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Atti di coobbligazione e oggetto del contratto

La Corte di Cassazione ha confermato la validità di alcuni atti di coobbligazione, respingendo il ricorso dei garanti che ne contestavano la nullità per indeterminatezza dell’oggetto. La Corte ha stabilito che l’oggetto è sufficientemente determinato quando l’atto di garanzia fa esplicito rinvio a una polizza fideiussoria principale che contiene tutti i dettagli dell’obbligazione, incluso l’importo massimo. La sentenza ribadisce il principio della determinabilità ‘per relationem’ e chiarisce i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle prove, come le perizie grafologiche.

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Gli atti di coobbligazione e la determinabilità dell’oggetto

L’assunzione di una garanzia personale, come quella che avviene tramite atti di coobbligazione, rappresenta un impegno di notevole importanza economica e giuridica. Per questo motivo, la legge richiede che gli elementi essenziali del contratto, tra cui l’oggetto, siano determinati o almeno determinabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, chiarendo i criteri di validità di tali garanzie quando i loro dettagli sono definiti tramite rinvio a un altro documento. La decisione offre spunti fondamentali sulla corretta redazione dei contratti di garanzia e sui limiti del sindacato di legittimità.

I fatti del caso: una garanzia contestata

La vicenda trae origine da un finanziamento agevolato concesso da un ente pubblico per la realizzazione di un programma di investimenti. A garanzia della restituzione della prima quota del finanziamento, una compagnia assicurativa ha emesso una polizza fideiussoria in favore dell’ente erogatore. Parallelamente, alcuni soggetti, sia persone fisiche che una società, hanno sottoscritto degli atti di coobbligazione per garantire alla compagnia assicurativa il suo diritto di regresso nei confronti della società beneficiaria del finanziamento, in caso di inadempimento di quest’ultima.

Quando la società beneficiaria è risultata inadempiente, l’ente pubblico ha escusso la polizza e la compagnia assicurativa ha pagato. Di conseguenza, la compagnia ha agito in regresso contro i coobbligati per ottenere il rimborso di quanto versato.

I coobbligati hanno reagito citando in giudizio la compagnia assicurativa, chiedendo di accertare l’inesistenza del loro obbligo. Sostenevano, tra le altre cose, la nullità degli atti di coobbligazione per indeterminatezza dell’oggetto e disconoscevano l’autenticità delle proprie firme. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le loro richieste, basandosi anche su una consulenza tecnica grafologica che confermava l’autenticità delle sottoscrizioni.

La questione giuridica e la decisione della Cassazione sugli atti di coobbligazione

I garanti hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, articolando tre motivi principali:

1. Nullità per indeterminatezza dell’oggetto: Sostenevano che gli atti non specificavano l’importo massimo garantito, violando così le norme sui requisiti essenziali del contratto.
2. Errata applicazione delle presunzioni: Contestavano che la Corte d’Appello avesse presunto la loro conoscenza della polizza fideiussoria basandosi sulla sola dichiarazione contenuta negli atti di garanzia.
3. Motivazione apparente: Lamentavano che la Corte d’Appello non avesse risposto in modo puntuale e dettagliato alle loro critiche sulla valutazione della perizia grafologica e delle testimonianze.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato in ogni sua parte, confermando la piena validità degli impegni assunti dai garanti.

Il principio della determinabilità “per relationem”

Sul primo e più rilevante motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’oggetto del contratto è valido non solo quando è determinato, ma anche quando è meramente determinabile. Nel caso di specie, gli atti di coobbligazione contenevano un chiaro e inequivocabile rinvio alla polizza fideiussoria principale. I giudici di merito avevano correttamente accertato che in tale polizza erano specificati tutti gli elementi necessari: l’importo del finanziamento garantito (pari a euro 858.880,00), nonché l’obbligo di coprire anche interessi e spese. Pertanto, l’oggetto della garanzia era perfettamente determinabile per relationem, cioè tramite il riferimento a un documento esterno esplicitamente richiamato e che i garanti avevano dichiarato di conoscere e accettare.

La valutazione delle prove e la motivazione del giudice

La Corte ha inoltre respinto le censure relative alla valutazione delle prove. Ha chiarito che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, volto a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e completa, spiegando perché riteneva attendibile la consulenza tecnica d’ufficio e perché le critiche dei garanti non erano in grado di scalfirne le conclusioni. La motivazione non era affatto “apparente”, ma illustrava in modo esaustivo l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla decisione.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi cardine del diritto processuale e sostanziale. In primo luogo, ha sottolineato l’inammissibilità di censure che, pur lamentando una violazione di legge, si traducono in una richiesta di riesame del fatto, preclusa in sede di legittimità. I ricorrenti non avevano indicato le affermazioni in diritto della sentenza impugnata che fossero in contrasto con le norme invocate, limitandosi a proporre una diversa interpretazione del contratto.

In secondo luogo, ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente applicato il principio di determinabilità dell’oggetto per relationem, una regola fondamentale che garantisce flessibilità e certezza nei rapporti commerciali. L’esplicito richiamo a un documento esterno, conosciuto e accettato dalle parti, è sufficiente a soddisfare i requisiti di legge.

Infine, ha ribadito i confini del vizio di motivazione apparente, che ricorre solo in presenza di gravi anomalie che rendono incomprensibile il ragionamento del giudice, e non quando la parte semplicemente non condivide la valutazione del materiale probatorio operata dal giudice di merito.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in commento offre importanti conferme per gli operatori del diritto e per chiunque si trovi a sottoscrivere garanzie. La principale lezione è che la validità degli atti di coobbligazione non richiede necessariamente la ripetizione testuale di ogni dettaglio dell’obbligazione principale. È sufficiente un rinvio chiaro e preciso a un contratto o documento esterno, a condizione che i garanti dichiarino di conoscerne e accettarne il contenuto. Questa pronuncia rafforza la sicurezza dei traffici giuridici, confermando che le dichiarazioni contrattuali hanno un peso determinante e non possono essere smentite con leggerezza. Per i garanti, essa funge da monito: prima di firmare, è essenziale leggere e comprendere non solo l’atto di garanzia in sé, ma anche tutti i documenti in esso richiamati.

Un atto di coobbligazione è valido se non specifica direttamente l’importo massimo garantito?
Sì, è valido a condizione che l’oggetto sia ‘determinabile’. Secondo la sentenza, questo requisito è soddisfatto se l’atto di coobbligazione contiene un rinvio esplicito a un altro documento (come la polizza fideiussoria principale) in cui l’importo e le altre condizioni dell’obbligazione sono chiaramente specificati.

La semplice dichiarazione contrattuale di conoscere le condizioni di una polizza collegata è sufficiente a vincolare il garante?
Sì. La Corte ha ritenuto che la dichiarazione inserita nell’atto di coobbligazione, con cui i garanti affermavano di conoscere e accettare le condizioni della polizza fideiussoria, fosse una prova sufficiente della loro effettiva conoscenza e non una mera presunzione. Tale dichiarazione contrattuale ha pieno valore vincolante.

Quando la motivazione di una sentenza d’appello può essere considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
La motivazione è considerata ‘apparente’ solo quando, pur essendo graficamente esistente, è talmente generica, contraddittoria o illogica da non rendere percepibile il ragionamento seguito dal giudice. Non è ‘apparente’ la motivazione che, pur sintetica, esamina le prove e risponde alle critiche delle parti in modo comprensibile, anche se la parte soccombente non ne condivide le conclusioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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