previste per la qualificazione come piccola o media impresa, si è allineato all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’autocertificazione, prevista dal d.p.r.. n. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46 può risultare idonea ad attestare, sotto la propria responsabilità, fatti a sé favorevoli esclusivamente nell’ambito di un rapporto con la Pubblica Amministrazione e nei procedimenti amministrativi nei quali ne è consentita l’utilizzazione, mentre non può assumere alcun valore probatorio, neppure indiziario, nell’ambito del giudizio civile, la cui disciplina non consente alle parti di avvalersi di proprie dichiarazioni come elementi di prova a proprio favore, restando altrimenti eluso l’onere della prova, dal quale la parte è dispensata soltanto per effetto della mancata contestazione o dell’ammissione dei fatti ad opera della controparte ( cfr., tra le tante, Cass. 17358/2010, 17358/2005 e 6755/2010) .
Tale principio, con ripetute pronunce di questa Corte rese anche in controversie sovrapponibili al presente giudizio, è stato ritenuto applicabile anche alla materia in esame in virtù del disposto dell’art.3, comma 5, della raccomandazione 2003/361/CE, il quale, nel disporre che ” le imprese possono dichiarare il loro status di impresa autonoma, associate o collegata, nonché i dati relativi alle soglie di cui all’art. 2 “, non estende affatto l’ambito applicativo dell’autocertificazione al di fuori dell’area dei procedimenti amministrativi, ma si riferisce, come risulta dal primo e dal quattordicesimo considerando, esclusivamente alla prova da fornire per accedere agli interventi nazionali o comunitari di sostegno alle microimprese, alle piccole ed alle medie imprese, mirando ad agevolare ed accelerare il trattamento amministrativo dei relativi
dossier, senza peraltro escludere l’operatività dei controlli previsti dalle normative nazionali e comunitarie. Il regime probatorio di favore previsto dalla raccomandazione ai fini dell’accesso agli interventi di sostegno, così come quello agevolato previsto in via generale nell’ambito delle procedure amministrative, non esclude pertanto che, ove il riconoscimento del diritto venga richiesto in via giudiziale, colui che intende farlo valere debba dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti, avvalendosi dei mezzi di prova tipici ed atipici ordinariamente consentiti. Tale conclusione, per quanto riguarda la fattispecie in esame, non si pone in alcun modo in contrasto con la ratio della prededuzione prevista dal comma 1-ter, la cui finalità di tutelare i crediti maturati dalle piccole e medie imprese che abbiano effettuato prestazioni in favore dell’RAGIONE_SOCIALE nel periodo anteriore alla dichiarazione d’insolvenza non giustifica di per sé alcuna agevolazione sul piano probatorio, e non dispensa quindi l’impresa creditrice dall’onere di fornire, oltre alla prova del credito vantato, quella dei presupposti richiesti per il riconoscimento della prededuzione, da ritenersi tanto più necessaria in considerazione del carattere eccezionale della norma in esame, introdotta in deroga al principio generale di cui all’ , e quindi di stretta interpretazione (cfr. Cass. 4553/2022, 5018/2022, 19210/2023 e 17386/2023).
2.3 Stante l’infondatezza della doglianza sulla asserita valenza dell’autocertificazione a fornire prova dei fatti attestati -ratio decidendi che da sola è idonea a sorreggere la decisione di rigetto del ricorsosi rivela inammissibile, per carenza di interesse, l’ulteriore censura veicolata con il terzo motivo che investe il meccanismo di calcolo della dimensione dell’impresa in riferimento all’annualità di riferimento dei dati di bilancio e occupazionali. Il ricorso è, pertanto, rigettato.
3 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessive € 8.200, di cui € 200 per spese, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 3 ottobre 2024