Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3746 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 265/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con sede legale in Osimo (AN), INDIRIZZO (C.F. P_IVA, in persona dei liquidatori e legali rappresentanti pro tempore NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in atti , dall’avv. NOME COGNOME .
– ricorrente –
contro
Fallimento n. 52/2019 di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. P_IVA), con sede in Osimo, INDIRIZZO, in persona dei Curatori fallimentari Avv. NOME COGNOME e Dott. NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME.
-controricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME -intimati –
avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Ancona n. 1635/2019, pubblicata in data 19.11.2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/1/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Ancona ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 18 l.fall., da parte della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nei confronti del resistente RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e nei confronti di COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME (rimasti contumaci), in relazione alla sentenza dichiarativa del suo fallimento n. 59/2019 emessa dal Tribunale di Ancona, sentenza con la quale era stata dichiarata contemporaneamente anche l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo .
Con il predetto mezzo di impugnazione la società reclamante aveva in realtà formulato quattro motivi di gravame, deducendo: (a) la nullità della sentenza di fallimento, per aver il Tribunale violato il disposto di cui all’art. 162, comma 2, l. fall. nella parte in cui lo stesso impone l’audizione del fallito prima dell ‘ emissione del decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo; (b) l’illegittimità della sentenza di chiarativa del fallimento, per aver il Tribunale fallimentare omesso di svolgere l’attività istruttoria prevista dagli articoli 162 e 163 l. fall. e per la conseguente violazione del principio del favor legislativo per la soluzione negoziata della crisi; (c) l’illegittimità della sentenza , per aver erroneamente valutato il contenuto e gli effetti giuridici del preliminare di vendita sottoscritto in data 18.4.2019 e per aver omesso o erroneamente eseguita l’analisi degli elementi forniti sul punto dal professionista attestatore; (d) il travalicamento dei limiti del sindacato svolto dal Tribunale sui profili di convenienza economica della proposta.
La Corte di appello, nel ritenere infondato il reclamo, ha rilevato ed osservato che: (i) applicando il principio decisorio della “ragione più liquida” (e dunque esaminando per prima la questione dell’idoneità dell’attestazione in termini di completezza dei dati e comprensibilità dei criteri di giudizio
sull’apporto di ‘ finanza esterna ‘ da parte della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e sulla stima dell’immobile oggetto di preliminare ), occorreva richiamare sul punto i principi espressi da Cass. n. 5825/2018 in punto di controllo in termini specifici della relazione del professionista in ordine alla sua congruità e logicità nella motivazione, così spettando al giudice il compito di controllare la corretta predisposizione dell’attestazione in termini di completezza dei dati e comprensibilità dei criteri di giudizio; (ii) nel caso di specie, il Tribunale aveva riscontrato gravi carenze dell’attestazione in tema di capacità economico-patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE ad adempiere all’impegno assunto con il preliminare ; (iii) effettivamente il punto e) della relazione dell’attestatore (‘apporto di finanza esterna da parte della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘) alle pagg. 28 -29 non conteneva alcuna valutazione sulla capacità economico-patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE (promissaria acquirente) ad adempiere agli obblighi derivanti dal contratto preliminare dedotto in concordato; (iv) la situazione economico finanziaria della RAGIONE_SOCIALE era stata esaminata al punto ‘c’ della relazione ‘incasso dei canoni di affitto di azienda ‘produzione macchine trivellatrici’ gestito dalla RAGIONE_SOCIALE ed in esso erano stati contenuti anche gli stress test per verificare se il piano economico finanziario avesse consentito -anche in caso di verificarsi di eventi sfavorevoli -di sostenere gli impegni derivanti dal contratto di affitto di ramo di azienda; (v) l ‘esito di tale verifica era stato, secondo l’attestatore , positivo sia pure rilevando che ‘si potre bbe ravvisare una rigidità dei dati del piano economico della RAGIONE_SOCIALE ma allo stesso tempo che, anche in caso di ipotesi peggiorative, la RAGIONE_SOCIALE potrebbe comunque avere un saldo finanziario positivo, verosimilmente in grado di onorare quanto previsto nel contratto di affitto di ramo di azienda’ ; (vi) pertanto lo stesso attestatore aveva ritenuto verosimile (sia pure con un certo margine di incertezza) che la RAGIONE_SOCIALE potesse far fronte all’onere finanziario derivante dal contratto di affitto di azienda pari ad euro 72.000 per anno ; (vii) tuttavia l’ analisi di compatibilità economico-finanziaria non era stata invece compiuta in relazione all’onere assunto dalla RAGIONE_SOCIALE con il preliminare di vendita dell’immobile, onere che non solo era di gran lunga superiore al canone annuale di affitto
(euro 470.000,00 il primo ed euro 72.000,00 annui il secondo), ma che si aggiungeva allo stesso; (viii) risultava dunque evidente la necessità che l’attestatore esaminasse la capacità della promissaria acquirente di sopportare l’ulteriore gravoso impegno derivante dal preliminare ; (ix) la mancanza di tale valutazione doveva far ritenere esistente un vizio dell’attestazione del professionista, conformemente a quanto già rilevato dal Tribunale; (xi) l’attestatore aveva, poi, mancato di indicare i criteri seguiti ai fini della condivisione dei valori immobiliari riportati nella perizia allegata alla relazione, essendo invece tale dato rilevante perché – come correttamente rilevato dalla Curatela ‘a garanzia della esecuzione del preliminare, la promissaria cedente ha acconsentito alla iscrizione di una ipoteca sul bene a favore della massa dei creditori ‘ ; (xii) ogni ulteriore motivo di reclamo rimaneva così assorbito; (xiii) non erano stati posti in contestazione peraltro i presupposti per la dichiarazione di fallimento così come ritenuti dal Tribunale.
4. La sentenza, pubblicata in data 19.11.2019, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso. NOME NOME, NOME COGNOME e NOME non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli articoli 15, 162 l. fall., 101, 267 comma 2 c.p.c., 24 e 111 Costituzione per avere la Corte di Appello omesso: a) di valutare il vizio di nullità della sentenza del Tribunale di Ancona che aveva dichiarato l’inammissibilità delle domanda di concordato preventivo e il contestuale fallimento, in assenza della audizione del debitore e in violazione del diritto di difesa di quest’ultimo; b) di valutare e decidere le predette questioni pregiudiziali di nullità sollevate nel reclamo ex artt. 18 e 162 l. fall., in tal modo violando il principio dell’ordine di trattazione delle questioni dettato dall’art. 276, comma 2, c.p.c..
1.1
Il motivo è infondato.
1.1.1 La ricorrente lamenta, infatti, la circostanza che, a suo dire, il Tribunale avrebbe omesso di valutare l’esistenza di un vizio di nullità nella sentenza di prime cure consistente nella mancata audizione del debitore e nel mancato svolgimento della preventiva attività istruttoria e conseguentemente avrebbe deciso erroneamente il merito del reclamo, senza prima approfondire tali questioni pregiudiziali. In buona sostanza, la ricorrente contesta al Tribunale (e conseguentemente alla Corte per non aver censurato tale contegno) di non aver proceduto ad una convocazione del debitore prima di adottare il decreto d’inammissibilità del concordato e contestuale dichiarazione di fallimento e di non avere inoltre trattato in contraddittorio le ragioni giuridiche che avevano specificamente condotto al provvedimento di inammissibilità della proposta.
1.1.2 Sul punto qui in discussione occorre rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che l’applicabilità del principio della “ragione più liquida” postula che essa, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio; tale principio non opera nell’ipotesi in cui le diverse ragioni si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili, con la conseguenza che l’illegittimo assorbimento in tal modo disposto comporta il vizio di omessa pronuncia (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 693 del 09/01/2024; v. anche: Cass. 363/2019).
1.1.3 Tuttavia, sempre la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di impugnazione, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Sez. 3, Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023). A ciò va anche aggiunto che, allorquando venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione
esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. anche: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018).
1.1.4 Ciò posto e chiarito, risulta fuor dubbio che nel caso di specie la Corte di appello non si sia pronunciata sulle questioni pregiudiziali in rito sopra indicate (e cioè la mancata convocazione del debitore prima del decreto di inammissibilità della domanda di concordato), con ciò facendo anche impropria applicazione del principio della ‘ragione più liquida’ ; tuttavia il denunciato error in procedendo risulta infondato nel merito, ciò potendosi dire attraverso l’esame diretto dell’incarto processuale c ui la Corte è in questo caso abilitata, essendo giudice del fatto processuale.
1.1.5 Le censure di parte ricorrente sono infatti smentite dalla stessa ricostruzione della vicenda processuale emergente dagli atti del giudizio, come documentate negli allegati depositati dalla stessa ricorrente (cfr. fascicolo processuale del reclamo versato in atti). E, invero, la debitrice aveva presentato la seconda domanda di concordato preventivo in data 23.5.2019 ed era stata convocata per la trattazione congiunta sia del fascicolo del concordato che di quello delle istanze prefallimentari pendenti, all’udienza del 19.6.2019.
Ne consegue che non è rintracciabile alcuna violazione del disposto normativo di cui all’art. 162, comma 2, l. fall. (v. in tal senso anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9730 del 06/05/2014).
1.1.6 In ordine, poi, all’ulteriore profilo di censura sollevato in relazione alla mancata attivazione dei poteri istruttori da parte del Tribunale in sede di analisi dell’ammissibilità della domanda di concordato preventivo, va detto che se si può certo criticare il contegno del giudicante che, una volta sollevato un problema giuridico, non permetta al debitore di difendersi, non si possono tuttavia censurare i giudici del merito che non ritengano che vi siano da esperire approfondimenti ulteriori su tematiche su cui gli stessi ritengano di avere già elementi risolutivi per fondare il proprio convincimento.
Con il secondo mezzo si deduce ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli 360, comma 1, n. 3 cpc per avere la Corte di Appello di Ancona a) omesso la valutazione di elementi essenziali ai fini del decidere; b) dichiarato inammissibile la proposta di concordato in assenza di ragioni d’incompatibilità
del piano con norme inderogabili e senza evidenziare con chiarezza nella relazione ex art. 160 comma 3 l.f. un deficit informativo per i creditori ‘.
2.1 Il motivo, così come articolato, è inammissibile.
2.1.1 Si duole, invero, la parte ricorrente del fatto che la Corte, a suo dire, non avrebbe rilevato l’erronea valutazione effettuata dal Tribunale sull’attestazione sotto il duplice profilo della irrilevanza delle presunte carenze rispetto al dettato normativo e giurisprudenziale e del mancato esame di elementi essenziali ai fini del decidere. Si sostiene, cioè, che la carenza attestativa, come rilevata dai giudici di merito, afferisse in realtà ad elementi marginali non ricompresi tra quelli indicati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.1.2 La società ricorrente pretende, in realtà, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (e senza peraltro indicare specificatamente gli indici normativi presuntivamente violati), un nuovo apprezzamento della valutazione di merito in ordine all’idoneità della attestazione del professionista ad informare correttamente i creditori sul profilo della fattibilità del piano concordatario, scrutinio sul quale la Corte di appello, nel provvedimento qui impugnato, ha reso, sebbene in forma succinta e sotto taluni profili per relationem alle difese della curatela, una motivazione adeguata e scevra da evidenti aporie argomentative.
2.1.3 La Corte territoriale ha invero chiarito che il difetto di attestazione faceva riferimento al mancato esame da parte dell’attestatore di un elemento essenziale del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori, quale quello definito nella proposta come ‘ finanza esterna ‘ . Con l’evidente conseguenza che non indagare se la finanza esterna promessa potesse effettivamente confluire nel patrimonio della concordante, costituiva senz’altro un deficit informativo su aspetti essenziali della procedura, come peraltro affermato dai giudici del reclamo. Come precisato dalla Corte distrettuale, il professionista attestatore avrebbe dovuto chiarire, nella sua seconda attestazione, se la RAGIONE_SOCIALE fosse in grado di erogare (nell’ambito dell’operazione immobiliare prevista dalla società proponente) la finanza esterna per la cifra convenuta di € 470.000,00.
Ebbene, il Tribunale, prima, e la Corte, poi, hanno evidenziato, con motivazione adeguata, come tale indagine essenziale fosse stata completamente pretermessa dall’attestatore. In realtà, l ‘analisi di compatibilità economico-finanziaria non era stata compiuta dall’attestatore proprio in relazione all’onere assunto dalla RAGIONE_SOCIALE con il preliminare di vendita dell’immobile: onere che non solo era di gran lunga superiore al canone annuale di affitto (euro 470.000,00 il primo ed euro 72.000,00 annui il secondo), ma che avrebbe dovuto aggiungersi allo stesso.
2.1.4 Ritornare sugli apprezzamenti in fatto già oggetto di specifico scrutinio da parte dei giudici del merito in ordine al profilo della idoneità informativa della relazione dell’attestatore sul presupposto della fattibilità giuridica ed economica del piano c oncordatario, inteso quest’ultimo come realizzabilità della causa concreta del concordato proposto ai creditori, integra, con tutta evidenza, un nuovo giudizio di merito che tuttavia è inibito a questa Corte di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Peraltro, del tutto correttamente la Corte di merito ha approfondito la questione della mancanza nella relazione attestativa dello scrutinio da parte del professionista a ciò incaricato della capacità della promissaria acquirente di sopportare l’ulteriore gravoso impegno derivante dal preliminare , con la conseguenza che tale omissione integrava senz’altro la mancanza di un presupposto di ammissibilità della proposta concordataria.
2.1.5 A cio va anche aggiunto che la Corte di appello non è mai scesa sul terreno delle valutazioni attinenti il profilo della convenienza economica della proposta, come tali insindacabilmente rimesse agli apprezzamenti del ceto creditorio, ma ha, al contrario, semplicemente rilevato, come era suo specifico obbligo, che l’attestazione del professionista non avesse compiutamente riguardato ed approfondito alcuni rilevanti profili in ordine alla realizzabilità del piano concordatario, evidenziando come l’attestazione stessa fosse carente, cioè, sotto il profilo della prognosi di adempimento, in relazione allo specifico tema dell’apporto di finanza esterna.
Va infatti chiarito che valutare se l’operazione immobiliare, attraverso la quale sarebbe poi dovuta pervenire la finanza esterna alla procedura, fosse fattibile o meno sotto il profilo dell ‘ idoneità della promissaria acquirente a far fronte all’impegno assunto non costituiva, invero, una valutazione economica della ‘ convenienza del piano ‘ , ma, diversamente, un necessario profilo di prognosi sulla realizzabilità economica della proposta e del piano stesso, proprio nei termini di un apprezzamento di non manifesta inidoneità del piano concordatario, con la conseguenza che omettere tale indagine, dando per acquisite le somme derivanti dall’esecuzione di un preliminare, determinava, con tutta evidenza, il mancato espletamento da parte dell’attestatore di una indagine valutativa invece doverosa per l ‘apprezzamento della ‘ tenuta ‘ dell’intero impianto concordatario.
2.1.6 Ma anche le doglianze articolate da parte della società ricorrente, in ordine al perimetro di sindacabilità giudiziale della proposta concordataria, sono da ritenersi inammissibili, questa volta però ai sensi dell’art. 360bis c.p.c.
Costituisce infatti principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nell’arresto rappresentato da Cass. n. 9061/2017 e nelle successive pronunce, quello secondo cui il Tribunale , al fine dell’ammissione del debitore al concordato preventivo, deve provvedere ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano. Tale verifica, però, deve concretizzarsi in due diversi tipi di controllo sulla fattibilità: a) giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili; b) economica, intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo. Ebbene, mentre per la prima verifica non vi sono specifici limiti, per la seconda i limiti sono quelli relativi alla sussistenza o meno di una ‘manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati’, che devono essere individuati, rispetto al caso concreto, con riguardo alle modalità indicate dal proponente per superare la crisi (v. anche. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17103 del 15/06/2023).
Ne consegue che ormai pacificamente il controllo economico è ammissibile da parte del Tribunale in sede di scrutinio di ammissibilità della proposta concordataria, diversamente da quanto opinato, sul punto qui da ultimo in
discussione, da parte della società ricorrente che pretenderebbe di ricondurre il predetto scrutinio nell’alveo del giudizio di convenienza economica della proposta, come tale rimesso al solo giudizio (non sindacabile) dei creditori ai quali viene indirizzata la proposta concordataria (v. anche: Cass. 5825/2018; Cass. 23315/2018).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione dell’articolo 162 comma 2, 112 cpc e 2932 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per aver la Corte d’Appello di Ancona erroneamente ritenuto che il professionista attestatore non avesse correttamente stimato il valore dell’immobile oggetto di preliminare di compravendita nella eventualità di una sua aggressione da parte dei creditori della società concordante.
3.1 Anche il terzo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
3.1.1 La società ricorrente si duole, invero, del fatto che i Giudici di merito hanno ritenuto carente l’attestazione sotto il concorrente profilo del mancato riscontro dei valori di stima dell’immobile proposti dal perito COGNOME. Ad avviso della ricorrente, cioè, l’attestatore non avrebbe avuto alcun motivo di operare un riscontro dei valori di perizia in quanto il bene oggetto dell’elaborato era stato già compromesso (per un valore definito in contratto) con il preliminare di vendita in favore della COGNOME Trading.
3.2 Le doglianze così proposte sono invero inammissibili sia perché non si enuclea un ‘ fatto storico ‘ ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., secondo il paradigma applicativo delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. Un. n. 8053/2014), sia perché l’oggetto del denunciato omesso esame neanche riguarda questioni decisive ai fini della decisione, che si era in realtà fondata su un profilo di ‘infattibilita” economica del piano non approfondito dal professionista attestatore, profilo che riguardava non tanto il valore dell’immobile oggetto del preliminare, quanto piuttosto il diverso profilo della solidità economica della promissaria acquirente che avrebbe dovuto fornire, tramite pagamento del prezzo di vendita, la cd. finanza esterna.
È pur vero che il valore dell’immobile poteva aver rilievo ai fini della possibile escussione della garanzia ipotecaria incombente sul bene oggetto della promessa di vendita, ma ciò atterrebbe più propriamente al merito degli
apprezzamenti, prima, del Tribunale e, poi, della Corte di appello che non possono più essere sindacati, in questo giudizio di legittimità.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28.1.2025