Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8310 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8310 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2218/2021 R.G. proposto da : C.E.D.E.F. RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3099/2020 depositata il 26/06/2020.
–
amministratore – atti
ultra vires
–
presupposti
–
opponibilità ai terzi
Ud.27/03/2025 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
C.E.D.E.F. CENTRO ELABORAZIONI DATI RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione a decreto ingiuntivo dell’importo di vecchie Lit. 201.879.685 emesso dal Tribunale di Roma a favore di BPM S.p.A. (ora RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE per uno scoperto di conto corrente, tale risultante alla data del 24 maggio 2001 . Ha dedotto l’opponente l’inefficacia di alcune operazioni sottostanti le scritturazioni in conto corrente, nonché la responsabilità della banca opposta per scarsa diligenza, con condanna alla restituzione degli importi dovuti e, in subordine, chiedendo accertarsi l’illegittimità della capitalizzazione degli interessi. In particolare, la società opponente ha dedotto che l’operazione principale consisteva in un ordine di bonifico in data 8 aprile 1998 di vecchie Lit. 150.000.000 eseguito in favore dell’amministratore e del coniuge , stipulato ultra vires in quanto di straordinaria amministrazione, di cui avrebbe dovuto rispondere la banca.
Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva, oggetto di impugnazione immediata, ha rigettato le domande in punto responsabilità della banca opposta e di operazioni sottostanti le scritturazioni in conto corrente. Con successiva sentenza definitiva, il Tribunale ha accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo per indebito anatocismo in conformità alle conclusioni del CTU e ha rideterminato in € 89. 810,52 il saldo creditorio a favore della banca, condannando l’opponente al pagamento delle spese legali.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, ha riunito gli appelli avverso le due sentenze, rigettandoli. Ha ritenuto il giudice di appello che le operazioni sottostanti le
scritturazioni operate in conto corrente (ordine di bonifico in data 8 aprile 1998 e richiesta di finanziamento a breve termine) sono state validamente poste in essere dall’amministratore unico della società correntista , in quanto atti rientranti nell’ordinaria amministrazione della società, operazioni compiute in epoca precedente l’entrata in vigore della riforma societaria (d. lgs. n. 6/2003). Sotto questo profilo, il giudice di appello ha ritenuto, ai fini del l’art. 2384 -bis cod. civ. pro tempore , che ta li atti rientrino nell’oggetto sociale dell’impresa e che non risulta che la banca abbia agito intenzionalmente a danno della società. La sentenza impugnata ha, poi, rigettato l’appello in punto interessi richiamandosi alla CTU in atti.
Propone ricorso la società, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste la banca con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2384, 2384bis e 1394 cod. civ., nonché -in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto intra vires gli atti compiuti dall’amministratore unico e, quindi, opponibili alla banca quale terzo di buona fede in quanto rientranti nell’oggetto sociale e non incidenti sulla struttura della società, nonché compiuti in assenza di conflitto di interessi. Osserva parte ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato lo statuto della società al fine di verificare se gli atti fossero strum entali al soddisfacimento dell’ attività di impresa, né avrebbe esaminato la struttura organizzativa della società ricorrente, non coerente con l’esecuzione delle suddette operazioni.
Rileva, inoltre, parte ricorrente come la distrazione dei fondi dai conti della società ai conti dell’amministratore e del coniuge sia priva di giustificazione in relazione ai compensi dell’amministratore medesimo. Osserva, inoltre, come la disposizione dell’allora vigente art. 2384, secondo comma, cod. civ. dovesse essere integrata con la norma dell’art. 2384 -bis cod. civ., che richiede la buona fede del terzo ai fini dell’inopponibilità delle limitazioni all’operato degli amministratori. Sotto tale profilo, rileva parte ricorrente che la banca è operatore qualificato che doveva ritenersi a conoscenza dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2624 cod. civ. in relazione alla medesima statuizione di cui al superiore motivo, evidenziando parte ricorrente come la banca abbia agevolato la fattispecie delittuosa di cui alla citata disposizione in allora in vigore, la quale sanziona la nullità degli atti negoziali posti in essere dall’amministratore che contrae prestiti con la società rappresentata.
I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. Va ricordato che -sotto il vigore della disciplina previgente al d. lgs. n. 6/2003 – l’introduzione della regola contenuta nell’art. 2384bis cod. civ., che esclude che sia opponibile ai terzi in buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società, comporta che la società che neghi la buona fede del terzo ha l’onere di allegare e dimostrare che l’operazione controversa rappresentava in concreto mezzo del tutto estraneo rispetto al suo fine sociale e che il terzo ne fosse consapevole; ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384, secondo comma, cod. civ. richiede
invece non la mera conoscenza dell’esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di un danno per la società (Cass., n. 7293/2009).
Nella specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che ordine di bonifico e richiesta di finanziamento a medio termine rappresentassero operazioni bancarie, rientranti in quanto tali tra gli atti di ordinaria amministrazione della società amministrata; il giudice di appello ha, inoltre, ritenuto che l’essere stato il bonifico indirizzato verso i conti correnti dell’amministratore e del proprio coniuge è attività compatibile con i rapporti tra amministratore e società, che possono riguardare rimborsi di somme anticipate dall’amministratore o emolumenti di varia natura . La sentenza impugnata ha, infine, giudicato insussistente l’intenzionalità della banca di danneggiare la società opponente, ancorché la banca avesse potuto trarre beneficio dal parziale rientro del debito che i beneficiari avevano nei confronti della banca stessa. Nel caso di specie, parte ricorrente censura l’accertamento in fatto compiuto dalla sentenza impugnata circa la compatibilità dell’atto compiuto rispetto all’oggetto sociale, accertamento in fatto incensurabile in cassazione con il vizio di violazione di legge.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1282 e ss. cod. civ., nonché -in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi su una domanda subordinata di restituzione degli interessi convenzionali sulla somma che il tribunale aveva ritenuto
non dovuta, dal pagamento alla data della restituzione in data 10 febbraio 2014.
Il terzo motivo è infondato. In disparte l’inammissibilità del la censura di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. in virtù dell’applicazione de l principio della cd. « doppia conforme» , nonché atteso l’improprio richiamo al vizio di violazione di legge, va osservato che la sentenza si è esplicitamente pronunciata su tale domanda (« alla luce delle concordanti precisazioni fornite da entrambe le parti circa i pagamenti intervenuti tra le stesse risulta superata la questione sollevata nel secondo atto di appello circa la erroneità della statuizione di condanna »), con statuizione non aggredita dal ricorrente.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonché -in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la sentenza di appello non si sarebbe pronunciata sulla riforma delle spese del giudizio di primo grado, riforma che si sarebbe resa necessaria in forza della reciproca soccombenza, attesa la revoca del decreto opposto e la sentenza di condanna della banca alla restituzione delle somme ottenute in forza dell’accertato anatocismo.
Il quarto motivo è infondato. Va ricordato il principio secondo cui, nel caso in cui ricorra -come nel caso di specie l’omessa pronuncia da parte del giudice del merito su un capo di domanda, tuttavia il giudice di legittimità può decidere la causa nel merito anche in caso di violazione o falsa applicazione di norme processuali (Cass., n. 2313/2010; Cass., n. 24866/2017), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., n. 16171/2015; Cass., n. 9693/2018).
n. 2218/2021 R.G.
Nonostante ricorra l’omessa pronuncia, la censura può quindi essere decisa nella presente sede in applicazione del principio di ragionevole durata del processo. L ‘accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, avvenuta in punto interessi, è risultato marginale in termini quantitativi rispetto all’entità de lle originarie difese di parte opponente. L’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., n. 32061/2022).
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese processuali del giudizio di legittimità regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in € 4.500,00 per compensi, oltre € 200,00 per anticipazioni, 15% per rimborso forfetario, oltre accessori di legge; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 27/03/2025.
n. 2218/2021 R.G.