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Atti ultra vires: quando la banca non è responsabile

Una società contesta un bonifico del proprio amministratore definendolo uno degli atti ultra vires per cui la banca sarebbe responsabile. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per le operazioni antecedenti la riforma del 2003, la società deve provare non solo l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale, ma anche la malafede della banca. La Corte ha ritenuto che la banca avesse agito in buona fede, non potendo sindacare la natura del pagamento che poteva essere un legittimo compenso o rimborso.

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Atti ultra vires: La Cassazione chiarisce i limiti di responsabilità della banca

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nei rapporti tra società, amministratori e istituti di credito: la responsabilità della banca di fronte ad atti ultra vires compiuti dall’amministratore. La Corte di Cassazione, con una decisione ben argomentata, definisce i contorni della buona fede del terzo e l’onere probatorio a carico della società che lamenta un danno. Il caso riguarda un ingente bonifico disposto dall’amministratore unico a favore proprio e del coniuge, operazione che la società ha tentato di disconoscere, addebitandone la responsabilità all’istituto bancario per omessa vigilanza.

I fatti di causa

Una società S.r.l. si opponeva a un decreto ingiuntivo emesso da un istituto bancario per uno scoperto di conto corrente. La società sosteneva l’inefficacia di alcune operazioni, in particolare un bonifico di circa 150 milioni di vecchie lire, eseguito nel 1998 dall’amministratore unico verso conti personali suoi e del coniuge. Secondo la società, si trattava di un atto di straordinaria amministrazione, palesemente estraneo all’oggetto sociale, che la banca avrebbe dovuto riconoscere e bloccare. L’azione della società mirava non solo a contestare il debito, ma anche a ottenere un risarcimento dalla banca per scarsa diligenza.

Le decisioni dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le pretese della società sulla responsabilità della banca. I giudici hanno qualificato l’operazione contestata (bonifico e richiesta di finanziamento) come un atto di ordinaria amministrazione, rientrante nell’oggetto sociale. Secondo la Corte d’Appello, la normativa applicabile all’epoca dei fatti (precedente alla riforma societaria del 2003) richiedeva, per opporre l’atto al terzo, la prova che la banca avesse agito intenzionalmente a danno della società, prova che non è stata fornita. Il semplice fatto che il bonifico fosse a favore dell’amministratore non era di per sé sufficiente a far scattare un allarme, potendo trattarsi di legittimi emolumenti o rimborsi spese.

Le motivazioni della Cassazione sugli atti ultra vires

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i principali motivi di ricorso, confermando la linea dei giudici di merito. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione degli articoli 2384 e 2384-bis del codice civile, nella loro versione applicabile ratione temporis. La Corte ribadisce un principio fondamentale: per vincere la presunzione di buona fede del terzo contraente (la banca), la società ha un onere probatorio molto stringente. Non basta affermare che l’atto è estraneo all’oggetto sociale, ma occorre dimostrare due elementi:

1. L’estraneità concreta: L’operazione deve essere un mezzo del tutto estraneo al fine sociale dell’impresa.
2. La consapevolezza del terzo: Il terzo (la banca) doveva essere consapevole di tale estraneità o, peggio, aver agito in accordo fraudolento con l’amministratore.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello fosse un’analisi di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. I giudici di merito avevano correttamente valutato che un bonifico a favore dell’amministratore è un’attività compatibile con i normali rapporti tra società e il suo organo gestorio. Non è stato ravvisato alcun elemento che potesse far sorgere nella banca il sospetto di un’attività illecita o dannosa. La Corte ha anche rigettato il motivo relativo alla compensazione delle spese legali, chiarendo che un accoglimento solo parziale dell’opposizione (sulla questione tecnica dell’anatocismo) non configura una reciproca soccombenza, essendo state respinte le domande principali relative alla responsabilità della banca.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare la sicurezza dei traffici giuridici e la buona fede dei terzi che interagiscono con le società. Si impone alle società che si ritengono danneggiate da atti ultra vires dei propri amministratori un onere probatorio particolarmente rigoroso. Non è sufficiente dimostrare l’atto in sé, ma è necessario provare che il terzo contraente fosse a conoscenza dell’abuso di potere o abbia agito con l’intenzione di danneggiare la società. Per le banche, la decisione conferma che non sono tenute a un controllo inquisitorio su ogni operazione disposta dagli amministratori, a meno che non emergano palesi ed evidenti indizi di un’attività illecita. La presunzione di legittimità dell’operato dell’amministratore regge, a tutela della fluidità delle operazioni commerciali.

Quando un atto di un amministratore è considerato ultra vires e opponibile a un terzo come una banca (secondo la disciplina pre-riforma 2003)?
Secondo la Corte, l’atto è opponibile solo se la società dimostra due condizioni: 1) che l’operazione era un mezzo completamente estraneo al fine sociale dell’impresa; 2) che il terzo (la banca) era consapevole di questa estraneità o ha agito in modo fraudolento per danneggiare la società. La semplice conoscenza di eventuali limitazioni statutarie non è sufficiente.

La banca è responsabile se un amministratore trasferisce fondi della società sul proprio conto personale?
Non necessariamente. La sentenza chiarisce che un’operazione del genere non è di per sé anomala, poiché può essere giustificata da ragioni legittime come il pagamento di compensi, rimborsi spese o anticipazioni. La responsabilità della banca sorge solo se vi sono prove della sua malafede o della sua consapevolezza che l’atto era dannoso per la società.

L’accoglimento parziale dell’opposizione a un decreto ingiuntivo comporta sempre la compensazione delle spese legali?
No. La Corte ha stabilito che l’accoglimento di una domanda in misura ridotta o marginale rispetto alle pretese originarie (in questo caso, l’opposizione è stata accolta solo per la questione dell’anatocismo, ma non per la responsabilità della banca) non costituisce automaticamente una ‘reciproca soccombenza’ tale da giustificare la compensazione delle spese. La valutazione rimane discrezionale del giudice in base all’esito complessivo della lite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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