Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3712 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3712 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32633/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
COMUNE
DI
NOME,
COMUNE
DI
SORGA
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 3705/2019 depositata il 17/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex art. 22 L. n. 689/81, depositato in data 07.05.2010, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, obbligata in solido, proponeva, avanti il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, opposizione avverso l’ordinanza- ingiunzione n. 124 del 06.04.2010 con la quale la Provincia di RAGIONE_SOCIALE aveva irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di €366.311,20 per la violazione dell’art. 33, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 44 del 07.09.1982, per avere abusivamente eseguito attività di scavo, con asportazione di 18.000 mc di materiale torboso sul terreno di proprietà di COGNOME NOME, anziché limitarsi a svolgere mera attività di movimento di terra.
1.1.Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in parziale accoglimento dell’opposizione, riduceva l’importo della sanzione amministrativa irrogata ad € 3.098,053.
1.2.La Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla Provincia di RAGIONE_SOCIALE, riduceva ad € 226.057,98 l’importo della sanzione.
1.3.Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello affermava che:
la coltivazione di una cava in assenza o in difformità dall’autorizzazione amministrativa costituisce illecito permanente e la prescrizione non inizia a decorrere finché permane la condotta illecita;
l’eccezione di prescrizione era infondata perché per l’accertamento della violazione era stato necessario procedere alla valutazione di una serie di complessi elementi, tra cui il prezzo applicabile alla torba estratta abusivamente, secondo i dati forniti dalla locale RAGIONE_SOCIALE; nel caso di specie, poiché il listino prezzi della locale RAGIONE_SOCIALE non prevedeva il prezzo della torba estratta nella provincia di RAGIONE_SOCIALE, era corretto fare riferimento al listino precedente, ovvero al listino del 1992, opportunamente rivalutato;
la CTU aveva accertato che il materiale estratto aveva natura di torba ed il volume di scavo era difforme rispetto a quanto autorizzato con il permesso a costruire;
era esclusa l’applicabilità dell’art. 2, co. 2, della l.r. n. 44/1982, dal momento che le opere eseguite in difformità dall’autorizzazione rilasciata non erano riconducibili ai movimenti di terra ma costituivano attività di cava non autorizzata;
la responsabilità della violazione era stata correttamente attribuita a COGNOME COGNOME, legale rappresentante della impresa esecutrice delle opere nonché direttore dei lavori con il compito di verificare la conformità dell’attività svolta dalla società appaltatrice al titolo edilizio legittimamente rilasciato, né era invocabile l’esimente della buona fede; in quanto operatore professionale, la sua condotta doveva essere valutata con
maggior rigore né poteva essere invocata l’ignoranza delle norme di legge in subiecta materia. La mala fede di NOME COGNOME emergeva dalla richiesta di variante in corso d’opera presentata in data 09.04.2005, giacché a quella data era già stato eseguito lo scavo oltre le quote consentite, come accertato in occasione dei sopralluoghi effettuati nell’aprile del 2005.
2.Per la cassazione della sentenza d’appello, RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso sulla base di nove motivi.
2.1.La Provincia di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
2.2.Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
2.3. In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso, si deduce, con riferimento all’art. 360, comma 1 n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per mancata pronuncia sull’eccezione di prescrizione del diritto, avendo la Corte d’appello, con motivazione incomprensibile, rigettato l’eccezione di prescrizione, limitandosi a richiamare il carattere di illecito permanente della condotta di coltivazione in assenza o difformità di autorizzazione amministrativa.
1.1.Il motivo è inammissibile.
1.2.La Corte d’appello, con motivazione esaustiva, che integra il minimo costituzionale previsto dall’art.132 c.p.c. ( Cass. Civ., Sez. Unite, n. 8053 del 2014) ha richiamato i consolidati principi di diritto, secondo cui la coltivazione di cava in assenza o in difformità dall’autorizzazione amministrativa costituisce illecito permanente, caratterizzato da una lesione giuridica già realizzata ma che si protrae nel tempo finché perdura la condotta illecita del contravventore
sicché il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art.28 della Legge n.689 del 1981 non inizia a decorrere finché permane la condotta illecita ( Cass. n. 26852 del 23.12.2011; Cass. n. 21190 del 29.9.2006).
2.Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5) c.p.c., l’omesso esame dei documenti dai quali emergerebbe la tardività della contestazione; i ricorrenti rilevano che la Provincia avrebbe potuto applicare il listino prezzi della ‘torba in balle ‘, ossia di quella pronta alla commercializzazione, dal momento che mancava nel listino prezzi della RAGIONE_SOCIALE, la voce ‘torba estratta sul posto’, riferibile alla specifica tipologia del materiale estratto, ai fini della speditezza del procedimento di accertamento.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, c. 1 n. 3) c.p.c., la ‘violazione e o falsa applicazione dell’art. 14 della L. n. 689/81 in relazione alla interpretazione giurisprudenziale del termine di notifica degli estremi della violazione’, perché, in assenza di un prezziario della “torba estratta sul posto”, l’accertamento avrebbe dovuto concludersi rapidamente, senza ulteriore istruttoria perché l’aggiornamento e rivalutazione agli indici ISTAT di un prezziario si risolveva in una semplice operazione matematica.
3.2.I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili perché volti a censurare l’apprezzamento della Corte di merito in relazione agli accertamenti prodromici alla notifica dell’ordinanza ingiunzione.
3.3.La Corte d’appello ha fatto applicazione del consolidato principio in materia di sanzioni amministrative, secondo cui nel caso di mancata contestazione immediata dalla violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene
acquisito il fatto nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti gli elementi, oggettivi e soggettivi, della infrazione, e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza della infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. Compete al giudice di merito, in caso di contrasto sul punto, determinare il tempo ragionevolmente necessario all ‘ Amministrazione per giungere a una siile, completa, conoscenza individuando il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, l. n. 689 del 1981. In tale ambito, assumono rilievo tutte le complesse attività finalizzate all’accertamento, tra cui rientrano non solo gli atti di indagine effettuati, ma anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi già acquisiti, onde ritenerne l’incidenza e la sufficienza ai fini della completa disamina di tutti gli aspetti della fattispecie (Cassazione civile sez. un., 31/10/2019, n.28210).
3.4.La Corte d’appello ha ritenuto congruo il tempo necessario perché la Provincia, una volta resa edotta dell’illecito, valutasse gli elementi messi a disposizione dall’organo accertatore ed acquisisse informazione del prezzo della cava estratta, dapprima richiedendo informazioni alla RAGIONE_SOCIALE e, successivamente all’RAGIONE_SOCIALE.
4.Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con riferimento all’ammissibilità della CTU ed all’utilizzabilità delle risultanze della stessa, considerando che i luoghi di causa sarebbero
stati modificati da terzi al momento dello svolgimento dell’incarico peritale, avvenuto dopo diversi anni.
5.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’ art. 360, c. 1 n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli arti. 2697 cod. civ. e 112 cpc, in quanto la CTU sarebbe stata svolta senza tenere conto del mutamento dello stato dei luoghi al momento della CTU. Sostengono i ricorrenti che le analisi di laboratorio avrebbero dovuto essere svolte al momento del sopralluogo; né la CTU avrebbe potuto essere utilizzata al fine di esonerare la Pubblica Amministrazione dall’onere di provare la natura e la composizione del materiale abusivamente estratto. In definitiva, poiché la CTU aveva natura percipiente ed operava come strumento di accertamento dei fatti, i risultati sarebbero inattendibili a distanza di oltre tredici anni dai fatti. 6. Con il sesto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame della questione della percentuale d’acqua dei rapporti di prova estratti a seguito dei carotaggi posti in essere dal CTU.
7.Con il settimo motivo di ricorso, si denuncia l’omesso esame della questione dell’impiego del materiale movimentato; il ricorrente sostiene che il materiale era stato utilizzato per le rifiniture nell’ambito naturalistico e non per finalità commerciali, come rilevato dal CTU e come risulterebbe dalle dichiarazioni dei testi.
7.1.I motivi, che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta in quanto, sotto diversi profili affrontano le problematiche connesse all’accertamento della natura e della destinazione del materiale ed alle risultanze della CTU, sono infondati.
7.2.In primo luogo, non vi è stata violazione dell’onere della prova, avendo la Provincia accertato l’esecuzione, da parte di COGNOME COGNOME di escavazioni abusive sul terreno di proprietà di COGNOME NOME, in difformità rispetto al permesso di costruire, tanto che gli scavi
avevano raggiunto la profondità di due metri a fronte di un progetto che prevedeva quote di scavo non superiori a 0,49 per il bacino n.1 e metri 0,90 per il bacino n.2.
7.3.Non era, quindi, esplorativa la CTU volta ad accertare la natura del materiale estratto attraverso la consulenza percipiente, che ha tenuto conto degli scavi effettuati successivamente ai fatti contestati ed ha ritenuto, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, che essi abbiano alterato in misura assai modesta lo stato dei luoghi (pag.16 della sentenza impugnata).
7.4. Quanto all’ammissibilità della CTU, è consolidato il principio secondo cui la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. n.6155 del 2009; Cass. n.3717 del 2019).
7.5.Quanto alle contestazioni mosse alla CTU, il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito; ne consegue che il vizio di motivazione, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia
rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, o quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione ( cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789, peraltro, tutte decisioni, peraltro, anteriori alla riforma del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., che oramai, per restare alla formula sintetica, riduce il controllo sulla motivazione ‘al minimo costituzionale’ ).
Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ( Sez. 1, Sentenza n. 8355 del 03/04/2007).
7.6.I motivi, lungi dal censurare l’omissione di fatti storici decisivi per il giudizio, si limitano a contestare le risultanze della CTU, alle quali il giudice di merito ha aderito con ampia motivazione (pag.16-17 della sentenza impugnata).
8.Con l’ottavo motivo di ricorso, si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e o falsa applicazione dell’art. 2 della L. R. n. 44/1982, dell’art. 1 R.D. 1443/27, nonché degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione alla qualificazione giuridica della
condotta posta in essere dai ricorrenti, che, ad avviso di questi, integrerebbe un’attività edilizia e non estrattiva; la Corte d’appello avrebbe errato nel ragionamento presuntivo, inferendo l’esistenza del fatto ignoto, ossia l’utilizzazione del materiale per finalità diverse da quella edilizia dal mero trasporto verso la sede della società e dalla semplice considerazione dell’oggetto sociale di quest’ultima. Nel trarre tali conclusioni, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni testimoniali ed avrebbe errato nella valutazione della prova presuntiva.
8.1. Anche questo motivo è inammissibile in quanto l’accertamento dell’illecito amministrativo di esercizio abusivo dell’attività di estrazione dei materiali è avvenuto sulla base delle prove raccolte in giudizio e non sulla base di mere presunzioni.
8.2. La Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’art.2, comma 2 della Legge RAGIONE_SOCIALE N.44/1982, invocata dagli appellanti ( secondo cui ‘i lavori effettuati nel terreno ove è in corso la costruzione di opere pubbliche e private appartengono ai movimenti di terra e sono soggetti alla presente normativa’), sulla base della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le escavazioni che interessino un terreno più ampio di quello destinato all’opera pubblica o privata da realizzare vanno considerate ‘movimenti di terra’, estranee in quanto tali alla disciplina regionale dell’attività di cava, solamente se funzionalmente dirette alla realizzazione dell’opera autorizzata (Cass. n.6483 del 26.6.1990).
8.3. Proprio con riguardo alla violazione amministrativa della coltivazione di una cava senza autorizzazione, sanzionata dall’art. 33, comma primo, della legge regione Veneto 7 settembre 1982 n. 44, è stato affermato che l’attività di sbancamento dell’area coltivabile costituisce già “coltivazione”, attesa la sua evidente strumentalità
rispetto all’attività estrattiva, sicché non può essere effettuata in difetto della correlativa autorizzazione ( Cass. Civ., Sez. II, 26.9.1996, n.8497).
8.4. Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che l’attività di escavazione in difformità dalle modalità autorizzate con il permesso di costruire non può dirsi funzionale all’esecuzione delle opere in esso previste, ma era diretta a fini speculativi estranei alle opere medesime, in quanto il materiale estratto oltre le quote di scavo consentite veniva accumulato presso la sede della società, per essere successivamente commercializzato, come trova conferma nel fatto che l’oggetto sociale di RAGIONE_SOCIALE includeva ‘l’estrazione, la produzione, la commercializzazione di terre fertilizzanti ed ammendanti’.
9.Con il nono motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., dell’art. 3 della L.n . 689/1981 nonché dell’art. 2, L RV n. 44/82, in relazione agli elementi costitutivi della fattispecie sanzionatoria amministrativa dell’art. 33 LRV n. 44/1982, per avere la Corte d’appello escluso la buona fede di COGNOME e la scusabilità dell’errore; il ricorrente rileva come l’art.2 della Legge RAGIONE_SOCIALE Veneto n.44/82, unitamente alla prassi amministrativa, confermava l’inapplicabilità ai movimenti di terra della disciplina in materia di cave. In particolare, secondo l’art. 3 L.n. 689/81, per la sussistenza della responsabilità per illecito amministrativo, la condotta dell’agente in asserita violazione della norma precettiva deve essere cosciente e volontaria e dovrebbe essere esclusa in caso di obiettiva incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma.
9.1. Il motivo è infondato.
9.2. La Corte d’appello ha correttamente escluso che potesse essere invocato il ricorso alla buona fede come causa di esclusione della responsabilità amministrativa poiché il titolo edilizio consentiva soltanto dei lavori di movimentazione di terra, secondo un progetto ben specifico e su di un’area esattamente individuata, al quale il ricorrente non si era attenuto. La Corte ha sottolineato che il ricorrente era ben consapevoli che non erano consentiti lavori di escavazione oltre i limiti individuati dal progetto, tanto da aver chiesto una variante in corso d’opera in data 9.4.2005, quando lo scavo era già stato eseguito oltre le quote consentite, comportamento che esclude in radice la buona fede.
9.3. Va, in ogni caso, evidenziato che, nel caso in esame, si trattava di un operatore professionale, tenuto ad un particolare obbligo di conoscenza e di informazione, sicché la sua condotta deve essere valutata con maggior rigore ( Cass. n.11253 del 15.6.2004).
9.4. Infine, deve essere sottolineato che in tema di illecito amministrativo, l’error iuris , quale causa di esclusione della responsabilità in riferimento alla violazione di norme amministrative (in analogia a quanto previsto dall’art. 5 c.p.), viene in rilievo soltanto a fronte della inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento va effettuato alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme (Cass. Civ., Sez. VI, 1.9.2014, n. 18471; Cassazione civile sez. II, 03/05/2010, n.10621).
10.Il ricorso va pertanto rigettato.
10.1.Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
10.2.Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 9 .000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella RAGIONE_SOCIALE di Consiglio della Seconda Sezione