Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23039 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23039 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4416/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata all’indicato indirizzo PEC dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
all’indicato indirizzo PEC dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, essendo subentrato ai precedenti difensori
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 1639/2020 del la Corte d’Appello di Venezia, depositata il 30.6.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.7.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE propose azione per l’accertamento dell’inefficacia ai sensi dell’art. 6 4 legge fall. (o, in subordine, azione revocatoria ai sensi dell’art. 67 legge fall.) contro l’atto di data 28.11.2011 con cui la società poi fallita aveva trasferito a RAGIONE_SOCIALE (all’epoca RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE) una unità immobiliare a uso ufficio sita in Comune di Spresiano. A sostegno della domanda il curatore fallimentare evidenziò che l’atto negoziale, seppure formalmente qualificato come compravendita, aveva in realtà le caratteristiche oggettive di un pagamento del terzo mediante datio in solutum , perché il prezzo di € 170.000 era stato saldato mediante cessione del credito che RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, società già insolvente, interamente posseduta dalla medesima persona fisica che esercitava dominio assoluto anche sulla venditrice; società anch’essa di lì a poco fallita.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Treviso, in accoglimento della domanda principale, dichiarò l’inefficacia del trasferimento dell’immobile, in quanto ritenuto parte di una operazione economica in cui la disposizione patrimoniale di RAGIONE_SOCIALE doveva intendersi a titolo gratuito.
La sentenza di primo grado venne impugnata da RAGIONE_SOCIALE davanti alla Corte d’Appello di Venezia, la quale rigettò il gravame.
Contro la sentenza della corte territoriale RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione articolato in sette motivi.
Il ricorso è stato notificato a RAGIONE_SOCIALE -essendo stato nel frattempo chiuso il fallimento con concordato
fallimentare -nonché ad RAGIONE_SOCIALE che ha partecipato al concordato nella veste di assuntore.
Le due società intimate si sono difese con separati controricorsi, ma successivamente si è costituito per RAGIONE_SOCIALE un nuovo difensore, che ha dato notizia che la sua cliente ha incorporato RAGIONE_SOCIALE diventando così l’unica controparte della ricorrente.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi de ll’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. «violazione di legge in relazione all’ art. 64 , all’art. 2729 c.c., all’art. 115, commi 1 e 2, c.p.c., agli artt. 1362 e 1363 c.c.», nonché vizio di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., « in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., all’ art. 111 Cost.».
La ricorrente contesta il giudizio espresso dalla Corte d’Appello di Venezia sulla sostanziale gratuità dell’atto di compravendita, giudizio basato sul rilievo che in corrispettivo del trasferimento del diritto di proprietà su ll’immobile RAGIONE_SOCIALE ricevette un credito di fatto inesigibile, data l’insolvenza della debitrice ceduta .
1.1. Il motivo è inammissibile, perché, dietro la dichiarata intenzione di censurare un vizio di violazione di legge, si nasconde una critica all’accertamento del fatto, che , come tale, non è consentita in sede di legittimità. Il giudice d’appello ha indicato i fatti noti sulla base dei quali ha ritenuto di poter risalire al fatto ignorato dell ‘assenza di un reale corrispettivo per il trasferimento dell’immobile e ne ha tratto la conclusione, in diritto, che si trattasse di un atto a titolo gratuito inefficace nei
confronti dei creditori del successivo fallimento della venditrice, ai sensi del l’art. 64 legge fall.
La norma di diritto applicata è semplice e non viene contestata la sua interpretazione, una volta accertato il fatto così come ritenuto dai giudici del merito. Ed è appunto tale accertamento l’ effettivo oggetto della critica della ricorrente.
Per il resto, risulta addirittura incomprensibile la censura del vizio di omessa motivazione, che si prospetta per il caso in cui «la Corte adita non riconoscesse una presunzione nell’affermazione secondo la quale il credito ceduto era inesigibile».
Il secondo motivo di ricorso denuncia «violazione art. 64 legge fall., art. 1325 c.c., art. 115 c.p.c., artt. 1362 e 1363 c.c., art. 1470 c.c.», in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Con questo motivo RAGIONE_SOCIALE osserva che l’inadempimento del debitore ceduto è cosa diversa dalla inesistenza del credito ceduto e, quindi, dall’inesistenza del corrispettivo della compravendita; sicché il primo (inadempimento del debitore ceduto) non muta la natura del contratto , allo stesso modo in cui l’inadempimento dell’obbligo di pagare il prezzo in denaro lascia intatti i connotati della compravendita, che rimane un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile.
L’osservazione è astrattamente corretta, ma non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Infatti, la Corte d’Appello ha riqualificato la compravendita come atto a titolo
gratuito, non perché era rimasto successivamente inadempiuto il credito ceduto alla venditrice, ma perché quel credito era di fatto, e già al momento della stipula del contratto, impossibile da realizzare e privo di valore economico.
In tal senso, non è condivisibile l’affermazione della ricorrente secondo cui la corte d’appello avrebbe travisato l’insegnamento di Cass. S.u. n. 65 38/2010, che viene citata nella motivazione della sentenza impugnata a conforto della decisione adottata in merito alla gratuità del contratto. Infatti, le Sezioni unite hanno fissato il principio per cui « il carattere oneroso o gratuito dell’attribuzione patrimoniale … non può sfuggire alla regola che deve essere stabilito in riferimento alla sua causa concreta »; di modo che, da un lato, un atto negoziale astrattamente a titolo oneroso può essere utilizzato, in concreto, nell’ambito di un’operazione economica alla quale una sola delle parti ha interesse; così come, dall’altro lato , e al contrario, la parte disponente può avere, in una data situazione di fatto, un concreto interesse economico a porre in essere un atto di disposizione che nello schema astratto sarebbe a titolo gratuito.
Nel caso di specie, la corte territoriale ha applicato tale principio ad una situazione di fatto in cui, come da lei accertato, non si ravvisava alcun concreto interesse di RAGIONE_SOCIALE a trasferire i beni immobili a RAGIONE_SOCIALE in cambio della cessione di un credito verso una società insolvente; dal che la conclusione che l ‘unic o scopo concreto dell’operazione era soddisfare il credito di RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE
3. Il terzo motivo è così rubricato: « sull’onere della prova. Art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c. e all’art. 111 Cost.; art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione di legge in relazione all’ art. 64 legge fall., all’art. 115 c.p.c., artt. 2643 e ss. c.c., 1362 e 1363 c.c.; art. 360, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo».
La ricorrente, da un lato, si duole che la corte d’appello le abbia addossato l’onere di provare la natura onerosa del trasferimento immobiliare; dall’altro lato, sostiene di avere dimostrato che RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto un vantaggio economico dall’operazione, essendo debitrice di RAGIONE_SOCIALE e avendo quindi potuto estinguere il proprio debito nei suoi confronti per compensazione con il credito acquistato.
3.1. Il motivo -che presenta profili di inammissibilità per la promiscuità dei vizi denunciati (Cass. n. 28541/2024) e perché prosegue nella critica dell’accertamento del fatto -è in ogni caso infondato.
Infatti, non si può negare che la corte territoriale ha motivato sotto ogni profilo la decisione adottata, sicché non sussiste il vizio di omessa motivazione, nei termini in cui esso è censurabile con il ricorso per cassazione, ovverosia soltanto ipotizzando la violazione del «minimo costituzionale», che si verifica nel caso di «mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. S.u. n. 8053/2014).
In secondo luogo, è evidente che nessuna protezione rispetto all ‘ azione di inefficacia proposta dal fallimento può derivare dalla trascrizione del contratto di compravendita nei registri immobiliari, che serve soltanto a rendere opponibili ai terzi gli effetti del contratto, ma non può certo conferire al contratto maggiori e più stabili effetti rispetto a quelli che esso può produrre secondo le norme del diritto sostanziale.
Quanto al vizio di omesso esame, nell’illustrazione del motivo la ricorrente non fa altro che riconsiderare i medesimi fatti che sono stati esaminati anche dal giudice del merito, salvo proporne una diversa valutazione in termini di prudente apprezzamento del materiale istruttorio (art. 116 c.p.c.).
Il quarto motivo censura una «omessa pronuncia», ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. «in relazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c. e all’art. 111 Cost.» .
Il motivo ripropone, sia pure nei termini del tutto impropri di una «omessa pronuncia», la censura di motivazione assente o contraddittoria con riferimento all’affermata gratuità del trasferimento dell’immobile.
4.1. Per dichiarare il motivo infondato sarebbe dunque sufficiente ripetere ancora una volta che, nella sentenza impugnata, una motivazione comprensibile esiste e che l’eventuale insufficienza della motivazione non è censurabile in sede di legittimità.
È tuttavia opportuno aggiungere che la corte d’appello ha considerato il dato di partenza per cui il contratto prevedeva una controprestazione a carico dell’acquirente dell’immobile e ha precisato le ragioni per cui ha ritenuto che il corrispettivo fosse soltanto apparente, trattandosi di un credito privo di
valore economico, non solo per RAGIONE_SOCIALE, ma anche per RAGIONE_SOCIALE, essendo rimasta sfornita di prova l’affermazione di un suo interesse economico ad acquisire un credito verso un soggetto insolvente.
Il quinto motivo è rubricato «inesistenza causa estintiva credito ceduto -art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 1260 e ss. c.c.».
Il motivo censura, nella motivazione della sentenza impugnata, l’affermazione secondo cu i «l’estinzione del debito di RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE era stata prevista come conseguenza immediata e diretta del contratto di compravendita». La ricorrente osserva che la cessione del credito a titolo di prezzo del trasferimento dell’immobile non poteva comportare l’estinzione immediata del credito, ma solo la modifica del soggetto creditore, sostituendosi in tale posizione la cessionaria alla cedente.
5.1. Questo motivo è inammissibile, perché, analogamente a quanto già visto per il secondo motivo, l’osservazione è astrattamente corretta, ma non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Il fulcro della motivazione del giudice d’appello rimane l’inesistenza di fatto del credito ceduto ( rectius : la sua assenza di valore economico, senza il quale il contratto non può essere considerato a titolo oneroso) e rispetto a tale presupposto è del tutto ininfluente la (pur errata) affermazione che l’estinzione del debito sarebbe stata prevista dalle parti come «conseguenza immediata e diretta del contratto di compravendita».
Con il sesto motivo si denuncia il vizio di cui all’«art. 360, n. 4, in relazione all’art. 64 legge fall., all’art. 1325 c.c.» .
Con questo motivo la ricorrente ribadisce che la Corte d’Appello di Venezia avrebbe travisato il contenuto e il senso della sentenza delle Sezioni unite (Cass. S.u. n. 6538/2010) e che non vi sarebbe in realtà prova del l’impossibilità di ottenere il pagamento del credito dalla debitrice ceduta RAGIONE_SOCIALE
6.1. Il motivo è infondato, nella parte in cui prospetta il travisamento del principio di diritto sancito dalle Sezioni unite (come già osservato sopra), e inammissibile, nella parte in cui ripropone una critica all’accertamento del fatto sulla situazione di insolvenza in cui versava la debitrice ceduta, del resto fallita da lì a pochi mesi.
Infine, il settimo motivo prospetta la «mancata conoscenza pretesa insolvenza» e indica il vizio di cui all’«art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 64 legge fall.» .
7.1. Il motivo è palesemente infondato, essendo formulato sul presupposto -errato in diritto -che la conoscenza dello stato di insolvenza del disponente in capo al beneficiario di un atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito sia un requisito per l’accoglimento dell’azione di inefficacia di cui all’art. 64 legge fall .
In realtà, lo stato soggettivo del beneficiario dell’atto di disposizione a titolo gratuito non è menzionato nella disposizione di legge ed è del tutto irrilevante, come del resto avviene anche al di fuori del contesto del fallimento e dell’insolvenza d’impresa , ovverosia nella disciplina generale dell’azione revocatoria ordinaria (art. 2901, comma 4, c.c.).
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
Si procede a un’unica liquidazione delle spese, perché unica, allo stato, è la società controricorrente, quantunque inizialmente si fossero separatamente costituite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la quale ha poi incorporato la prima.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in € 8.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del