Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3399 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3399 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16450/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL).
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, quale società di gestione del fondo comune di investimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘, rappresentate e
difese, anche disgiuntamente fra loro, dagli AVV_NOTAIOti prof. NOME COGNOME (EMAIL), NOME (EMAIL) e NOME (EMAIL, fax NUMERO_TELEFONO), virtù di procure
NOME COGNOME in speciali in calce al presente atto, su foglio separato, ed elettivamente domiciliate presso lo studio degli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE), in Roma, INDIRIZZO. -controricorrenti e ricorrenti incidentali-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2581/2020 depositata il 11/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE (all’epoca denominato RAGIONE_SOCIALE con socio RAGIONE_SOCIALE), premesso di aver condotto in locazione l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Milano dal 29 dicembre 1997 sino al 31 dicembre 2015, inizialmente da RAGIONE_SOCIALE, poi da RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, ERE, usufruttuaria di RAGIONE_SOCIALE dal 2003) e infine da RAGIONE_SOCIALE (conferitaria dell’immobile e locatrice per i giorni intercorrenti tra il 23.12.2015 e la fine del rapporto), chiedeva l’accertamento della nullità, per contrasto con l’art. 79, l. 392/1978, di una scrittura privata del 13 marzo 2003, anche denominata <>, con la quale sarebbe stato illegittimamente aumentato il canone originariamente
pattuito, formulando le seguenti articolate conclusioni: ‘1. accertare e dichiarare la nullità della scrittura privata del 13.3.2003 per tutti i motivi di cui in atti, e conseguentemente condannare: a) RAGIONE_SOCIALE a restituire ad RAGIONE_SOCIALE gli importi di cui in atti medio tempore pagati da RAGIONE_SOCIALE per effetto della scrittura privata del 13.3.2003 in più rispetto a quanto originariamente dovuto a titolo di canone di locazione in virtù di quanto a suo tempo previsto dal Contratto di locazione del 29.12.1997 e, in particolare: i) € 7.082.11 quale incremento non dovuto del 5% del canone per ‘esecuzione delle ‘migliorie’ (o qualsivoglia altro titolo) o nella maggiore o minore misura dovesse emergere in corso di causa, e ii) € 309.460 quale incremento non dovuto del canone per effetto dell’applicazione annuale del 100% ISTAT, o nella maggiore o minore misura dovesse emergere in corso di causa; il tutto oltre rivalutazione e interessi anche anatocistici sulla somma così rivalutata, decorsi e decorrenti sull’importo capitale dalla data del pagamento e sino al momento delle effettiva restituzione o le diverse maggiori o minori somme che dovessero emergere in corso di causa; b) RAGIONE_SOCIALE restituite ad RAGIONE_SOCIALE gli importi di cui in atti medio tempore pagati da RAGIONE_SOCIALE per effetto della scrittura privata del 13.3.2003 in più rispetto a quanto originariamente dovuto a titolo di canone di locazione in virtù di quanto a suo tempo previsto dal Contratto di Locazione del 29.12.1997, e in particolare: i) € 22.058,85 quale incremento non dovuto del residuo canone di locazione dal 23.12.2015 al 31.12.2015; ii) € 106.051,50 quale incremento non dovuto dell’indennità di occupazione dell’RAGIONE_SOCIALE dall’1.1.2016 al 15.2.2016 calcolata sull’ultimo canone di locazione ingiustificatamente maggiore per effetto della nullità dell’accordo modificativo del canone del 13.3.2003: il tutto oltre rivalutazione e interessi anche anatocistici sulla somma così rivalutata, decorsi e
decorrenti sull’importo capitale dalla data del pagamento e sino al momento della effettiva restituzione o le diverse maggiori o minori somme che dovessero emergere in corso di causa; 2. In via di mero e denegato subordine rispetto a quanto sopra sub 1, con riferimento alla sola rivalutazione annuale del canone in base all’indice ISTAT in ogni caso condannare ERE, a restituire ad RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 79.615,00 da essa in corso di tempo percepito a titolo di maggiorazione del canone per l’applicazione del 25% dell’incremento annuale ISTAT eccedente la soglia massima consentita del 75% dell’incremento annuale ISTAT o di cui all’art. 32 L. 392/1978, sempre per l’importo capitale di cui sopra o nella maggiore o minore misura dovesse emergere in corso di causa, oltre rivalutazione e interessi anche anatocistici sulla somma così rivalutata, decorsi e decorrenti sull’importo capitale dalla data del pagamento e sino al momento della effettiva restituzione; 3. Accertare e dichiarare che RAGIONE_SOCIALE è inoltre tenuta a corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE la penale per ritardata riconsegna dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 13 del Contratto 29.12.1997 pari a € 546.516,00 o alla maggiore o minore somma che dovesse emergere in corso di causa e, conseguentemente, condannarla al pagamento del detto importo oltre rivalutazione e interessi anche anatocistici sulla somma così rivalutata dal dovuto al saldo effettivo, contestualmente accertando e dichiarando che RAGIONE_SOCIALE non è tenuta a corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE alcuna penale e/o indennità per la ritardata riconsegna dell’RAGIONE_SOCIALE, né ai sensi dell’art. 13 del Contratto 29.12.1997, né ad altro titolo, subordinatamente riducendo il relativo importo per effetto della compensazione con quanto dovuto da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE a qualsivoglia titolo o ragione. … Con vittoria di spese e onorali di lite oltre accessori come per legge’.
1.2. Si costituivano resistendo RAGIONE_SOCIALE ed ERE, in particolare
deducendo che il nuovo canone era stato pattuito al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale, alterato dagli ingenti investimenti che la locatrice, in forza di una scrittura coeva (denominata ‘RAGIONE_SOCIALE Migliorie’), aveva sostenuto per finanziare l’esecuzione di lavori di miglioria dell’RAGIONE_SOCIALE congiuntamente individuati dalle parti ed eseguiti direttamente da RAGIONE_SOCIALE, ed assumendo le seguenti conclusioni: ‘NEL MERITO: I. rigettare le avverse domande di nullità dell’RAGIONE_SOCIALE Integrativo NOME, quelle correlate di pagamento nei confronti di NOME e di NOME nonché la domanda di pagamento della penale ex art. 13 del Contratto di Locazione avanzata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME; IN VIA RICONVENZIONALE: IN INDIRIZZO. condannare RAGIONE_SOCIALE a versare in favore di NOME l’importo di € 2.540.047,95 (ovvero quello diverso che dovesse essere accertato in corso di causa), a titolo di indennità per l’occupazione dell’RAGIONE_SOCIALE e/o di penale per la ritardata riconsegna dell’RAGIONE_SOCIALE per il periodo 15.2.2016 23.6.2016, oltre interessi di mora maturati e maturandi sugli insoluti ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 231/2002, da ogni singola scadenza sino al saldo e anatocismo; III. condannare ATA a restituire ad NOME l’importo di € 469.510,34 quale differenza tra l’indennità versata e quella effettivamente dovuta, ovvero quel diverso importo che dovesse essere accertato in corso di causa, oltre IVA, se dovuta, ed interessi di mora maturati e maturandi ex art. 4 del D.Lgs. 231/2002 e anatocismo; IN INDIRIZZO, per la denegata ipotesi di accoglimento della avversa domanda di nullità, IV. condannare ATA a restituire ad NOME l’importo di € 1.225.335,25 quale differenza tra l’indennità versata e quella effettivamente dovuta per effetto della dichiarata nullità e della conseguente rideterminazione del canone di locazione, ovvero quel diverso importo che dovesse essere accertato in corso di causa, oltre IVA se dovuta ed interessi moratori ex D.Lgs. n.
231/2002, e anatocismo; nonché V. compensare quanto in ipotesi dovuto ad ATA con quanto da essa dovuto ad ERE e/o RAGIONE_SOCIALE per i titoli di cui al presente giudizio. VI. Con vittoria di spese ed onorari ed accessori di legge.’.
1.3. Parallelamente NOME, ritenendo che la tardiva riconsegna a fine locazione dell’RAGIONE_SOCIALE a fine locazione fosse imputabile esclusivamente a RAGIONE_SOCIALE, depositava ricorso monitorio, con cui chiedeva e otteneva dal Tribunale di Milano che fosse ingiunto a RAGIONE_SOCIALE il pagamento della indennità di occupazione e di penali contrattuali.
1.4. RAGIONE_SOCIALE proponeva quindi opposizione, in cui si costituivano resistendo RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, nuovamente fondata sull’illegittimo aumento del canone da un lato, nonché, per altro verso, sulla debenza della penale per ritardata riconsegna.
1.5. Nel corso dei due procedimenti, assegnati al medesimo magistrato e poi riuniti, RAGIONE_SOCIALE deduceva che l’RAGIONE_SOCIALE Integrativo ERE, anche laddove fosse stato ritenuto valido, sarebbe comunque stato applicato erroneamente a suo danno e, pertanto, chiedeva la restituzione di quanto essa riteneva di avere pagato in eccesso rispetto al dovuto sulla base della scrittura impugnata.
Tale domanda veniva contestata da COGNOME e NOME, in quanto nuova e dunque inammissibile e tardiva, e comunque perché infondata.
1.6. Con sentenza del 27 febbraio 2019 il Tribunale di Milano: accoglieva la domanda di nullità dell’RAGIONE_SOCIALE Integrativo RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla clausola che prevedeva l’applicazione dell’adeguamento ISTAT oltre il 75%; dichiarava inammissibile la domanda ‘nuova’ di ripetizione di quanto asseritamente versato in eccesso ‘in caso di validità’ dell’RAGIONE_SOCIALE Integrativo ERE, per la pretesa erronea applicazione di detta scrittura; accertava la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per la tardiva riconsegna dell’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, condannandola a pagare l’indennità di occupazione e la penale contrattuale, per l’effetto revocando il decreto ingiuntivo emesso per un diverso importo.
Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, in cui si costituivano resistendo NOME ed ERE.
Con sentenza n. 2581/2020 dell’11/12/2020 la Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
Resistono NOME ed NOME con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi, condizionato all’accoglimento del secondo e settimo motivo di ricorso principale.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il PM non ha depositato conclusioni.
La ricorrente e le resistenti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 79 L. 392/1978 nella parte in cui la Sentenza ha ritenuto valido e giustificato l’aumento del canone ex Scrittura 2003 per riequilibrio del sinallagma in ragione dell’esecuzione delle ‘migliorie’ senza accertare la sussistenza dei relativi requisiti, inclusi quelli di oggettività e predeterminazione ex ante dell’aumento’.
Deduce che la sentenza impugnata è ‘contraria ai principi affermati in Cassazione, secondo cui l’aumento del canone di locazione in corso di rapporto è valido solo se fissato in base a elementi oggettivi e predeterminati da valutarsi ex ante’.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Nullità della Sentenza per omessa pronuncia e comunque per violazione
dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui non si è pronunciata sulla domanda di nullità della Scrittura 2012′.
Lamenta che la corte territoriale ha del tutto omesso di pronunciarsi sulla domanda di nullità di altra ed ulteriore scrittura del 2012 intercorsa tra le parti; a tale proposito afferma che controparte NOME aveva eccepito che nel periodo dal 2011 al 2015 la scrittura del 2003 sarebbe stata ‘disapplicata’ perché sostituita dalla scrittura 2012 con cui le parti avevano rideterminato il canone per ridurlo rispetto all’aumento del 2003 e che, rispetto a questa eccezione, essa esponente avrebbe replicato nel senso della nullità anche della scrittura 2012, per violazione dell’art. 79 legge 392/1978, in quanto anch’essa invero contenente una nuova determinazione in aumento del canone, e non una diminuzione, come sostenuto strumentalmente da RAGIONE_SOCIALE.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 418 e 420 c.p.c. e dell’art. 79 L. 392/1978 nella parte in cui la Sentenza ha qualificato come ‘nuova’ la subordinata domanda di RAGIONE_SOCIALE di ripetizione dell’indebito per il caso in cui la Scrittura 2003 fosse stata ritenuta valida’.
Lamenta che la sentenza impugnata è errata per tre ordini di ragioni.
In primo luogo, perché in violazione dell’orientamento di questa Corte secondo cui il petitum su cui il giudice deve pronunciarsi non è fissato in maniera fiscale e rigorosa dal contenuto delle conclusioni definitive, dovendo il giudice tenere conto della volontà della parte quale emergente anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa.
Nel caso di specie sia che l’aumento del canone per migliorie sia interamente nullo, parzialmente nullo oppure valido ma
erroneamente applicato/calcolato da NOME, l’azione accordata dalla legge è sempre quella di ripetizione di indebito.
In secondo luogo, perché, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, una volta accertata l’esistenza dell’indebito, il giudice può e deve accogliere la domanda di ripetizione, anche se la ragione giuridica sulla base della quale l’indebito è stato accertato sia differente da quella prospettata dal ricorrente.
In terzo luogo, perché, nella misura in cui vi è la prova matematica che la scrittura 2003 è stata applicata in modo errato, col risultato che RAGIONE_SOCIALE ha pagato a ERE più del dovuto, la scrittura 2003 <> (p. 24 del ricorso).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1216, 1220, 1375 e 1591 c.c. nella parte in cui la Sentenza ha considerato ‘giustificato’ il rifiuto di NOME a ricevere in riconsegna l’RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE‘.
A dire della ricorrente, la sentenza sarebbe errata nella parte in cui l’offerta di restituzione del complesso alberghiero da parte di RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta non completa (in quanto una porzione dell’RAGIONE_SOCIALE era, alla data di offerta di restituzione, ancora occupato da un soggetto terzo, ossia il sub conduttore RAGIONE_SOCIALE) e non aderente al disposto contrattuale che fa riferimento ad un obbligo del conduttore di riconsegnare il bene condotto in locazione libero da persone e cose.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 79 L. 392/1978 e degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. nella parte in cui la Sentenza ha ritenuto che la ‘buona fede’ non imponesse ad NOME di accettare la riconsegna ‘parziale’ dell’RAGIONE_SOCIALE come da art. 13 Contratto’.
Lamenta che la Corte d’Appello avrebbe ‘disapplicato’ l’art.
13 del contratto e non avrebbe tenuto conto dei principi in tema di interpretazione del contratto ex art. 1362 e ss. c.c.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 34 L. 392/1978 e omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Sentenza ha escluso il diritto di ritenzione dell’RAGIONE_SOCIALE in capo ad RAGIONE_SOCIALE sino alla corresponsione dell’indennità di avviamento da parte di RAGIONE_SOCIALE‘.
Deduce che RAGIONE_SOCIALE godeva della facoltà di ‘ritenzione’ dell’RAGIONE_SOCIALE sino a che NOME non avesse pagato l’indennità di avviamento (o non ne avesse fatto offerta reale ex art. 1209 c.c.)
Lamenta pertanto che la negazione del diritto di esercitare la ritenzione sarebbe in contrasto con l’art. 34 cit., in quanto RAGIONE_SOCIALE ‘aveva pieno diritto di non riconsegnare l’immobile ad NOME in mancanza del pagamento dell’indennità di avviamento o di offerta reale della stessa.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. e comunque omessa o insufficiente motivazione nella parte in cui la Sentenza ha respinto la domanda di riduzione ad equità della penale’.
Lamenta che erroneamente La Corte di merito ha escluso la riduzione della penale, pur essendo la stessa, nel caso di specie, tenuto conto del fatto che l’obbligazione era stata in parte eseguita, manifestamente eccessiva <> (p. 38 del ricorso).
Il primo motivo è inammissibile.
All’inizio dell’illustrazione si assume come errata la motivazione dell’impugnata sentenza, non solo indicando come suo oggetto anche la mera riproduzione di una clausola della scrittura, ma anche estrapolando due brevi proposizioni della
stessa, senza curarsi delle premesse ed anche della sua interezza, tenuto conto che espressamente a p. 6 la corte di merito afferma che le opere di ristrutturazione erano state ‘effettuate sulla base di progetti del conduttore ed a cura dello stesso, così da non dare al locatore (peraltro estraneo al settore alberghiero) alcuna garanzia sulla adeguatezza di un corrispettivo ancora fondato su una compartecipazione al rischio imprenditoriale del conduttore ‘.
Sotto tale profilo il motivo, una volta che lo si confronti con la motivazione, risulta non solo privo di specificità, ma anche di effettiva correlazione con essa. Sotto il primo profilo viene in rilievo il consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005. Sotto l’altro, quello altrettanto consolidato di cui a Cass. n. 359 del 2005. Entrambi, peraltro, ribaditi, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.
8.1. Fermo il rilievo di inammissibilità, il motivo è anche infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 l. eq. can. ogniqualvolta essa sia ‘collegata sinallagmaticamente all’ampliamento della controprestazione’ (Cass., n. 4040/2009) e il patto di aumento sia ‘ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale’ (v. Cass. , n. 5849/2015: Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati, a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire
surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo così i limiti quantitativi posti dalla legge c.d. ‘sull’equo canone’; v. Cass., n. 4933/2015, che, per escludere la nullità di cui all’art. 79 cit., richiama proprio l’esempio dei lavori di ristrutturazione dell’immobile; v. anche, sotto il profilo sistematico, la recente Cass., n. 23986/2019 che ha legittimato il cd. ‘canone a scaletta’ nelle locazioni ad uso commerciale).
La sentenza impugnata afferma in motivazione che i patti di aumento del canone in corso di rapporto sono nulli ‘solo ove l’oggetto della locazione sia rimasto invariato, diversamente l’aumento del canone configurandosi come strumento per ristabilire l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni’ (p. 5 della sentenza impugnata), in tal modo applicando l’orientamento di questa Corte, secondo cui la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 l. eq. can. ogniqualvolta essa sia ‘collegata sinallagmaticamente all’ampliamento della controprestazione’ (Cass. n. 4040/2009), nonché quando il patto di aumento sia ‘ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale’ (v. Cass. n. 4933/2015, che, per escludere la nullità di cui all’art. 79 cit., richiama proprio l’esempio dei lavori di ristrutturazione dell’immobile).
La corte territoriale infatti ha accertato, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità, l’alterazione del sinallagma in conseguenza dei lavori di miglioria eseguiti a cura della conduttrice ma a spese della locatrice, i quali ‘ben possono qualificarsi come di ristrutturazione integrale’ (p. 5), hanno ‘conferito all’immobile una diversa fisionomia, tale da trasformare un albergo non solo deteriorato, ma anche antiquato e obsoleto, in una struttura moderna ed evoluta’ e che sono stati ‘tali da modificare profondamente le caratteristiche della cosa
locata, giustificando quindi la variazione della controprestazione a favore del locatore’ (p. 6 della sentenza impugnata).
Aggiungasi che la corte ha anche analiticamente rilevato, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, che la legittimità dell’accordo del 2003 non poteva essere esclusa dalla originaria pattuizione del canone in misura proporzionale ai ricavi, dal momento che ‘va rilevato, in proposito, come le opere di ristrutturazione siano state effettuate sulla base di progetti predisposti dal conduttore e a cura dello stesso, così da non dare al locatore (peraltro estraneo al settore alberghiero) alcuna garanzia sulla adeguatezza di un corrispettivo ancora fondato su una compartecipazione al rischio imprenditoriale del conduttore’ (p. 6 cit.).
A livello sistematico va infine rilevato -premesso che la nullità prevista dall’art. 79 l. eq. can. costituisce espressione della ‘natura fortemente protettiva della ratio della L. n. 392 del 1978, pervasa – come si è appena detto – dalla figura della “parte debole”, identificata automaticamente e sempre nel conduttore’ (Cass., 30/09/2019, n. 24221)- l’art. 18 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cd. decreto ”Sblocca Italia”), convertito nella legge 11 novembre 2014, n. 164, recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività’ produttive”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 262 dell’11 novembre 2014, ha aggiunto all’articolo 79 della legge 27 luglio 1978 n. 392, un terzo comma col quale si prevede, nel testo coordinato con la legge di conversione, che: «In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali
qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere approvati per iscritto».
Per effetto di tale previsione dunque, è possibile che le parti inseriscano nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo, clausole che incidano sulla durata del contratto, o che attribuiscono un maggior canone al locatore, o che comunque deroghino alle disposizioni della legge 392/1978 ove ricorra il presupposto di ordine quantitativo basato sull’ammontare dell’importo del canone annuo pattuito, (che deve superare euro 250.000,00), oltre che quello formale costituito dalla ‘approvazione per iscritto’ del contratto.
Pertanto, nelle ‘grandi locazioni’ commerciali possono essere inserite clausole derogative delle prescrizioni “imperative” della legge 392/78 e possono dunque essere oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazioni, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione e indicizzazione e/o aumenti del canone.
Pertanto l’art. 79 oggi esclude dal suo ambito di applicazione gli immobili commerciali per i quali il canone annualmente pattuito sia superiore a Euro 250.000,00: il legislatore ha così espressamente codificato la situazione per cui, nelle c.d. ‘grandi locazioni’, la posizione delle parti non soffre gli squilibri che il legislatore ha ritenuto tipicamente sussistenti riguardo a contratti stipulati per canoni inferiori alla predetta soglia, e dovranno dunque ritenersi lecite, nelle locazioni stipulate ai sensi dell’art. 18 del d.l. 133/2014, clausole di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superino i limiti quantitativi previsti dall’articolo 32 della legge 392/1978 (come modificato dall’art. 41, comma 16duodecies lettera a) del d.l. n. 207 del 2008,
convertito dalla legge 14/2009).
E’ dunque manifestamente infondata la censura della ricorrente secondo cui né il tribunale né la corte territoriale avrebbero valutato la scrittura secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità.
Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorrente incorre infatti nella macroscopica violazione dell’art. 366, n. 6 , cod. proc. civ., atteso che afferma di aver svolto delle articolate repliche e difese in primo grado ed in appello, ma omette completamente di riprodurre sia il contenuto dell’atto introduttivo di primo grado, sia -soprattutto- il contenuto del l’atto di citazione in appello per evidenziare la deduzione della pretesa domanda.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, la parte che deduce il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere di specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al Giudice di verificarne la ritualità e tempestività e quindi la decisività della questione (Cass., 13/05/2022, n. 15367; Cass., 17/01/2007, n. 978).
Questo onere non è stato assolto dalla ricorrente, la quale (p. 19 del ricorso) si è limitata solo genericamente a dedurre, rispetto alla eccezione di ERE, neppure precisamente riportata, di aver <>.
Il terzo motivo, in disparte il rilievo per cui contiene il richiamo al n. 3 dell’art. 360, invece che al n. 4, è inammissibile, in quanto viola palesemente il disposto dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., giacché non riproduce il contenuto degli atti dai quali si dovrebbe evincere il prospettato errore di qualificazione, da parte dell’impugnata sentenza, della domanda come nuova.
11. Il quarto motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, le
espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto ed il secondo l’applicazione della norma stessa al caso concreto una volta correttamente individuata ed interpretata. In relazione al primo momento il vizio (violazione di legge) investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata. Con riferimento al secondo momento il vizio (falsa applicazione di legge) consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Estranea a questo secondo momento è la censura di vizio di motivazione, che concerne l’erronea ricognizione da parte del giudice del merito della fattispecie concreta attraverso le risultanze di causa.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – quale quella prospettata dalla ricorrente – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (Cass., Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313). Mentre il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico (con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse, fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla dottrina prevalente), il vizio relativo all’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, ragion per cui tra le due relative censure deducibili in sede di legittimità non vi possono essere giustapposizioni (Cass., 07/05/2007, n. 10225).
La possibilità di sollecitare questa Corte al controllo della motivazione relativa alla ricostruzione della quaestio facti , peraltro si è ridotta per effetto del nuovo n. 5 dell’art. 360 secondo l’esegesi fornitane dalle Sezioni Unite nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.
Nel caso di specie, sotto la formale invocazione della violazione di legge, il motivo non è dedotto secondo il paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., come interpretato da costante orientamento di questa Corte, per cui il ricorrente finisce per far valere una, asseritamente erronea, ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, non solo esterna alla esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, comunque ponendosi al di fuori di ciò che consente il detto (non invocato) n. 5 dell’art. 360 c od. proc. civ.
11.1. Il motivo è anche infondato, per le ragioni
correttamente esposte nella sentenza impugnata.
La corte di merito ha così motivato la propria decisione: ‘è pacifico che l’offerta che RAGIONE_SOCIALE ne ha fatto il 15.2.2016 non fosse completa, essendo a quella data occupata da un terzo (in forza di sublocazione) una porzione adibita a ristorante annessa alla stabile principale, ma locata insieme con questo e con questo facente corpo RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 8); -‘Non v’è dubbio, pertanto, che l’offerta di RAGIONE_SOCIALE a quella data non fosse aderente al disposto contrattuale, che in proposito fa riferimento ad un obbligo a carico del conduttore di riconsegna del complesso immobiliare ‘libero da persone e cose’, con diritto del locatore alla penale (pari per ogni giorno di ritardo ‘ad una somma giornaliera corrispondente al doppio dell’ultimo canone di locazione, rapportato a giorno, maggiorato di Lit.500.000′) per la ritardata restituzione di una parte del complesso immobiliare’ (pag. 8); – Il tutto, del resto, in conformità alla regola legale di all’art. 1590, I co. c.c., che individua l’obbligazione al riguardo del conduttore ‘in una attività consistente in una incondizionata restituzione del bene, vale a dire in un’effettiva immissione dell’immobile nella sfera di concreta disponibilità del conduttore’ (Cass. n. 6467/17)’ (pag. 8); -‘la permanenza nell’immobile di un subconduttore (il quale aveva avanzato la pretesa di rimanere nei locali per altri sette anni: cfr. ricorso ex art.700 cpc sub doc.23 appellante, rispetto alla cui fondatezza la RAGIONE_SOCIALE non era ovviamente in grado di formulare alcuna valutazione) costituisse un serio ostacolo sia ad una nuova locazione del bene (che, se possibile con riguardo alla parte libera, avrebbe avuto quantomeno una diversa durata rispetto a quella che in seguito avrebbe potuto stipularsi con l’area occupata) sia alla demolizione dello stabile (che la proprietà ha poi deciso di intraprendere), così da rendere assolutamente giustificabile il diniego di derogare alle condizioni contrattuali. Per
le evidenziate difficoltà connesse alla presenza di un terzo nell’immobile locato, poi, si deve ravvisare un pieno interesse del locatore ad ottenere l’esatto adempimento da controparte, con esclusione di qualsiasi riduzione della penale ex art. 1384 cod. civ.’ (pag. 9).
La corte di merito ha correttamente interpretato l’art. 13 del contratto di locazione sia alla luce dell’art. 1590 cod. civ., che esprime una regola generale dalla quale discende l’obbligo del conduttore di restituzione della cosa avuta in godimento con la incondizionata messa a disposizione del medesimo, sia alla luce del costante orientamento di questa Corte, secondo cui ‘l’obbligazione di restituzione dell’immobile locato, posta a carico del conduttore dall’art. 1590 cod. civ., non si esaurisce in una qualsiasi generica messa a disposizione delle chiavi, ma richiede, per il suo esatto adempimento, un’attività consistente in una “incondizionata” restituzione del bene, vale a dire in un’effettiva immissione dell’immobile nella sfera di concreta disponibilità del locatore (Cass., 24/03/2004, n. 5841; Cass., 05/06/1996, n. n. 5270; Cass., 12/04/2006, n. n. 8616); sia dell’art. 1220 cod. civ., in base al quale l’offerta non formale deve essere seria, completa e tempestiva e deve concretizzarsi nell’effettiva introduzione dell’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilità del creditore assicurando al creditore l’effettiva utilizzazione del bene (Cass., n. 15352/2006; nello stesso senso Cass., n. 25155/2010, secondo cui l’offerta non formale della prestazione esclude la mora del debitore, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., così preservandolo dalla responsabilità per il ritardo, solo se sia reale ed effettiva, e cioè abbia i caratteri della serietà, tempestività e completezza e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilità del creditore nei luoghi indicati dall’art. 1182 cod. civ. per l’adempimento dell’obbligazione, in modo che quest’ultimo possa
aderirvi senza ulteriori accordi e limitarsi a ricevere la prestazione stessa’).
11.2. Infondata è anche la pretesa violazione dell’art. 1375 cod. civ.
Giusta i sopra richiamati insegnamenti di questa Corte, la corte di merito ha infatti correttamente affermato che la legittimità del rifiuto di accettare una riconsegna parziale <> (p. 9 della sentenza impugnata).
Il quinto motivo è inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che:
l’interpretazione del contratto costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione;
il motivo di ricorso con il quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresì la specificazione dei canoni in concreto violati;
va in ogni caso precisato il modo in cui il giudice se ne è discostato e, quindi, le distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione (cfr. Cass., 18/11/2005, n. 24461; Cass., 23/01/2007, n. 1406; Cass., 06/02/2007, n. 2560);
anche quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass., 22/02/2007, n. 4178; Cass., 28/11/2017, n. 28319); il sindacato di legittimità non può, infatti, investire il risultato inter pretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e
logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Cass., 10/02/2015, n. 2465; Cass., 26/05/2016, n. 10891).
Orbene, nel dedurre il motivo la ricorrente non ha idoneamente censurato l’applicazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1362 c od. civ., posto che ne ha apoditticamente affermato la violazione, senza tuttavia spiegare come e perché la corte territoriale abbia violato le norme ermeneutiche.
La critica del ricorrente finisce pertanto per risolversi in una semplice critica della decisione sfavorevole formulata ‘attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal Giudice del merito’ (così Cass., 16/01/2019, n. 873).
13. Il sesto motivo è infondato.
Se, per costante orientamento di questa Corte, nei rapporti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, in cui l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata all’avvenuto versamento della indennità per l’avviamento commerciale, L. n. 392 del 1978, ex art. 34, comma 3, e art. 69, comma 8, fin quando tale corresponsione non avvenga, anche solo nella forma dell’offerta reale non accettata, la ritenzione dell’immobile da parte del conduttore avviene de iure e rappresenta la causa di giustificazione impeditiva dell’adempimento della scadenza dell’obbligo di consegna, con la conseguenza che non insorgono la mora nella riconsegna ed il conseguente obbligo di risarcimento ai sensi dell’art. 1591 cod. civ. (tra le tante, v. Cass., 03/10/2016, n. 19634; Cass., 21/01/1995, n. 696), d’altra parte è pur vero che il conduttore che intende ottenere il pagamento dell’indennità, nel domandarla
deve offrire al locatore la riconsegna del bene ovvero può offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l’indennità che domanda (Cass., n. 15876/2013).
Orbene, la corte di merito ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi, là dove, con motivazione scevra da vizi logicogiuridici, ha ritenuto che il diritto di ritenzione del conduttore ‘può essere esercitato solo allorché questo sia pronto ad eseguire la prestazione a suo carico’ ed ha accertato, nella specie, che questa ipotesi doveva essere esclusa ‘stante la permanenza di un terzo in parte dell’immobile’, che poco prima era stata ritenuta ‘un serio ostacolo sia ad una nuova locazione del bene … sia alla demolizione dello stabile …’.
14. Il settimo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, «La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento» (Cass., Sez. Un., 13/09/2005, n. 18128 e successive conformi).
Orbene, nell’affermare che: «per le evidenziate difficoltà connessi alla presenza di un terzo nell’immobile locato, poi, si deve ravvisare un pieno interesse del locatore ad ottenere l’esatto adempimento della controparte, con esclusione di qualsiasi riduzione della penale ex art 1384 cod. civ.», la corte di merito ha fatto buon governo dei suindicati principi.
E le ragioni che vengono indicate nel motivo come giustificative della riduzione della penale sono tutte inidonee a superare quella indicata dalla corte territoriale per negarla.
In via gradata, va anche rilevata l’inammissibilità del ricorso, che neppure dice se e dove, nel contesto processuale, erano state allegate tali ragioni, che, d’altro canto , nemmeno vengono
indicate come fatti omessi ai sensi dell’art. 360 , n. 5, cod. proc. civ.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’esercizio del potere di riduzione della penale è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare ex actis , ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio (v. Cass. , 15/06/2020, n. 11439; Cass., 19/12/2019, n. 34021; Cass., 13/11/2006, n. 24166).
Nulla sotto tali profili è stato indicato dalla ricorrente, per cui il motivo è anche inammissibile, in quanto genericamente formulato in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.
In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre l’esame del ricorso incidentale, in quanto condizionato, rimane assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione