Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7107 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7107 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29510/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, già soci della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro RAGIONE_SOCIALE -intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1300/2021 depositata il 15/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1349/2021, depositata il 15.10.2021, la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME già soci della RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza del 26.5.2021 con cui il Tribunale di Bergamo ha dichiarato il fallimento della predetta società.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato l’inattendibilità dei bilanci relativi agli anni 2018, 2019 e 2020, prodotti dai reclamanti, in relazione ai tempi della loro approvazione e deposito presso il Registro delle Imprese, intervenuti subito dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento e in concomitanza con la proposizione del reclamo, non accompagnati, peraltro, dalla produzione in giudizio di documentazione idonea a verificare la veridicità dei dati in essi indicati.
La sentenza ha, inoltre, rilevato che i reclamanti non avevano fornito un’idonea giustificazione della riduzione dell’esposizione debitoria a € 419.332,00 negli esercizi 2018, 2019 e 2020, a fronte di debiti che nell’esercizio 2017 ammontavano a € 634.673,00. In particolare, la circostanza addotta secondo cui tale riduzione sarebbe dipesa dall’intervento dei soci che, con proprie risorse personali, avevano parzialmente estinto il debito di cui all’esecuzione immobiliare n. 476/2014 RGE non era convincente, atteso che la rinuncia della banca esecutante nella predetta procedura era avvenuta in data 11.9.2015 -e quindi in epoca anteriore alla redazione del bilancio del 2017 – con la conseguenza che non poteva essere stata tale rinuncia a determinare la riduzione dell’esposizione debitoria nell’esercizio 2018. Inoltre, nei bilanci 2018, 2019 e 2020 i debiti tributari risultavano essere pari a € 42.000 -43.000,00 nonostante che dall’istruttoria prefallimentare
fosse risultato che COGNOME avesse cartelle esattoriale non pagate pari a € 84.388,75.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME già soci della RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, L.F.
Lamentano i ricorrenti che il bilancio di esercizio può ritenersi un canale ‘privilegiato’ per la valutazione prevista dall’art. 1 comma 2° L.F., né il giudice può sostenerne l’inattendibilità per il mancato deposito della documentazione contabile. Affermano che la Corte d’Appello avrebbe dovuto avvalersi dei propri poteri istruttori e ordinare al curatore l’esibizione delle scritture contabili, ciò che non era stato fatto nonostante una specifica richiesta da parte dei ricorrenti.
Con il secondo motivo è stata invocata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 L.F. e dell’art. 116 c.p.c. e il vizio motivazionale per illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova ex art. 360, comma 1° nn. 4 e 5 c.p.c.
Lamentano i ricorrenti che il giudice d’appello ha reso una motivazione incompatibile con gli atti e documenti del processo, sulla base di un’errata valutazione e interpretazione dei dati contabili contenuti nei documenti prodotti.
Espongono, inoltre, che i debiti totali dell’esercizio 2017, ammontanti a € 634.673,00, si erano ridotti nei successivi esercizi 2018, 2019 e 2020 a € 419.331,80, per vari motivi e, segnatamente, a seguito di accordo transattivo con gli istituti di credito, perché i soci aveva formalizzato la destinazione del loro credito di € 158.680,44 verso la società a ‘riserva facoltativa’ e per il pagamento di qualche fornitore. Tali informazioni, oltre ad emergere dai documenti richiamati (bilancio 2018 e relativa nota
integrativa) costituivano l’oggetto della prova richiesta nelle istanze istruttorie dell’atto di reclamo, inspiegabilmente disattesa.
Con il terzo motivo è stata dedotta, parimenti, la violazione dell’art. 1 comma 2 L.F. e dell’art. 116 c.p.c. e il vizio motivazionale per illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova ex art. 360, comma 1° nn. 4 e 5 c.p.c.
I ricorrenti lamentano che la corte ha erroneamente affermato che nei bilanci 2019 e 2020 non vi era tr accia dell’esposizione debitoria di € 273.426,32 di cui all’esecuzione immobiliare RGE n. 476/2014, pendente presso il Tribunale di Bergamo e, ciò, nonostante tale debito fosse stato espressamente iscritto nello stato patrimoniale sotto la lettera d) Debiti esigibili entro l’esercizio successivo. Dunque, il giudice del reclamo aveva erroneamente valutato ed interpretato i fatti e i documenti processuali.
Con il quarto motivo è stata parimenti dedotta la violazione dell’art. 1 comma 2 L.F. e dell’art. 116 c.p.c. e il vizio motivazionale per illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova ex art. 360, comma 1° nn. 4 e 5 c.p.c.
Lamentano i ricorrenti che la corte non aveva correttamente interpretato e valutato i debiti tributari, che non ammontavano, secondo i bilanci prodotti, a € 42.000 -43.000,00, ma alle diverse somme di € 65.412,17 nell’esercizio 2018, € 66.327,17 nell’esercizio 2019 e € 66.719,44 nell’esercizio 2020.
Tutti i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. 30516/2018; Cass. 24548/2016; 14790/2014) quello secondo cui ‘ ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, l.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, comma 4, l.fall., costituiscono strumento di prova privilegiato dell’allegazione della non fallibilità, in quanto idonei a chiarire la
situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere però a prova legale, essendo soggetti alla valutazione, da parte del giudice, dell’attendibilità dei dati contabili in essi contenuti secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., sicché, se reputati motivatamente inattendibili, l’imprenditore rimane onerato della prova della sussistenza dei requisiti della non fallibilità’.
Nel caso di specie, il giudice ha fatto corretto uso del principio di diritto sopra enunciato, ritenendo – con una motivazione che soddisfa il requisito del ‘minimo costituzionale’, secondo i parametri elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014 -inattendibili i bilanci prodotti dai reclamanti, sia in relazione ai tempi della approvazione e deposito presso il Registro delle Imprese (intervenuti subito dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento e in concomitanza con la proposizione del reclamo), sia perché non era stata giustificata in modo idoneo la riduzione dei debiti avvenuta negli esercizi 2018, 2019 e 2020 rispetto all’esercizio 2017 (in cui ammontavano ad oltre 640.000 euro). In proposito, le odierne deduzioni dei ricorrenti -secondo cui la società fallita avrebbe ben spiegato nella nota integrativa del bilancio di esercizio del 2018 le modalità con cui era avvenuta la citata riduzione -sono inammissibili, oltre che per difetto di autosufficienza, non essendo stato riportato nel ricorso, neppure per estratto, il contenuto della nota integrativa del predetto bilancio, anche per aspecificità in relazione al difetto di puntuale allegazione.
In particolare, i ricorrenti neppure affermano di aver dedotto nell’atto di reclamo che la riduzione dei debiti dall’esercizio 2017 ai successivi 2018, 2019 e 2020 era stata ben giustificata nella nota integrativa del bilancio 2018, limitandosi ad affermare che tale circostanza comunque risultava dall’esame di tale documento.
Atteso che gli elementi costitutivi della domanda devono essere specificamente enunciati nell’atto introduttivo, è escluso che le
produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l’effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l’individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell’atto introduttivo (sul punto vedi Cass. n. 3022/2018).
Dunque, avendo il giudice d’appello motivatamente argomentato l’inattendibilità dei bilanci depositati dai ricorrenti, le censure con cui i ricorrenti intendono sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice del reclamo si appalesano inammissibili, in quanto finalizzate a criticare una valutazione che è riservata al giudice di merito e, come tale, non sindacabile in sede di legittimità.
Infine, le censure con cui i ricorrenti lamentano che il giudice non avrebbe correttamente considerato le appostazioni di debiti (quello di cui all’esecuzione immobiliare n. 476/2014 e quelli tributari) effettivamente contenute nei bilanci prodotti dalla società fallita si appalesano, parimenti, inammissibili in quanto di merito, oltre a non essere, comunque, decisive ai fini della decisione.
Infine, inammissibile è, altresì, la doglianza con cui i ricorrenti lamentano la mancata ammissione della prova testimoniale, essendo l’esercizio dei poteri istruttori attributi al giudice di merito discrezionale, e non essendo comunque state compiutamente indicate nel ricorso le circostanze su cui il teste sarebbe dovuto essere escusso.
Non si liquidano le spese di lite, non essendosi la curatela costituita in giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma il 15.1.2025